Finanziamenti non bancari: Forfaiting, Factoring e Project Financing
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Riassunto
I.Causa Concreta e Nullità del Contratto Preliminare di Preliminare
Il documento analizza la causa concreta nei contratti preliminari, focalizzandosi sulla controversa questione del cosiddetto “preliminare di preliminare”. Si discute la sentenza Cass. 2 aprile 2009, n. 8038, che sanziona la nullità per mancanza di elemento causale in tali casi. Si critica l'estensione del concetto di causa in concreto anche a queste ipotesi, sostenendo che un preliminare di preliminare, se privo di un interesse meritevole di tutela, risulta in una superfetazione inconcludente. Si cita il contributo critico di V. Roppo, che evidenzia eccezioni possibili a tale principio, basate sulla valutazione dello scopo concreto dei contraenti. La Corte di Cassazione, invece, ritiene che le parti si obbligano direttamente alla conclusione del contratto definitivo, rinviando ad un atto successivo solo per ragioni formali (es. trascrizione).
1. La Nullità del Preliminare di Preliminare secondo la Cassazione
La sezione inizia affrontando la questione della nullità del contratto preliminare di preliminare, recentemente sanzionata dalla Cassazione (sentenza 2 aprile 2009, n. 8038). La Corte di Cassazione ha stabilito che l'articolo 2932 c.c. implica un collegamento strumentale diretto e necessario tra il contratto preliminare e quello definitivo, entrambi volti a realizzare il risultato finale concordato dalle parti. La Corte ritiene che obbligare le parti ad obbligarsi ulteriormente (preliminare di preliminare) crei una superfetazione inconcludente, priva di un interesse meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico. L'argomentazione si basa sulla possibilità di assumere l'impegno definitivo immediatamente, senza la necessità di un ulteriore passaggio contrattuale. In sostanza, per la Cassazione, un preliminare di preliminare è nullo per mancanza dell'elemento causale se non sorretto da un interesse giuridicamente rilevante. La sentenza si concentra sull’aspetto strumentale del contratto preliminare, relegando ad un ruolo secondario la causa in concreto.
2. La Critica di V. Roppo e l Esame della Causa Concreta
La posizione della Corte di Cassazione viene criticata da V. Roppo, il quale sostiene che la nullità per carenza di causa in un preliminare di preliminare non dovrebbe essere automatica. Roppo ritiene necessario un preventivo esame della causa concreta, al fine di valutare se sussista un interesse meritevole di protezione. A supporto di questa tesi, Roppo fornisce l'esempio di contraenti che, stipulando un preliminare di compravendita immobiliare, si impegnano a stipulare successivamente un preliminare con atto pubblico per la trascrizione. In questo caso, secondo Roppo, la nullità non sarebbe giustificata, in quanto lo scopo concreto perseguito dalle parti è chiaro e meritevole di tutela. Tuttavia, il documento ritiene che l’esempio di Roppo non sia sufficiente a confutare la posizione della Cassazione, in quanto in questo caso specifico le parti si sono obbligate fin da subito alla compravendita definitiva, usando l’atto pubblico solo per ragioni formali analoghe a quelle del compromesso di vendita. Si conclude che la nozione di causa in concreto non sembra necessaria in un’ipotesi di mero consenso preliminare ad un successivo preliminare.
II.Impossibilità Sopravvenuta e Causa Concreta
L'articolo approfondisce il rapporto tra impossibilità sopravvenuta e causa concreta. Si esamina la sentenza Cass. 20 dicembre 2007, n. 26958, che estende la rilevanza della causa concreta anche all'ipotesi di impossibilità sopravvenuta, considerandola un criterio di adeguamento del rapporto negoziale. La sentenza, criticata dalla dottrina (Rolfi), arriva a considerare la morte di un contraente (in un contratto alberghiero) come rilevante ai fini della causa concreta, determinando la sopravvenuta irrealizzabilità del contratto. Questo aspetto è oggetto di ampio dibattito, con la dottrina che solleva dubbi sulla distribuzione del rischio tra debitore e creditore.
