Il federalismo fiscale municipale

Federalismo Fiscale Municipale

Informazioni sul documento

school/university Corso di Laurea Specialistica in Consulenza Aziendale
subject/major Consulenza Aziendale
Tipo di documento Tesi di Laurea
Lingua Italian
Formato | PDF
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Riassunto

I.Evoluzione del Federalismo Fiscale Municipale in Italia

Il documento analizza l'evoluzione del federalismo fiscale municipale in Italia, evidenziando le sfide e i tentativi di riforma del sistema di finanza locale. Si parte dall'analisi storica, passando per le prime leggi sull'amministrazione comunale (Legge n. 2248 del 1865), evidenziando la persistente questione del divario tra Nord e Sud. Viene discussa la necessità di superare il modello di finanza derivata, dove lo Stato detiene il potere decisionale, a favore di un maggiore decentramento fiscale e autonomia fiscale per i Comuni e le Regioni. L'obiettivo è raggiungere un equilibrio tra responsabilità di spesa e capacità impositiva, garantendo i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP).

1. Le origini del federalismo fiscale e il divario Nord Sud

Il documento inizia tracciando un quadro storico del federalismo fiscale in Italia, sottolineando l'importanza di un disegno evolutivo autonomistico e federalistico per superare il persistente divario tra Nord e Sud. Si cita l'esigenza di una maggiore responsabilità nell'utilizzo delle risorse pubbliche, sia da parte delle Regioni più sviluppate (combattendo chiusure ed egoismi e promuovendo la solidarietà), sia da quelle del Mezzogiorno. La locuzione "federalismo fiscale", sebbene generica, viene definita come un sistema di relazioni finanziarie tra governo centrale e governi periferici, indipendentemente dal tipo di Stato o dalle risorse coinvolte. Il documento collega questa necessità a concetti chiave come il decentramento e l'autonomia, evitando l'interpretazione esclusivamente legata a modelli federali. L'obiettivo è la ricerca di una tassazione più equa e un controllo sulla spesa pubblica, un problema già affrontato da economisti come Adam Smith nel suo "An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations" (1776), che evidenziava la necessità di finanziare le spese locali con entrate locali. La legge n. 2248 del 20 marzo 1865, prima legge sull’unificazione amministrativa del Regno d’Italia e prima legge sull’amministrazione comunale provinciale (articoli 116, 117 e 118), regolamentava entrate e spese comunali, distinguendo tra spese obbligatorie e facoltative, con il governo centrale garante di un livello minimo di servizi. Tuttavia, la coincidenza delle fonti di entrate tra Stato ed enti locali e l'assegnazione ai Comuni di spese di competenza statale (istruzione elementare, guardia nazionale, registri dello stato civile) hanno contribuito alla crisi degli enti locali, limitando l'autonomia impositiva.

2. Il periodo fascista e il modello di finanza derivata

Il periodo fascista, pur accentuando il potere accentratore dello Stato, paradossalmente vide l'emanazione di un "Testo Unico" che rappresentò il massimo grado di federalismo fiscale raggiunto fino ad allora. Questo, tuttavia, non risolse il permanente disavanzo delle casse comunali. Il sistema non prevedeva trasferimenti dallo Stato agli enti locali, ma attribuiva a questi ultimi strumenti tributari di finanziamento (imposta di famiglia, imposta di consumo, imposte sui redditi d'impresa e sull'attività professionale, sovraimposte fondiarie). Nel periodo tra le due guerre mondiali, la finanza comunale si basava su tributi autonomi (imposta sui consumi), sovrimposizioni e compartecipazioni. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, si consolidò un modello di "finanza derivata", con il decreto legge n. 946 del 29 dicembre 1977 ("Stammati 2") che ridefinì i rapporti tra finanza statale e locale, introducendo l'obbligo di bilancio di previsione in pareggio e limiti alla spesa corrente. Il finanziamento si basava sulla spesa storica, con lo Stato che copriva la differenza tra spese ed entrate dei Comuni senza controllo sull'utilizzo delle risorse. Si impose l'innalzamento delle aliquote dei tributi propri comunali e delle tariffe dei servizi. Questo sistema, nonostante i tentativi di riforma da parte di diversi governi (Crispi, Rudinì, Giolitti, Zanardelli, Sonnino, Luzzatti), rimase sostanzialmente invariato fino all'avvento della Legge 42/2009.

