
Arbitrato ICSID: Treaty e Contract Claims
Informazioni sul documento
Lingua | Italian |
Formato | |
Dimensione | 1.36 MB |
Specialità | Diritto Internazionale |
Tipo di documento | Tesi di Laurea o Elaborato Accademico |
Riassunto
I.Fonti di Diritto nell Arbitrato degli Investimenti
Il documento analizza le fonti di diritto applicabili nelle controversie di arbitrato degli investimenti, focalizzandosi principalmente sulla Convenzione ICSID e sui BITs (Trattati Bilaterali sugli Investimenti). Viene evidenziata l'autonomia delle parti nel determinare le norme applicabili, con possibilità di ricorrere al diritto nazionale dello Stato ospite, al diritto internazionale, o ad una combinazione di entrambi. L'importanza dei BITs nello sviluppo del diritto internazionale nel settore degli investimenti è sottolineata, così come il ruolo della giurisprudenza ICSID nella creazione di un corpo di norme in un ambito relativamente nuovo.
1. Fonti di diritto nella Convenzione di Washington
Questa sezione introduce il tema delle incertezze per gli investitori privati che operano all'estero, rispetto al rischio d'impresa in ambito nazionale. L'investitore si trova in un contesto giuridico e culturale diverso, spesso con lo Stato sovrano come controparte. Di conseguenza, la ricerca di strumenti di tutela efficaci in caso di controversie è fondamentale. Parallelamente, lo Stato ospite ha interesse ad attrarre capitali stranieri, mostrando un atteggiamento favorevole agli investimenti esteri e consentendo una significativa negoziazione degli accordi. Il testo evidenzia la complessità del quadro normativo e la necessità di un sistema di protezione per gli investitori in un contesto internazionale. La Convenzione di Washington, e il suo ruolo nella definizione di questo quadro, è il tema centrale della parte introduttiva, che anticipa le successive analisi sui meccanismi di risoluzione delle controversie.
2. L articolo 42 della Convenzione ICSID e l autonomia delle parti
L'articolo 42 della Convenzione ICSID si distingue dagli accordi NAFTA e ECT, garantendo piena autonomia alle parti nel definire le fonti di diritto applicabili nell'arbitrato. Gli arbitri possono quindi basarsi sul diritto nazionale dello Stato ospite, sul diritto internazionale (incluse le norme convenzionali dei BITs), o su una combinazione di entrambi. Il ricorso al diritto interno di Stati diversi dallo Stato ospite è meno frequente, eccetto in casi specifici come i contratti di prestito, dove la legge nazionale dello Stato del prestatore o di un terzo Paese finanziario è spesso scelta. Questa ampia discrezionalità offerta dall'articolo 42 sottolinea la flessibilità del sistema ICSID nel gestire la diversità di situazioni che possono insorgere in ambito internazionale. La scelta delle parti, in questo contesto, diventa un elemento chiave nel determinare il percorso e l'esito della controversia.
3. Esempio il caso ICSID Agip v. Repubblica Popolare del Congo
Il caso ICSID Agip v. Repubblica Popolare del Congo viene analizzato come esempio pratico dell'applicazione dell'articolo 42. L'accordo tra le parti prevedeva l'applicazione del diritto congolese, integrato dai principi di diritto internazionale se necessario. Il tribunale arbitrale, pur constatando la violazione della legislazione interna congolese da parte dell'ordinanza di nazionalizzazione, ha esteso l'analisi al diritto internazionale, evidenziando l'impegno delle parti a ricorrere ai principi internazionali per colmare eventuali lacune o apportare integrazioni al diritto congolese. Questo esempio illumina la metodologia utilizzata dai tribunali ICSID nell'applicazione delle diverse fonti del diritto, e come la combinazione di diritto nazionale e internazionale possa influenzare la decisione finale. Il caso dimostra anche l’attenzione alla tutela dell'investitore straniero, anche laddove vi siano violazioni della legislazione interna dello Stato ospite.