1. La Sentenza Cassazione 20 Dicembre 2007 n. 26958 Impossibilità Sopravvenuta e Causa Concreta
La sezione analizza la sentenza della Corte di Cassazione del 20 dicembre 2007, n. 26958, che affronta il tema dell'impossibilità sopravvenuta e del suo impatto sulla causa concreta del contratto. La Corte afferma che l'impossibilità di fruire dell'esecuzione della prestazione, se non imputabile al creditore, incide sulla causa concreta del negozio, determinandone la sopravvenuta irrealizzabilità e l'estinzione del rapporto obbligatorio. Questo principio è analogo alla disciplina della risoluzione per impossibilità sopravvenuta. La sentenza evidenzia che il concetto di causa concreta assume rilievo come criterio di adeguamento del rapporto negoziale, considerato nel suo aspetto dinamico-effettuale. Un aspetto particolarmente rilevante è che la sentenza estende il concetto di causa concreta anche a casi che potrebbero apparire inusuali, come l'esempio di un contratto alberghiero risolto per la morte di uno dei coniugi prima del soggiorno. Questo aspetto della sentenza è ritenuto particolarmente problematico.
2. Le Criticità Dottrinali e la Distribuzione del Rischio
La dottrina mostra un atteggiamento critico nei confronti della sentenza della Cassazione del 2007. F. Rolfi, in particolare, solleva dubbi sull'opportunità di far gravare sul debitore il rischio del sopravvenuto venir meno dell'interesse del creditore alla prestazione. La critica si concentra sull’estensione del concetto di causa concreta a fattispecie che potrebbero sembrare estranei alla sua tradizionale applicazione, come la morte di un contraente in un contratto alberghiero. Questo approccio, secondo i critici, potrebbe portare ad una eccessiva incertezza e ad una difficile prevedibilità delle conseguenze contrattuali, con possibili ripercussioni sulla corretta allocazione del rischio tra le parti coinvolte. La dottrina, quindi, si interroga sulla corretta interpretazione e applicazione del concetto di causa concreta in relazione all'impossibilità sopravvenuta, soprattutto in casi in cui l’evento imprevedibile colpisce l'interesse del creditore alla prestazione, generando una situazione di squilibrio contrattuale che la sentenza sembra risolvere in modo controverso.
III.Lex Mercatoria e Principi Unidroit
Il documento tratta la lex mercatoria, definendola come un sistema di norme elaborate dai mercanti per colmare le lacune degli ordinamenti nazionali e garantire certezza giuridica negli affari internazionali. Si evidenzia la sua attuale attualità, nonostante i tentativi di accentramento normativo da parte degli Stati nazionali. Si discute poi dei Principi Unidroit, presentandoli come una sorta di “nuovo codice internazionale” del diritto dei contratti commerciali internazionali, capace di rilanciare l’uso normativo nel contesto della globalizzazione. Si fa riferimento a M.J. Bonell e R. Rolli per approfondimenti sui Principi Unidroit, e al contributo di F. Galgano che li definisce “dispotici”, espressione della “business community”.
1. La Lex Mercatoria Origine e Attualità
La sezione introduce la lex mercatoria, definendola come un fenomeno giuridico nato nel Medioevo e nel Rinascimento. Si tratta di un insieme di norme elaborate dai mercanti per colmare le lacune legislative degli ordinamenti nazionali e garantire certezza giuridica ai propri affari, estendendo la loro applicabilità oltre i confini territoriali e i particolarismi giuridici dell'epoca. Nonostante le sue origini pre-statali, la lex mercatoria mantiene attualità nell'epoca della globalizzazione, in cui le esigenze di uniformità giuridica sono sentite a livello politico. Le regolamentazioni nazionali, infatti, rappresentano spesso un limite o un ostacolo allo sviluppo dei commerci transfrontalieri, che richiedono invece schemi e clausole contrattuali uniformi, indipendentemente dal luogo di conclusione del contratto e dalla nazionalità delle parti. L’articolo sottolinea la persistenza della lex mercatoria come risposta alle esigenze di uniformità e certezza nel commercio internazionale, nonostante gli sforzi degli stati nazionali di centralizzare la normativa.
