Ristrutturazione debiti: guida
Informazioni sul documento
| Lingua | Italian |
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| Specialità | Diritto Commerciale/Diritto Fallimentare |
| Tipo di documento | Articolo Accademico/Capitolo Di Libro |
Riassunto
I.Il Diritto Fallimentare Europeo e la Necessità di Ristrutturazione Preventiva
Per secoli, il diritto fallimentare in Italia e in Europa si è concentrato su procedure liquidatorie, portando all'uscita definitiva delle imprese dal mercato. Questo approccio, spesso caratterizzato da eccessive lungaggini e scarsa efficienza, si è rivelato inadeguato a tutelare gli interessi dei creditori. La necessità di un intervento radicale è diventata evidente alla fine del secolo scorso, portando all'adozione di un'ottica completamente nuova che privilegia la ristrutturazione preventiva delle imprese in crisi e il loro ritorno in bonis, nell'interesse di tutte le parti coinvolte, inclusi i creditori. L'obiettivo principale è quello di prevenire l'insolvenza, anticipando l'intervento di ristrutturazione e migliorando l'efficienza delle procedure concorsuali. Questo cambiamento di prospettiva si ispira al modello americano del Chapter 11, ma con una maggiore flessibilità lasciata agli Stati membri nell'implementazione.
1.1. L Inefficienza dei Sistemi Liquidatori Tradizionali
Il documento evidenzia come, per secoli, il diritto fallimentare in Italia e nel resto d'Europa si sia basato principalmente su procedure liquidatorie. Queste procedure, con la loro caratteristica vendita atomica dei beni aziendali spesso a prezzi ribassati, si sono dimostrate inefficienti nel soddisfare le ragioni dei creditori. Inoltre, l'eccessiva durata e la scarsa funzionalità delle procedure, dovute a formalismi inutili e alla scarsa competenza degli organi preposti, hanno ulteriormente aggravato la situazione. La conclusione è che questo sistema ha portato all'uscita definitiva delle imprese (e degli imprenditori) dal mercato, con conseguenze negative per tutti gli stakeholder. L'analisi del passato sottolinea la necessità di un cambiamento radicale nel settore delle procedure concorsuali, evidenziando i limiti di un approccio puramente liquidatorio e la necessità di un approccio più efficace e tempestivo nel gestire le crisi d'impresa.
1.2. L Emergere della Ristrutturazione Preventiva come Soluzione
Sul finire del secolo scorso, la necessità di un intervento radicale nel diritto fallimentare è diventata evidente in tutta Europa. Tuttavia, questo intervento non ha mantenuto l'impostazione tradizionale del fallimento. Si è invece adottata un'ottica completamente nuova che privilegia la prosecuzione dell'attività d'impresa e il suo ritorno in bonis. Questa nuova prospettiva si basa sulla convinzione che la continuità aziendale sia funzionale al miglior soddisfacimento degli interessi di tutte le parti coinvolte, a partire dai creditori. Il passaggio da un modello puramente liquidatorio ad uno che punta alla ristrutturazione preventiva rappresenta un cambiamento epocale, un'innovazione volta a mitigare le conseguenze negative delle crisi d'impresa e a proteggere il tessuto economico nel suo complesso. L'obiettivo è di preservare il valore dell'azienda e di massimizzare il recupero dei crediti per i creditori, garantendo al contempo la possibilità di rilancio per l'imprenditore.
1.3. Il Ruolo del Chapter 11 Americano e la Necessità di Armonizzazione Europea
Il testo fa riferimento al Chapter 11 del codice fallimentare americano come modello di riferimento per la ristrutturazione preventiva delle imprese. Questo modello, incentrato sulla riorganizzazione dell'attività aziendale e sulla liberazione dai debiti arretrati, dimostra l'efficacia di un approccio preventivo alla crisi. Il documento evidenzia, tuttavia, le difficoltà nell'emulare questo modello in Europa a causa di differenze culturali e di tradizioni consolidate nei sistemi fallimentari nazionali. Le diverse legislazioni degli Stati membri, profondamente eterogenee, creano ostacoli significativi per le grandi imprese transfrontaliere che necessitano di un unico piano di ristrutturazione valido per tutti i componenti del gruppo. Questo sottolinea la necessità di un'armonizzazione del diritto fallimentare europeo, al fine di creare un quadro normativo coerente ed efficace che consenta una gestione più efficiente delle crisi d'impresa a livello sovranazionale, evitando frammentazioni e inefficienze.