4. L evoluzione dei BITs e il loro ruolo nel diritto internazionale
La sezione traccia l'evoluzione dei BITs (Bilateral Investment Treaties), partendo dalla firma del primo trattato nel 1959 tra Germania e Pakistan. Si evidenzia una crescita esponenziale del numero di BITs negli anni successivi, in particolare negli anni '90, a seguito del crollo dell'Unione Sovietica e dell'apertura dei mercati dell'Est Europa, Africa e Sud America. L'analisi mette in luce il passaggio da un flusso di capitali prevalentemente unidirezionale (dai Paesi sviluppati a quelli in via di sviluppo) ad una situazione più complessa, con accordi anche tra Paesi sviluppati o tra Paesi in via di sviluppo. L'importanza e la diffusione globale dei BITs hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo del diritto internazionale nel settore degli investimenti. Il caso SPP v. Egitto viene citato come esempio di come altre convenzioni internazionali, come la Convenzione UNESCO, possano avere rilevanza nel contesto dell'arbitrato internazionale degli investimenti.
II.Definizione di Investimento nella Giurisprudenza ICSID
La giurisprudenza ICSID, in particolare il "Salini test", definisce l'investimento sulla base di criteri quali: contributi, durata, assunzione di rischi e rilevanza per lo sviluppo dello Stato ospite. Tuttavia, l'interpretazione di questi criteri, soprattutto riguardo al "contributo allo sviluppo economico", è oggetto di dibattito nella giurisprudenza ICSID, come dimostrato da casi specifici come L.E.S.I.-DIPENTA v. Algeria, Saba Fakes v. Turchia, e Victor Pey Casado v. Cile. La determinazione della nazionalità dell'investitore è altrettanto complessa, con il Tribunale che spesso si affida al luogo di incorporazione o sede sociale dell'impresa, ma con possibilità di considerare il controllo indiretto, come illustrato nel caso SOABI v. Senegal.
1. Il Salini Test e la definizione di investimento
Il documento presenta il cosiddetto 'Salini test', derivato dai casi Fedax e Salini v. Marocco, come criterio guida per definire la nozione di 'investimento' nella giurisprudenza ICSID. Questo test considera quattro elementi fondamentali: contributi dell'investitore, durata dell'attività, partecipazione ai rischi e rilevanza per lo sviluppo economico dello Stato ospite. Il 'Salini test' ha trovato ampio consenso, tanto che la sua applicazione è spesso data per scontata dalle parti. Tuttavia, il documento evidenzia che non vi è un riconoscimento universale del test, e che in particolare il criterio del 'contributo allo sviluppo economico' è oggetto di dibattito. Diversi casi ICSID mostrano interpretazioni differenti di questo criterio. Alcuni tribunali lo considerano implicito negli altri tre criteri, mentre altri lo escludono del tutto dalla definizione di investimento. Questo evidenzia l'evoluzione e la non uniformità interpretativa in questo ambito.
2. Il dibattito giurisprudenziale sui criteri del Salini Test
L'analisi si concentra sul dibattito giurisprudenziale relativo ai criteri del 'Salini test'. Il criterio del 'contributo allo sviluppo economico dello Stato ospite', in particolare, è oggetto di forti divisioni. Il caso L.E.S.I.-DIPENTA v. Algeria, ad esempio, considera questo contributo implicito negli altri criteri, mentre i casi Saba Fakes v. Turchia e Victor Pey Casado v. Cile ne negano addirittura l'esistenza come requisito autonomo per la definizione di investimento. Il testo evidenzia come il dibattito si estenda a tutti i criteri del test e alle loro interpretazioni, con alcuni tribunali che propongono criteri aggiuntivi o alternativi. Questa mancanza di uniformità evidenzia la complessità e l'evoluzione della giurisprudenza ICSID nell'interpretazione del concetto di investimento, che varia a seconda dei casi e delle interpretazioni dei tribunali.
3. Determinazione della nazionalità dell investitore e il caso SOABI v. Senegal
La sezione affronta la questione della determinazione della nazionalità dell'investitore, un aspetto cruciale per la giurisdizione ICSID. Il caso SOABI v. Senegal è presentato come esempio di come il tribunale si approccia a questa problematica. Il tribunale afferma inequivocabilmente il criterio del luogo di incorporazione o sede sociale dell'impresa come principio generale, riconoscendo tuttavia che ogni stato ha la facoltà di definire la nazionalità di una società. Si evidenzia come la nazionalità degli azionisti o il controllo straniero non siano criteri usuali per la nazionalità di una società, tranne in casi eccezionali. Il caso SOABI v. Senegal, in cui l'investitore era controllato indirettamente da una società di comodo, evidenzia la necessità per i tribunali ICSID di considerare il controllo indiretto per stabilire la nazionalità dell'investitore, soprattutto nei casi in cui l'investimento viene effettuato tramite società costituite nello Stato ospite. La Convenzione di Washington, con l’articolo 25(2)(b), prevede una clausola che consente ai Tribunali ICSID di gestire proprio queste situazioni.
