Value at Risk: Modelli e Metodi
Informazioni sul documento
| Lingua | Italian |
| Formato | |
| Dimensione | 2.70 MB |
Riassunto
I.Evoluzione della Normativa Bancaria e Gestione del Rischio
Questo elaborato analizza l'evoluzione della gestione del rischio nel settore bancario, partendo dagli Accordi di Basilea (Basilea 1, Basilea 2, Basilea 3) fino agli stress test del 2018. Viene descritta l'importanza crescente della vigilanza prudenziale, della trasparenza informativa e del ruolo del Supervisory Review and Evaluation Process (SREP). L'introduzione dei buffer anticiclici (Capital Conservation Buffer (CCB), Counter-Cyclical Buffer (CCCB), G-Sifi Buffer) a partire dal 1° Gennaio 2019, per mitigare la volatilità dei requisiti patrimoniali, è un punto focale. La crisi del 2008 e il fallimento di Lehman Brothers hanno evidenziato l'inadeguatezza di Basilea 2, portando all'implementazione di Basilea 3 e alla maggiore attenzione al rischio di liquidità, misurato tramite Liquidity Coverage Ratio (LCR) e Net Stable Funding Ratio (NSFR). Il ruolo dell'Enterprise Risk Management (ERM) nell'approccio moderno alla gestione del rischio, che considera anche le opportunità di guadagno (upside risk), viene sottolineato.
1. Evoluzione degli Accordi di Basilea
Il documento traccia l'evoluzione della normativa bancaria, focalizzandosi sugli Accordi di Basilea. Si parte dal primo concordato del 1975, proseguendo con il secondo del 1983, che introduceva la ripartizione delle competenze tra paesi d'origine e paesi ospitanti, e definendo i parametri di vigilanza. Vengono evidenziati i limiti di Basilea 2, in particolare l'attribuzione di pesi fissi di rischio (20%, 50%, 100%, 150%), che non riuscivano a catturare la reale situazione patrimoniale delle controparti. Basilea 2 introduce un ampliamento delle classi di ponderazione e l'utilizzo delle valutazioni delle agenzie di rating esterne (Moody's, Standard & Poor's, ecc.). La metodologia standard prevede che i valori siano forniti dalle autorità di vigilanza, mentre la metodologia IRB Advanced permette alle banche di calcolarli internamente, con un successivo controllo da parte delle autorità. L'arrivo di Basilea 3, con i suoi due documenti sulla regolamentazione del rafforzamento delle banche e sulla misurazione del rischio di liquidità, recepiti nella direttiva 2013/36/UE e nel regolamento (UE) n.575/2013, segna un ulteriore passo avanti. La crisi del 2007-2008, culminata con il fallimento di Lehman Brothers, ha dimostrato l'inadeguatezza di Basilea 2, spingendo verso una maggiore robustezza nella regolamentazione.
2. Il Ruolo del Supervisory Review and Evaluation Process SREP
Il Supervisory Review and Evaluation Process (SREP) è un insieme di procedure attraverso cui l'autorità di vigilanza (AdV) analizza i profili di rischio delle banche, sia singolarmente che in modo aggregato, in condizioni operative normali e di stress. L'analisi comprende il sistema di governo aziendale, la funzionalità degli organi, la struttura organizzativa e il sistema di controlli interni. L'obiettivo è verificare che gli intermediari dispongano di presidi patrimoniali e organizzativi adeguati ai rischi assunti, assicurando l'equilibrio gestionale complessivo. Il documento sottolinea l'importanza delle prove di stress test e la necessità che gli scenari definiti siano sempre adeguati, con valutazione dei potenziali effetti su l'adeguatezza patrimoniale in caso di modifiche rilevanti. La BCE enfatizza la necessità di un processo ICAAP non limitato ad un esercizio annuale, ma parte integrante della gestione dei rischi aziendali, con monitoraggio e valutazione continua.
3. Stress Test del 2018 e il Ruolo dell EBA
Gli stress test, nati negli USA dopo la crisi del 2008, sono esami condotti su banche che vengono sottoposte a scenari economici sfavorevoli per valutare la resistenza del loro capitale. Negli Stati Uniti, le banche con asset di almeno 50 miliardi devono condurre sia stress test interni che quelli della Federal Reserve. In Europa, gli stress test, condotti ogni due anni a partire dal 2016 sotto la supervisione dell’European Banking Authority (EBA), mirano a garantire maggiore stabilità in caso di crisi, evitando che un singolo istituto minacci la stabilità dei mercati finanziari europei. Gli EU-wide stress test dell’EBA si concentrano su rischi di credito, di mercato e di liquidità, per valutare la salute delle banche durante periodi di recessione prolungata. Lo stress test dell’EBA, a differenza di quelli statunitensi, non prevede soglie minime di capitale e non comporta “promozioni” o “bocciature”, ma fornisce informazioni utili per la quantificazione del requisito di capitale del Secondo Pilastro (Pillar 2) nell’ambito del processo SREP.