2. Natura Giuridica della Lex Mercatoria e i Principi Unidroit
Segue una discussione sulla natura giuridica della lex mercatoria, evidenziando il dibattito tra chi la considera espressione di norme consuetudinarie internazionali e chi ne sottolinea le differenze rispetto all’usus normativo. La lex mercatoria non richiede la costante ripetizione di comportamenti, essendo flessibile e adattabile alle esigenze commerciali. La sua collocazione fuori dalla categoria consuetudinaria le permette di avere una capacità normativa anche in presenza di norme giuridiche contrarie, rispondendo così alla necessità di una regolamentazione degli affari che, pur essendo contra legem, sia più efficace. La sezione introduce poi i Principi Unidroit (Unidroit Principles of International Commercial Contracts), analizzando le loro edizioni (1994, 2004, 2010) e il loro meccanismo di applicazione, che richiede il consenso esplicito delle parti. La versione ufficiale è pubblicata sul sito web dell'Unidroit (http://www.unidroit.org). Si citano diversi autori (M.J. Bonell, R. Rolli, F. Galgano, F. Ferrari) che hanno studiato approfonditamente i Principi Unidroit, evidenziando opinioni diverse sulla loro natura e sul loro impatto sul diritto internazionale dei contratti.
IV.Contratti di Finanziamento e il Mutuo di Scopo
Viene analizzata la nozione di contratti di finanziamento, distinguendoli dal mutuo tradizionale. Si definisce il mutuo di scopo come un contratto consensuale, non reale, in cui il debitore si obbliga non solo alla restituzione della somma, ma anche alla realizzazione di uno scopo specifico. Questo aspetto influisce sulla causa del contratto, che va oltre il mero godimento del denaro mutuato. Si citano il decreto del Ministro del Tesoro del 6 luglio 1994 e la normativa del Testo Unico Bancario (TUB) e del Testo Unico Finanziario (TUF) per la definizione di attività finanziaria.
1. Definizione dei Contratti di Finanziamento e il Ruolo del Mutuo di Scopo
La sezione inizia definendo i contratti di finanziamento, distinguendoli dal mutuo tradizionale. Una pronuncia storica della Corte di Cassazione definisce i contratti di finanziamento come quei contratti di mutuo di scopo o di destinazione, preordinati per legge o per volontà delle parti al perseguimento di determinate finalità. Questi si differenziano dal mutuo tipico per diversi aspetti: il perfezionamento (consensuale e non reale), la struttura (il mutuatario si obbliga non solo alla restituzione ma anche alla realizzazione dello scopo previsto), e la causa (la prestazione di scopo assume rilievo corrispettivo dell’attribuzione della somma, la cui disponibilità è strumentale all’interesse, pubblico o privato, di conseguire la finalità stabilita). Il decreto del Ministro del Tesoro del 6 luglio 1994, volto a chiarire la nozione di attività finanziaria ai sensi dell'art. 106 TUB, elenca diversi tipi di finanziamento, comprendendo locazione finanziaria, acquisto di crediti, credito al consumo (eccetto la dilazione di pagamento), credito ipotecario, prestito su pegno e rilascio di garanzie. Il documento evidenzia come la natura del contratto dipenda sia da elementi oggettivi (tipologia contrattuale) che soggettivi (il soggetto coinvolto deve essere una banca o un intermediario finanziario).