III.Consenso alla Giurisdizione ICSID e Clausole di Scelta del Foro
Il consenso dello Stato ospite, spesso espresso nei BITs, è il fondamento della giurisdizione ICSID. Gli Stati possono però limitare tale consenso nel tempo o per tipologia di controversie, o imporre condizioni, come l'esaurimento dei rimedi interni (clausola "fork in the road"). L'inserimento di clausole di scelta del foro nazionale (domestic forum selection clauses) nei contratti di investimento rappresenta un tentativo degli Stati di limitare la giurisdizione ICSID. Il documento analizza come la giurisprudenza ICSID si confronta con queste clausole, introducendo concetti come il "fundamental basis test" per determinare la competenza del Tribunale.
1. Il consenso come fondamento della giurisdizione ICSID
La sezione del documento inizia chiarendo che la giurisdizione ICSID si basa sul consenso dello Stato ospite, generalmente espresso nei BITs. Questo consenso, definito nel Report dei Direttori Esecutivi della Banca Mondiale come "the cornerstone of the jurisdiction of the Centre", non è assoluto. Le parti possono concordare di sottoporre alla giurisdizione ICSID tutte le controversie relative all'investimento, oppure limitare tale consenso temporalmente o a specifiche categorie di controversie. Un'ulteriore possibilità è quella di un consenso condizionato, che prevede il soddisfacimento di determinati requisiti procedurali prima dell'inizio dell'arbitrato. Si cita l'esempio dell'esaurimento dei rimedi interni o l'obbligo di scegliere tra il ricorso alle corti nazionali o all'arbitrato internazionale (clausola 'fork in the road'), quest'ultima particolarmente comune nei BITs. Si sottolinea inoltre la pratica diffusa, nei BITs, di prevedere consultazioni e negoziazioni preliminari per tentare una risoluzione amichevole della controversia prima di ricorrere all'arbitrato.
2. Clausole di scelta del foro domestic forum selection clauses
Il documento analizza l'impatto delle clausole di scelta del foro (domestic forum selection clauses), inserite dagli Stati nei contratti di investimento, sulla giurisdizione ICSID. Queste clausole, che indicano una corte nazionale come foro competente, sono viste come un tentativo degli Stati di limitare il ricorso all'arbitrato internazionale, e vengono definite "the best known of Carlos Calvo's grandchildren". Il testo evidenzia come i tribunali ICSID si siano confrontati con questa pratica, affermando in alcuni casi la propria competenza anche in presenza di tali clausole, priorizzando i procedimenti internazionali rispetto a quelli puramente interni. Un caso analizzato mostra come il tribunale ICSID abbia affermato la propria giurisdizione sull'intero claim, includendo sia l'accordo originale sia i contratti di prestito successivi, motivando la decisione con la generale unità dell'operazione di investimento e il principio della prevalenza dei procedimenti internazionali. Questo evidenzia la complessa interazione tra diritto internazionale e diritto nazionale nella risoluzione delle controversie sugli investimenti.
3. Il Fundamental Basis Test e la competenza ICSID
Il documento introduce il "fundamental basis test" come criterio utilizzato dai tribunali ICSID per decidere sulla propria competenza in presenza di clausole di scelta del foro. Questo test valuta se la base fondamentale della pretesa dell'investitore sia uno standard internazionale previsto nel BIT. Se ciò è vero, il tribunale si dichiara competente e si pronuncia sul merito, anche se ciò richiede l'interpretazione del diritto interno e delle norme contrattuali. Al contrario, se la base della pretesa è contrattuale, prevarranno i contract claims sui treaty claims, e si applicherà la clausola di scelta del foro, con la conseguente dichiarazione di incompetenza del tribunale ICSID. Questo criterio si propone di bilanciare la tutela degli investitori, garantita dai BITs, con il rispetto delle clausole contrattuali stipulate dalle parti. L'applicazione del 'fundamental basis test' non è però sempre lineare e necessita di una valutazione caso per caso, come dimostrato dall'analisi di casi specifici.