4. Rischio Operativo e Enterprise Risk Management ERM
Il documento distingue tra diversi tipi di rischio, tra cui il rischio di credito, di mercato e operativo. Il rischio operativo, a differenza dei primi due, non è un rischio sceglibile, e può portare a perdite difficilmente quantificabili o legate ad eventi rari. Esempi di eventi che generano rischio operativo includono furti, danneggiamenti, terrorismo e catastrofi naturali. Viene poi introdotto l'Enterprise Risk Management (ERM), definito come un processo per la formulazione di strategie aziendali, progettato per individuare eventi potenziali che possono influire sull'attività, gestire il rischio entro limiti accettabili e garantire il raggiungimento degli obiettivi. Il documento evidenzia il cambiamento di approccio rispetto al risk management tradizionale, che si focalizzava sui rischi puri e tendeva a trasferire il rischio a terze parti tramite assicurazioni, a differenza dell’ERM che considera anche l'upside risk e mira a gestire il rischio complessivo dell'impresa in modo integrato. Le nuove regolamentazioni imposte da Basilea 3 richiedono alle istituzioni finanziarie un sistema ERM più robusto e integrato, con una piattaforma centralizzata accessibile a risk manager, organi di vigilanza e mercato.
5. Introduzione dei Buffer Anticiclici e Rischio di Liquidità
Basilea 3 introduce i buffer anticiclici per moderare la volatilità dei requisiti patrimoniali. Questi includono il Capital Conservation Buffer (CCB), il Counter-Cyclical Buffer (CCCB) e il Globally-Systemically Important Financial Institutions Buffer (G-Sifi Buffer). Il CCB è una riserva di capitale accumulata in periodi economici positivi, da utilizzare in periodi di crisi. Il CCCB può essere richiesto dalle autorità di vigilanza se necessario, mentre il G-Sifi Buffer è richiesto solo agli intermediari di rilevanza sistemica. Questi buffer sono stati introdotti tra il 2016 e il 2018 ed sono diventati operativi dal 1° gennaio 2019. Il documento evidenzia anche l'importanza della gestione del rischio di liquidità, misurato tramite il Liquidity Coverage Ratio (LCR) e il Net Stable Funding Ratio (NSFR). L'LCR prevede un cuscinetto di liquidità per far fronte a deflussi di cassa in uno scenario di stress test, mentre il NSFR mira a garantire una fonte di finanziamento stabile a lungo termine. La forte interconnessione tra banche di rilevanza sistemica, che ha contribuito a trasmettere shock al sistema finanziario, ha reso necessario rafforzare la capacità di assorbimento delle perdite di queste istituzioni.
II.Value at Risk VaR e Metodi di Misurazione
Il cuore dell'elaborato è la misurazione del Value at Risk (VaR), un metodo per quantificare le potenziali perdite inattese. Vengono confrontati diversi metodi di stima del VaR: il metodo parametrico (o della varianza-covarianza), che si basa sull'ipotesi di normalità dei rendimenti; la simulazione storica, che utilizza dati passati; e la simulazione Monte Carlo, che genera scenari ipotetici. L'utilizzo di fogli di calcolo Excel con macro VBA per la simulazione Monte Carlo è descritto, con la capacità di generare un elevato numero di scenari (es. 100.000). La duration di Macaulay viene menzionata come misura della sensibilità delle variazioni del prezzo di un titolo alle variazioni dei tassi di interesse. I limiti di ogni metodo vengono analizzati, evidenziando la dipendenza dei risultati dalla scelta dell'intervallo temporale e dall'ipotesi di normalità dei rendimenti. Un'attenzione particolare viene data all'Expected Shortfall (ES) o Conditional VaR (CvaR) come misura complementare al VaR, in grado di fornire informazioni sulle perdite nelle code della distribuzione.