2. Elemento Oggettivo e Soggettivo nei Contratti di Finanziamento
La definizione di contratto di finanziamento non si basa solo sull'elemento oggettivo, ovvero la tipologia contrattuale, ma anche su quello soggettivo, ossia la natura del soggetto coinvolto nell'operazione. Per qualificare un contratto come di finanziamento, il soggetto coinvolto deve essere una banca o un altro intermediario finanziario, secondo i criteri stabiliti dal Testo Unico Bancario (TUB) e dal Testo Unico Finanziario (TUF). Questa prospettiva integra la definizione fornita dalla Corte di Cassazione, che sottolinea l'importanza della destinazione del denaro mutuato e del conseguimento di una finalità specifica come elemento costitutivo del contratto di finanziamento. L'analisi si concentra sul mutuo di scopo, evidenziando come la sua funzione economico-sociale non si limiti al mero godimento del denaro, ma riguardi anche la sua futura destinazione, legata al raggiungimento di un obiettivo prestabilito. Si fa riferimento al decreto ministeriale del 6 luglio 1994 come elemento fondamentale per definire l'attività di finanziamento in Italia.
V.Il Forfaiting
Il documento illustra il forfaiting, un'operazione finanziaria che facilita gli scambi internazionali, consentendone l'anticipazione del pagamento dei crediti all'esportatore, con l'assunzione del rischio di insolvenza da parte del forfaiter. Si evidenzia la funzione del forfaiting nella riduzione dei rischi per l’esportatore e la negoziabilità degli effetti cambiari sul mercato secondario. Si analizzano le diverse fasi dell’operazione, il ruolo delle parti (esportatore, importatore, forfaiter), e i diversi tipi di rischio coinvolti. Viene inoltre confrontato l’uso di cambiali tratte e pagherò cambiari in questa operazione, soffermandosi sulla responsabilità dell'esportatore riguardo alla validità dei titoli.
1. Il Forfaiting Meccanismo e Ruolo delle Parti
Il forfaiting viene presentato come uno strumento finanziario che facilita gli scambi internazionali, consentendo all'esportatore di ottenere il pagamento anticipato dei propri crediti. L'operazione prevede il coinvolgimento di tre soggetti principali: l'esportatore, l'importatore e il forfaiter. L'importatore desidera acquistare beni o servizi da un fornitore estero ma necessita di dilazionare il pagamento. L'esportatore, invece, vuole vendere i propri prodotti o servizi senza essere gravato dagli elevati rischi connessi alle transazioni internazionali. Il forfaiter, un intermediario finanziario solitamente una banca, acquista i crediti dell'esportatore, anticipandone l'importo e assumendosi il rischio di insolvenza dell'importatore. Questo meccanismo riduce i rischi per l'esportatore, che riceve il pagamento immediato, e permette all'importatore di ottenere una dilazione di pagamento. Gli scambi commerciali tra Paesi diversi comportano rischi maggiori rispetto a quelli tra operatori dello stesso Stato, a causa di difficoltà nell’appurare l’affidabilità della controparte e di eventi economico-finanziari esterni.
2. Effetti Cambiari Negoziabilità e Ripartizione del Rischio
Il forfaiting utilizza spesso effetti cambiari (cambiali tratte e pagherò) per rappresentare il credito, favorendo la negoziabilità e la suddivisione del rischio. La facile negoziabilità degli effetti cambiari, espressi generalmente in valute forti (dollaro USA, euro, yen), sul mercato secondario rappresenta un incentivo economico per il forfaiter, oltre al compenso derivante dalla detrazione dell'interesse al momento dell'anticipazione. Il ricorso agli effetti cambiari permette di suddividere il credito in più documenti che circolano ulteriormente, anche nell'ambito di un'ulteriore operazione di forfaiting. La garanzia offerta, spesso da una banca importante dello Stato dell'importatore, aumenta il valore intrinseco dei titoli. Il documento sottolinea che l'assunzione del rischio di insolvenza da parte del forfaiter è la caratteristica principale che differenzia il forfaiting dallo sconto bancario, in cui tale rischio grava sul cedente. Per questo motivo, nel gergo finanziario si parla di 'sconto pro soluto' o 'sconto senza rivalsa', a differenza dello 'sconto pro solvendo' del codice civile.