3. La Legge di Delega n. 42 del 2009 e il processo di decentramento

La legge di delega n. 42 del 2009 ha rappresentato un tentativo di definire l'assetto complessivo del decentramento in Italia, non solo fiscale e finanziario. Essa individuò i principi direttivi per l'esercizio delle competenze regionali e degli enti locali (Comuni, Province, Città metropolitane), puntando a garantire livelli minimi essenziali di prestazioni ai cittadini. La legge istituì anche organi di raccordo a livello nazionale e locale (Commissione parlamentare, Commissione paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica). Il documento evidenzia l'importanza del nuovo Titolo V della Parte II della Costituzione, che definisce le competenze legislative dello Stato e delle Regioni in materia di sistema tributario, riconoscendo alle Regioni e agli enti locali la possibilità di stabilire e applicare tributi e entrate proprie in armonia con la Costituzione e secondo principi di coordinamento. Si sottolinea però la mancanza di un quadro di insieme nel processo di decentramento, che ha portato ad una limitata efficacia della riforma. Il documento cita la riforma Bassanini (funzioni amministrative) e la riforma costituzionale del Titolo V (funzioni legislative) come premesse positive, ma lamenta un ritardo significativo nel fronte del finanziamento, rimanendo ancorato ad un modello di finanza derivata con responsabilità fiscale regionale limitata. L'asimmetria strutturale tra decentramento amministrativo e legislativo e la mancanza di un adeguato decentramento finanziario sono punti cruciali.

II.Il Ruolo della Legge 42 2009 e il Concetto di Costi Standard

La Legge 42/2009 sulla delega in materia di federalismo fiscale rappresenta un punto di svolta. Il documento analizza il concetto di costi standard per la determinazione dei fabbisogni degli enti locali, evidenziando le difficoltà applicative e le diverse metodologie proposte (bottom-up vs. formule di riparto territoriale). La legge mira a sostituire il criterio della spesa storica con un sistema di finanza propria basato sul fabbisogno necessario valutato al costo standard per i LEP e le funzioni fondamentali, con meccanismi di perequazione per ridurre le differenze territoriali nelle capacità fiscali. La Società per gli Studi di Settore (Sose S.p.a.) e l'IFEL sono citate come enti coinvolti nella definizione dei metodi.

III.Strumenti Tributari e Meccanismi di Perequazione

Il documento analizza gli strumenti tributari per il finanziamento dei Comuni, tra cui l'IMU, l'addizionale IRPEF, l'imposta di soggiorno, e la TASI/TARE. Viene discusso il ruolo dei trasferimenti fiscalizzati e dei fondi perequativi per garantire i LEP e ridurre le disparità tra enti con diverse capacità fiscali. L'importanza del principio di correlazione tra spesa e prelievo è sottolineata, così come l'incentivazione delle condotte virtuose e l'introduzione di sanzioni per gli enti in dissesto finanziario. La Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica svolge un ruolo chiave nella ripartizione delle risorse.

IV.Il Ruolo delle Regioni a Statuto Speciale e le Questioni di Legittimità Costituzionale

Il documento affronta la questione dell'applicazione del federalismo fiscale alle Regioni a statuto speciale, evidenziando le clausole di salvaguardia contenute nella Legge 42/2009 per garantire la loro autonomia. Viene menzionata la sentenza della Corte Costituzionale n. 64/2012 riguardo alla compatibilità del decreto legislativo 23/2011 con gli statuti regionali speciali. La compatibilità con il Titolo V della Costituzione e il principio di unità della Repubblica sono punti chiave della discussione.