1. Il Value at Risk VaR Definizione e Caratteristiche
Il documento introduce il Value at Risk (VaR) come misura fondamentale per la quantificazione del rischio finanziario. Il VaR fornisce una stima della massima perdita potenziale inattesa su un determinato orizzonte temporale e livello di confidenza. È una misura aggregata che considera diversi tipi di rischio (cambi, prezzi azionari, tassi, credito, etc.) e fornisce un'indicazione della probabilità associata alla perdita. Il livello di confidenza è solitamente fissato al 95% o 99,9%, a seconda delle esigenze specifiche dell'istituto o degli obblighi normativi. Come esempio, viene citata Bank of America, che adotta un livello di confidenza del 99,97% per mantenere un rating AA, associato ad una probabilità annua di default dello 0,03%. L'orizzonte temporale del VaR può variare (1 giorno o 10 giorni), a seconda della liquidità dell'attività; attività più liquide implicano orizzonti temporali più brevi.
2. Metodi di Stima del VaR Metodo Parametrico
Il documento descrive il metodo parametrico (o della varianza-covarianza) per la stima del VaR, basato sull'assunzione che i fattori di mercato seguano una distribuzione normale. In questo caso, la distribuzione di probabilità degli utili e delle perdite è una combinazione lineare delle distribuzioni dei fattori sottostanti. Le proprietà statistiche delle distribuzioni normali multivariate vengono sfruttate per la stima. Per posizioni con un unico fattore di rischio, la volatilità su orizzonti temporali più lunghi viene derivata dalla volatilità giornaliera. La stima della volatilità su orizzonti superiori a pochi giorni è complessa a causa della scarsità e della scarsa significatività dei dati. Per semplicità, si può ricorrere alla volatilità storica annuale. L'orizzonte temporale scelto deve essere coerente con la strategia dell'operatore (breve per approcci speculativi, lungo per strategie di investimento) e utilizzare dati storici di pari periodo. Previsioni più accurate si ottengono con campioni di lungo periodo, che riducono gli effetti di forti variazioni nel breve termine.
3. Metodi di Stima del VaR Simulazione Storica e Approccio Ibrido
Il metodo della simulazione storica utilizza dati storici dei prezzi delle posizioni in portafoglio per stimare il VaR. Ogni dato contribuisce alla determinazione del VaR in funzione della propria intensità e vicinanza temporale. Un vantaggio di questo metodo è che non si basa sull'ipotesi di normalità dei rendimenti di mercato. Tuttavia, i risultati dipendono fortemente dall'intervallo temporale scelto e richiedono un archivio storico dettagliato e aggiornato. L'approccio ibrido combina i pregi del metodo varianza-covarianza e della simulazione storica, utilizzando una serie storica con un peso maggiore attribuito ai dati più recenti. Questo metodo cerca di mitigare le limitazioni del metodo storico, ottenendo stime più precise per posizioni con comportamento probabilistico stabile nel tempo rispetto ai modelli parametrici.
4. Metodi di Stima del VaR Simulazione Monte Carlo
La simulazione Monte Carlo genera un database di ipotetici valori futuri del portafoglio per il calcolo del VaR, a differenza della simulazione storica che utilizza dati osservati. Un algoritmo di casualità viene applicato a una distribuzione di probabilità congiunta dei fattori di rischio, utilizzando dati storici per le caratteristiche dei fattori (volatilità, correlazioni). Il numero di dati generati (nell'ordine di migliaia) è fondamentale per la precisione della stima. Il metodo Monte Carlo, pur superando il limite dell'ipotesi di normalità, presenta la difficoltà di scelta della distribuzione da utilizzare e la stima dei parametri del modello. La stima del VaR per posizioni dipendenti da molti fattori può richiedere tempi di elaborazione lunghi. Il documento menziona anche il modello di Black & Scholes per il pricing delle opzioni, utile per la simulazione Monte Carlo di opzioni, e sottolinea la sua applicabilità alle opzioni europee ma non a quelle americane.
5. Expected Shortfall ES e Stress Test
Il documento evidenzia i limiti del VaR, in particolare la mancanza di indicazioni sulla dimensione delle perdite superiori al valore del VaR stesso. L'Expected Shortfall (ES), detto anche Conditional VaR (CVaR) o Tail VaR, viene introdotto come misura di rischio che stima il valore atteso delle perdite nella coda della distribuzione, al di là del VaR. L'ES fornisce quindi informazioni sulle perdite derivanti da eventi estremi. Infine, il documento descrive gli stress test, previsti da Basilea 3, come test periodici a cui sono sottoposti gli istituti di credito. Gli stress test prevedono un calcolo del VaR in condizioni estremamente pessimistiche, valutando la massima perdita potenziale in scenari avversi. L'esempio degli stress test del 2018, che ipotizzavano pesanti variazioni del PIL, disoccupazione e crollo del mercato immobiliare, viene menzionato. Il documento menziona anche l'importanza dei backtesting trimestrali dell'attività di trading e l'applicazione di un fattore moltiplicativo al requisito patrimoniale in base all'affidabilità del modello VaR interno.