3. Fasi del Forfaiting e Ruolo del Forfaiter
L'operazione di forfaiting si articola in tre fasi principali: una fase preparatoria (senza obbligazioni), in cui l'esportatore, tramite la sua banca, richiede al forfaiter un'offerta di anticipazione; una fase di negoziazione e conclusione del contratto, dove il forfaiter definisce il tasso di interesse in base ai dati forniti dall'esportatore (soggetti coinvolti, oggetto e modalità dell’affare, natura commerciale o finanziaria dell’affare); ed una fase esecutiva, con la cessione dei crediti, l’anticipazione dell’importo e la detrazione dell’interesse. Il forfaiter svolge un ruolo fondamentale nella valutazione dei rischi e nell'assunzione di quelli legati all'insolvenza dell'importatore. Il primo forfaiter (mercato primario) ha un ruolo cruciale nel verificare la transazione commerciale sottostante e la buona fede dell'impegno della banca garante. A differenza dei forfaiter successivi, ha maggiori possibilità di richiedere attestazioni e limitare il rischio di documenti falsi. Si evidenzia anche la preferenza del forfaiter primario di non rivelare il nome del suo cliente esportatore, inducendo così i forfaiter successivi ad una maggiore diligenza.
4. Responsabilità dell Esportatore e Confronto con altre Operazioni
Il documento approfondisce la responsabilità dell'esportatore in caso di invalidità degli effetti cambiari, evidenziando la differenza tra la Convenzione di Ginevra e altre normative. M. Pittalis sottolinea la responsabilità dell'esportatore per l'invalidità degli effetti e delle obbligazioni incorporate, per difetto di autenticità delle sottoscrizioni o di legittimazione dei firmatari. S. Monticelli specifica la responsabilità per la regolarità formale dei titoli e la necessità di visti e autorizzazioni. Anche la giurisprudenza conferma questa responsabilità, specificando che la garanzia sull’esistenza del credito può essere esclusa solo da una clausola specifica. Si discute della garanzia a prima richiesta e della sua autonomia rispetto al rapporto principale, evidenziando il dibattito sulla sua circolazione insieme ai titoli. Il forfaiting viene poi confrontato con lo sconto bancario, evidenziando l'assunzione del rischio di inadempimento da parte del forfaiter, a differenza dello sconto bancario tradizionale (art. 1859 c.c.). Si preferisce definire il forfaiting come 'sconto senza rivalsa' piuttosto che 'sconto pro soluto'.
VI.Factoring e il suo Confronto con il Forfaiting
Si passa quindi all’analisi del factoring, evidenziandone le differenze con il forfaiting. Le principali distinzioni riguardano l'oggetto della cessione (crediti specifici nel forfaiting, crediti generici nel factoring), la responsabilità per l'inadempimento del debitore (esclusa nel forfaiting, presente nel factoring), e la natura dei crediti ceduti (negoziabili nel forfaiting). Si cita la normativa italiana sul factoring (legge speciale) e il suo confronto con i modelli anglosassoni. Si approfondisce il factoring internazionale, inclusi i concetti di export-factor, import-factor, e direct import factor. Si analizza la Convenzione Uncitral del 2001 sul factoring internazionale e le sue criticità, inclusa la sua mancata entrata in vigore.