IV.Distinzione tra Treaty Claims e Contract Claims
Il documento distingue tra treaty claims, basate sulla violazione di norme dei BITs o del diritto internazionale, e contract claims, derivanti da violazioni contrattuali. Anche se un singolo atto può generare entrambi i tipi di pretese, la giurisprudenza ICSID riconosce la loro distinzione giuridica. Casi come SPP v. Egitto, SGS v. Filippine, e Noble Ventures v. Romania illustrano questa distinzione, evidenziando che non ogni violazione contrattuale implica responsabilità internazionale. L'esercizio del potere sovrano dello Stato ospite è un elemento chiave nella qualificazione di una pretesa come treaty claim.
1. Definizione di Treaty Claims e Contract Claims
Il documento inizia definendo la distinzione tra treaty claims e contract claims nell'ambito dell'arbitrato degli investimenti. Le treaty claims sono basate sulla violazione di norme contenute nei BITs o nel diritto internazionale consuetudinario, mentre le contract claims derivano dalla violazione di norme contrattuali. Si sottolinea che, teoricamente, le contract claims non ricadono sotto la tutela del diritto internazionale, venendo risolte tramite i meccanismi previsti dal contratto stesso (corti nazionali o arbitrato commerciale). Le treaty claims, invece, sono legate alla responsabilità internazionale dello Stato e ricadono nella competenza dei tribunali arbitrali treaty-based. La distinzione è fondamentale per determinare il foro competente e le norme applicabili. Il testo anticipa che, nonostante questa distinzione teorica, nella pratica si possono avere casi in cui un unico atto illecito genera sia treaty claims che contract claims, creando situazioni complesse da gestire.
2. Coesistenza di Treaty Claims e Contract Claims derivanti dallo stesso atto
La sezione approfondisce la complessa relazione tra treaty claims e contract claims, evidenziando che un unico atto illecito può generare entrambi i tipi di pretese. Si cita il caso SPP v. Egitto, in cui il tribunale ha riconosciuto il diritto dell'investitore a un indennizzo per i danni subiti a seguito dell'espropriazione dei suoi diritti contrattuali, evidenziando che i diritti contrattuali possono essere tutelati dal diritto internazionale. Il caso SGS v. Filippine ribadisce questo concetto, affermando che un tribunale treaty-based dovrebbe rivendicare la propria competenza su qualsiasi accusa che, se provata, possa costituire una violazione del BIT. Il caso Noble Ventures v. Romania conferma la coesistenza delle responsabilità a livello nazionale e internazionale, sottolineando l'autonomia dei due sistemi giuridici. Si afferma il principio, considerato ormai consolidato, che treaty e contract claims sono giuridicamente distinte anche se derivanti dallo stesso fatto.
3. La necessità dell esercizio del potere sovrano per le Treaty Claims
Il documento evidenzia che non ogni violazione contrattuale si eleva automaticamente a illecito internazionale. Affinché si possa parlare di violazione del BIT, l'inadempimento contrattuale deve derivare dall'esercizio della potenza pubblica dello Stato, e non da un mero comportamento commerciale. Si citano i casi CMS v. Argentina, Consortium RFCC v. Marocco e Waste Management v. Messico come esempi di questa distinzione. In questi casi, i tribunali ICSID hanno sottolineato che solo l'esercizio del potere sovrano da parte dello Stato ospite (e non il semplice inadempimento contrattuale come parte contraente) può portare a responsabilità internazionale. Atti di natura strettamente commerciale non rientrano quindi nella competenza dei tribunali ICSID, a meno che non siano riconducibili a fattispecie di espropriazione, trattamento ingiusto, o mancata protezione dell'investimento, previste dalle norme dei BIT. Questo elemento è cruciale per determinare la competenza dei Tribunali ICSID.