III.Stress Test e Backtesting
Il documento descrive gli stress test, strumento nato negli USA dopo la crisi del 2008, e il loro utilizzo in Europa, con la supervisione della European Banking Authority (EBA). Gli stress test del 2018 sono presentati come esempio, con scenari economici sfavorevoli per valutare la capacità di tenuta del patrimonio bancario. L'importanza del backtesting per la valutazione dell'affidabilità dei modelli interni di VaR è sottolineata, con riferimento ai requisiti di Basilea 3. Il processo di valutazione dell'affidabilità dei modelli, inclusi eventuali aggiustamenti del requisito di capitale in base ai risultati del backtesting, è un elemento chiave. L'applicazione di maggiorazioni al VaR in caso di scarsa affidabilità del modello interno è descritta, specificando che tale applicazione non è automatica e dipende dalla discrezionalità dell'autorità di vigilanza.
1. Stress Test Origine e Funzionamento
Il documento introduce gli stress test come strumento nato negli Stati Uniti dopo la crisi finanziaria del 2008. Questi test sottomettono le banche a scenari economici sfavorevoli per valutare la resistenza del loro capitale all'impatto di eventi avversi. Negli USA, le banche con asset superiori a 50 miliardi di dollari devono effettuare sia stress test interni che quelli richiesti dalla Federal Reserve. In Europa, gli stress test, condotti ogni due anni dal 2016 sotto la supervisione dell'European Banking Authority (EBA), si focalizzano su elementi chiave come i rischi di credito, di mercato e di liquidità, simulando situazioni di recessione prolungata e scenari particolarmente negativi. L'obiettivo è garantire maggiore stabilità al sistema bancario europeo ed evitare che un singolo istituto minacci la salute dei mercati finanziari. È importante notare che gli stress test dell'EBA non prevedono una soglia minima di capitale da rispettare, né ‘promozioni’ o ‘bocciature’, ma servono come strumento di valutazione della capacità di tenuta del patrimonio bancario in situazioni di crisi.
2. Stress Test del 2018 Un Caso Studio
Il documento fa riferimento agli stress test del 2018 come esempio concreto. Questi test prevedevano pesanti variazioni del PIL degli Stati europei, elevati tassi di disoccupazione e un crollo del mercato immobiliare, al fine di simulare scenari di crisi. I risultati di questi test contribuiscono alla quantificazione del requisito di capitale del Secondo Pilastro (Pillar 2), come parte del processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP). La scelta degli scenari e la loro periodica verifica sono cruciali per la validità e l’utilità dei test, e le eventuali modifiche rilevanti devono essere valutate per i loro potenziali effetti sull'adeguatezza patrimoniale degli istituti. Il documento sottolinea che l'obiettivo non è semplicemente un esercizio annuale ma una parte integrante della gestione continua dei rischi aziendali, con attività di monitoraggio e valutazione costante.
3. Backtesting e Affidabilità dei Modelli VaR
Il documento evidenzia il ruolo cruciale del backtesting per valutare l'affidabilità dei modelli interni di Value at Risk (VaR). Si richiede, ad esempio, che gli istituti eseguano dei backtesting trimestrali dell'attività di trading. L'affidabilità del modello VaR interno è direttamente correlata al requisito patrimoniale dell'istituto, che è soggetto ad un fattore moltiplicativo. Questo fattore è tanto maggiore quanto minore è l'affidabilità del modello. Un esempio pratico illustra come, con un VaR giornaliero di 1.000 e un livello di confidenza del 98%, ci si aspetta perdite superiori a 1.000 solo nel 2% dei casi (circa 5 giorni all'anno). Se il numero di giorni in cui le perdite superano 1.000 è significativamente superiore a 5, il modello è considerato inaffidabile. L'applicazione di una maggiorazione al VaR non è automatica, ma dipende dalla discrezionalità dell'autorità di vigilanza, e viene solitamente applicata in caso di problemi di integrità o accuratezza del modello, mentre situazioni dovute a modifiche delle posizioni di rischio o evoluzioni del mercato richiedono una valutazione più approfondita.