1. Differenze tra Factoring e Forfaiting
La sezione confronta il factoring con il forfaiting, evidenziando le principali differenze. L'oggetto della cessione è il primo elemento distintivo: nel forfaiting riguarda una singola posizione di credito derivante da un contratto di fornitura o da una specifica opera, mentre nel factoring si riferisce generalmente a tutti i crediti del cedente, anche futuri. Un'altra differenza sostanziale risiede nella responsabilità per il mancato adempimento da parte del debitore: nel factoring, questa responsabilità rimane in capo al factor (cedente), mentre nel forfaiting è totalmente a carico del forfaiter (cessionario), costituendo questa esclusione di rivalsa una caratteristica fondamentale del forfaiting. Infine, la natura dei crediti ceduti differisce: nel forfaiting sono rappresentati da strumenti negoziabili, alimentando i mercati secondari, mentre nel factoring ciò è tendenzialmente assente. H.J. Waterman, nel suo lavoro sul forfaiting, contribuisce a delineare queste distinzioni chiave tra i due istituti.
2. Factoring Italiano e il Modello Anglosassone
Il documento evidenzia le differenze tra il factoring italiano e quello anglosassone, notando come l’introduzione di modelli contrattuali stranieri in altri ordinamenti ne comporti spesso l'adattamento alle peculiarità e alle esigenze del nuovo contesto. Il factoring italiano si distingue dal modello anglosassone principalmente per la qualifica delle parti contraenti, la natura dei crediti (che possono includere anche crediti futuri, a determinate condizioni), la possibilità di una cessione in massa dei crediti, e l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi, anche in caso di anticipo parziale del corrispettivo da parte del cessionario. La legge italiana sul factoring, pur affiancandosi alla disciplina codicistica della cessione, si concentra su aspetti problematici specifici come l'efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto e dei terzi, l'efficacia traslativa dei crediti futuri, la cessione in massa e la revocatoria fallimentare, evitando di affrontare il factoring pubblico (crediti verso la Pubblica Amministrazione).
3. Factoring Internazionale Aspetti e Criticità della Convenzione UNCITRAL
La sezione approfondisce il factoring internazionale, introducendo i concetti di export-factor e import-factor, e la possibilità, seppur rara, di un direct import factor (medesima nazionalità del factor e dell'importatore). L'anticipazione dei crediti, spesso effettuata dall’export-factor, non è un elemento imprescindibile, mentre la garanzia di solvenza dell’import-factor (cessione pro soluto, without recourse o senza rivalsa) è invece tipica del factoring internazionale, a differenza di quello interno. Questa garanzia è spesso preferita dalle imprese che operano con clienti stranieri a causa dei rischi connessi agli scambi transfrontalieri. La Convenzione UNCITRAL del 2001 sul factoring internazionale è poi analizzata, evidenziando la sua definizione di ‘internazionalità’, giudicata da alcuni restrittiva e da altri eccessivamente ampia. Le lacune normative lasciate dalla Convenzione e le difficoltà di applicazione dei principi generali in casi di invalidità contrattuale, conflitti tra cessionari e fallimento, sono evidenziate, sottolineando la necessità di ricorrere alle norme di diritto internazionale privato per individuare la legge nazionale applicabile. Si fa riferimento al lavoro di A. Frignani e M. Torcello sulla Convenzione UNCITRAL, e alle criticità relative alla sua mancata entrata in vigore.
VII.Project Financing e la Ripartizione dei Rischi
L'articolo descrive il project financing, un meccanismo di finanziamento per progetti self-liquidating, sia pubblici che privati. Si focalizza sulla ripartizione dei rischi tra i diversi soggetti coinvolti (finanziatori, promotori, società di progetto, appaltatori). L’analisi considera le diverse forme di garanzie utilizzate per mitigare i rischi di inadempimento o impossibilità sopravvenuta, e le conseguenze di un’eventuale concentrazione dei rischi su un unico soggetto. Si accenna all’importanza del loan agreement o financing agreement e alle clausole contrattuali per proteggere il finanziatore. Si approfondisce il ruolo dei finanziatori e le loro modalità di intervento, dalla fase iniziale di progettazione fino alla gestione del progetto.