V.Ruolo delle Umbrella Clauses nella Giurisdizione ICSID
Le umbrella clauses nei BITs possono estendere la giurisdizione ICSID a controversie contrattuali, ma la loro interpretazione è oggetto di dibattito. Alcuni Tribunali, come quello nel caso SGS v. Pakistan, adottano un'interpretazione restrittiva, mentre altri, come nel caso BIVAC v. Paraguay, un'interpretazione più ampia. Il documento discute l'impatto delle umbrella clauses sulle clausole di scelta del foro, evidenziando la necessità di un bilanciamento tra la tutela degli investitori e la sovranità degli Stati. Casi come Azurix v. Argentina, Siemens v. Argentina, e Impregilo v. Pakistan illustrano le diverse posizioni assunte dai Tribunali ICSID.
1. Interpretazioni divergenti delle Umbrella Clauses
La sezione analizza il ruolo delle umbrella clauses nella giurisdizione ICSID, evidenziando l'esistenza di interpretazioni divergenti nella giurisprudenza. Queste clausole, inserite nei BITs, hanno lo scopo di estendere la protezione del trattato agli obblighi contrattuali assunti dallo Stato ospite. Tuttavia, la loro applicazione non è uniforme. Alcuni tribunali, come nel caso SGS v. Pakistan, adottano un'interpretazione restrittiva, considerando che le umbrella clauses non trasformano automaticamente le dispute contrattuali in dispute di investimento ai sensi del BIT, a meno che non vi sia una chiara violazione degli obblighi del trattato o una violazione dei diritti contrattuali di tale portata da innescare la protezione del trattato. Altri tribunali, come nel caso BIVAC v. Paraguay, invece, adottano un'interpretazione più ampia, riconoscendo alla clausola ombrello la facoltà di 'importare' gli obblighi contrattuali nel BIT, conferendo al tribunale ICSID la giurisdizione sull'interpretazione e applicazione del contratto. Questa divergenza di interpretazioni crea incertezza sull'ambito di applicazione di queste clausole.
2. L impatto delle Umbrella Clauses sulle clausole di scelta del foro
Il documento approfondisce l'impatto delle umbrella clauses sulle clausole di scelta del foro (domestic forum selection clauses) inserite nei contratti di investimento. Nel caso SGS v. Pakistan, il tribunale ha sottolineato che un'interpretazione espansiva della clausola ombrello renderebbe impossibile per lo Stato ospite dare esecuzione alla clausola di scelta del foro concordata con l'investitore. Questo creerebbe uno squilibrio a favore dell'investitore, che potrebbe liberarsi dagli impegni contrattuali a proprio piacimento. Il tribunale ha preferito un'interpretazione restrittiva, applicando il principio del 'in dubio pars mitior est sequenda'. Si evidenzia che l'utilizzo della clausola ombrello da parte dell'investitore implica il rispetto di tutti gli obblighi contrattuali, e non solo di quelli a lui favorevoli. Il tribunale può avere giurisdizione grazie alla clausola ombrello ma solo se il contratto viene considerato nella sua interezza. L'interpretazione delle clausole ombrello è dunque cruciale per il bilanciamento tra la tutela dell'investitore e la sovranità dello Stato.
3. Casi significativi e diverse interpretazioni giurisprudenziali
La sezione analizza diversi casi ICSID che illustrano la diversità di approcci giurisprudenziali all'applicazione delle umbrella clauses. Nel caso SGS v. Filippine, il tribunale, pur riconoscendo la propria competenza, ha subordinato l'ammissibilità della pretesa a una pronuncia precedente dei giudici filippini, evidenziando l'incompatibilità tra la scelta del foro esclusivo da parte delle parti contrattuali e l'intenzione dei BIT di dare agli investitori una scelta di foro. Il caso Impregilo v. Pakistan mostra una posizione netta nel rigettare l'applicazione della clausola ombrello quando lo Stato ospite non è parte contrattuale dell'accordo di investimento. Si cita anche il caso Consortium R.F.C.C. v. Marocco che, con una prospettiva simile, limita l'ambito di applicazione dell'articolo 8 del BIT. Infine, si menzionano casi come Azurix v. Argentina e Siemens v. Argentina, in cui i tribunali hanno respinto la pretesa di applicare la clausola ombrello a contratti tra l'investitore e entità locali, sottolineando la necessità di un rapporto diretto tra lo Stato e l'investitore per applicare la clausola stessa. Questo dimostra la variabilità e la complessità dell'interpretazione delle umbrella clauses nella giurisprudenza ICSID.