1. Confronto tra Factoring e Forfaiting Aspetti Principali
Questa sezione del documento confronta il factoring e il forfaiting, mettendo in luce le principali differenze tra i due istituti. In particolare, si sottolinea la diversità nell'oggetto della cessione: nel forfaiting si cede una singola posizione di credito derivante da un contratto di fornitura o da una prestazione d'opera specifica; nel factoring, invece, l'oggetto della cessione è generalmente costituito da tutti i crediti del cedente, anche quelli futuri. Un altro punto di divergenza riguarda la responsabilità per l'inadempimento del debitore: nel factoring, il factor (cedente) conserva tale responsabilità; nel forfaiting, al contrario, l'assunzione del rischio di inadempimento è a carico esclusivo del forfaiter (cessionario), caratteristica che esclude ogni azione di rivalsa nei confronti del cedente. Infine, si evidenzia la differenza nella natura dei crediti ceduti: nel forfaiting si tratta di strumenti negoziabili che alimentano il mercato secondario, un elemento tendenzialmente assente nel factoring. H.J. Waterman viene citato come autorevole riferimento per approfondire questi aspetti.
2. Il Factoring Italiano Differenze rispetto al Modello Anglosassone
La sezione evidenzia le differenze tra il factoring italiano e il modello anglosassone, sottolineando come l'adattamento di modelli contrattuali stranieri a nuovi ordinamenti giuridici porti spesso alla previsione di elementi e caratteri peculiari. Il factoring italiano si distingue dal modello anglosassone per diversi aspetti: la qualifica delle parti contraenti, la natura dei crediti ceduti (che possono includere anche crediti futuri, a determinate condizioni), la possibilità di una cessione in massa dei crediti e l’efficacia della cessione nei confronti dei terzi, anche in presenza di un anticipo solo parziale del corrispettivo. Si evidenzia che la legislazione italiana sul factoring, pur affiancandosi alla disciplina codicistica della cessione, si concentra sui profili più problematici: l’efficacia della cessione nei confronti del debitore ceduto e dei terzi, l’efficacia traslativa dei crediti futuri, la cessione in massa e la revocatoria fallimentare. Si segnala, inoltre, la scelta del legislatore di non affrontare tematiche complesse come il factoring pubblico (crediti verso la Pubblica Amministrazione), per evitare di rallentare l’iter legislativo.
3. Factoring Internazionale e la Convenzione UNCITRAL del 2001
L'analisi prosegue con il factoring internazionale, introducendo le figure dell’export-factor, dell’import-factor e la meno frequente ipotesi del direct import factor, in cui il factor ha la stessa nazionalità dell'importatore. Si sottolinea come l'anticipazione dei crediti da parte dell’export-factor non sia un elemento imprescindibile, a differenza della garanzia di solvenza fornita dall’import-factor (cessione pro soluto, without recourse, o senza rivalsa), tipica del factoring internazionale a causa dei rischi maggiori degli scambi transfrontalieri. La Convenzione UNCITRAL del 2001 sul factoring internazionale viene poi esaminata, evidenziando la sua definizione di ‘internazionalità’, considerata da alcuni troppo restrittiva e da altri eccessivamente ampia. Si mettono in luce le difficoltà interpretative e le lacune normative della Convenzione, in particolare per quanto riguarda la validità del contratto, i conflitti tra cessionari, i conflitti tra cessionario e creditori del cedente, e le situazioni di fallimento. Si sottolinea anche la mancanza di disposizioni sui rapporti tra i factors e le ripercussioni sul contratto di cessione della risoluzione del contratto principale, e la conseguente necessità di ricorrere al diritto internazionale privato per colmare queste lacune. Il lavoro di A. Frignani e M. Torcello sulla Convenzione UNCITRAL viene citato, insieme alla critica alla sua mancata entrata in vigore.
VIII.Contratto Autonomo di Garanzia
Il documento conclude con una sezione sul contratto autonomo di garanzia, analizzando la sua natura giuridica e le relative controversie dottrinali e giurisprudenziali. Si evidenzia il dibattito sulla sua validità e sui suoi limiti, in particolare riguardo alla presenza o meno della causa. La discussione si concentra sull’accessorietà o meno dell’obbligazione del garante e sulle eccezioni opponibili. Si citano le sentenze della Cassazione relative a questo tipo di contratto, con particolare attenzione alla giurisdizione competente (Cass., Ss.Uu., 3 giugno 2013, n. 13900).
1. Il Contratto Autonomo di Garanzia Natura e Dibattito Dottrinale
La sezione introduce il contratto autonomo di garanzia, evidenziando la sua funzione di assicurare il soddisfacimento dei crediti senza complessi accertamenti sulla sussistenza del credito stesso. La definizione, tratta da Schinnerer-Avancini, viene citata. Il contratto autonomo di garanzia ha suscitato un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla sua validità, con un orientamento che ne contestava la validità per mancanza di causa (art. 1418 c.c.), in quanto configurabile come obbligazione astratta. Un orientamento opposto, invece, afferma che l’obbligazione del garante non è priva di causa, avendo una funzione economico-sociale nel rendere possibile la stipulazione del contratto principale. La Cassazione (19 marzo 1992, n. 3465) si è espressa in questo senso, sottolineando l’assenza di accessorietà come elemento caratterizzante. Tuttavia, il documento segnala che la prassi contrattuale prevede spesso clausole in cui il garante si obbliga a pagare a prima richiesta e senza eccezioni solo dopo la dichiarazione del beneficiario sul mancato adempimento del debitore, creando dubbi sull’opponibilità di eccezioni basate sul contratto di base.
2. Clausole Contrattuali e Opponibilità delle Eccezioni
Si approfondisce il tema delle clausole contrattuali tipiche del contratto autonomo di garanzia, in cui il garante si obbliga a pagare a prima richiesta e senza eccezioni, sulla base di una dichiarazione del beneficiario in merito al mancato adempimento del debitore. Questo aspetto solleva la questione dell’opponibilità, da parte del garante, di eccezioni fondate sul contratto di base. La giurisprudenza ha contribuito a sciogliere questi dubbi, ma l’analisi del testo evidenzia la complessità delle dinamiche giuridiche e interpretative che caratterizzano questo tipo di contratto. L’inserimento di clausole che subordinano l’obbligo del garante alla dichiarazione del beneficiario in merito al mancato adempimento del debitore principale introduce una forma di connessione, seppure indiretta, tra l’obbligazione di garanzia e il contratto principale. La discussione si concentra sull’equilibrio tra la necessità di garantire certezza e speditezza negli affari e la tutela dei diritti delle parti coinvolte, in particolare del garante, relativamente all’opponibilità di eccezioni derivanti dal contratto principale.
3. Giurisdizione Competente e Conclusioni
La sezione affronta infine la questione della giurisdizione competente per le controversie relative al contratto autonomo di garanzia. Si cita la sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione del 3 giugno 2013, n. 13900, che stabilisce la competenza del giudice italiano nel luogo in cui ha sede la società beneficiaria della garanzia, anche nel caso di garanzia prestata da una banca estera. La sentenza considera la prestazione del garante come qualitativamente diversa da quella del debitore principale, con una funzione riparatoria del pregiudizio subito dal creditore. Secondo l’art. 57 della legge n. 218 del 1995 e gli artt. 4 e 5 della Convenzione di Roma del 1980, il collegamento più stretto è con l’Italia, dove ha sede la società beneficiaria. Il documento si conclude senza ulteriori approfondimenti, lasciando aperta la discussione sulle complessità interpretative e applicative del contratto autonomo di garanzia, in relazione all’autonomia delle singole obbligazioni e alle possibili divergenze di leggi applicabili.