II.La Proposta di Direttiva del 2016 Standard Minimi e Flessibilità Nazionale
La Proposta di Direttiva del 22 novembre 2016 introduce standard minimi per le procedure di ristrutturazione preventiva, seconda opportunità e miglioramento dell'efficienza delle procedure concorsuali, lasciando ampia libertà agli Stati membri nell'attuazione. Non impone un modello unico, ma richiede la previsione di una o più procedure di ristrutturazione preventiva con determinate caratteristiche, anche modificando o adattando quelle già esistenti. L'obiettivo è il ravvicinamento delle legislazioni nazionali, incentivando interventi tempestivi per prevenire l'insolvenza.
2.1. Obiettivi e Natura della Proposta di Direttiva del 2016
La Proposta di Direttiva del 22 novembre 2016 si concentra su tre obiettivi principali: la ristrutturazione preventiva delle imprese in crisi, la concessione di una seconda opportunità agli imprenditori e il miglioramento dell'efficienza di tutte le procedure concorsuali. Si tratta di una direttiva che stabilisce standard minimi, lasciando ampia flessibilità agli Stati membri nell'attuazione. Non introduce un modello di procedura comune, ma impone agli Stati membri l'obbligo di prevedere una o più procedure di ristrutturazione preventiva con specifiche caratteristiche, modificando o adattando quelle già esistenti. L'accento è posto sulla necessità di anticipare il più possibile l'intervento di ristrutturazione per prevenire l'insolvenza, migliorando così l'efficacia delle procedure concorsuali e garantendo una maggiore protezione per i creditori. La flessibilità concessa agli Stati membri permette di adattare le nuove norme al contesto nazionale specifico, evitando un approccio eccessivamente rigido e uniformante che potrebbe non essere adeguato alle diverse realtà economiche e giuridiche.
2.2. Standard Minimi e Principi Generali della Direttiva
La direttiva del 2016, pur prevedendo standard minimi, si concentra principalmente su principi generali e norme elastiche. Questo approccio lascia ampio spazio agli Stati membri nell'adattare le procedure di ristrutturazione preventiva alle proprie legislazioni. Nonostante questa flessibilità, la direttiva contiene previsioni più puntuali, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti procedurali, al fine di garantire un minimo di armonizzazione a livello europeo. L'obiettivo principale è il ravvicinamento delle legislazioni nazionali sugli aspetti più rilevanti, con l'intento di creare un quadro normativo più omogeneo e prevedibile per le imprese che operano a livello transfrontaliero. La scelta di una direttiva, invece di un regolamento, evidenzia la volontà di lasciare una certa autonomia agli Stati membri nell'implementazione pratica delle misure, pur garantendo il raggiungimento degli obiettivi di efficienza e di prevenzione dell'insolvenza.
2.3. L Importanza dell Intervento Precoce e la Necessità di un Cambiamento di Mentalità
Un obiettivo fondamentale della proposta di direttiva è quello di favorire l'intervento più precoce possibile nella ristrutturazione delle imprese in crisi, in modo da prevenire l'insolvenza. Questo richiede un cambiamento di mentalità da parte degli imprenditori, che devono considerare le procedure giudiziali preventive non come un segno di fallimento, ma come uno strumento di protezione e di risanamento. Diversamente dagli Stati Uniti, dove la cultura del “bankruptcy protection” è diffusa e ben accettata, in Europa prevale ancora un atteggiamento di ritrosia verso le procedure d’insolvenza. La direttiva mira a promuovere una “rescue culture”, incoraggiando gli imprenditori a utilizzare le procedure di ristrutturazione preventiva prima che la situazione diventi irreversibile, nel convincimento che un intervento tempestivo massimizzi il recupero del valore aziendale e la soddisfazione dei creditori. Questo cambio di prospettiva è fondamentale per il successo della ristrutturazione e per la creazione di un ambiente economico più sostenibile.
III.Il Concordato Preventivo Italiano Riforme e Criticità
La legge fallimentare italiana del 1942, rimasta sostanzialmente invariata per decenni, ha mostrato numerose criticità. Il concordato preventivo, pur mirando ad evitare il fallimento, presentava difetti come eccessive lungaggini e complessità, spesso risultando inefficace nel garantire il pagamento dei crediti e la prosecuzione dell'attività d'impresa. Le riforme, soprattutto quella del 2005, hanno cercato di imitare il Chapter 11 americano, ampliando il presupposto oggettivo del concordato dalla semplice insolvenza alla crisi d'impresa. Tuttavia, criticità come la lentezza delle procedure e la mancanza di iniziativa da parte dei creditori hanno limitato l'efficacia della riforma.
3.1 La Legge Fallimentare del 1942 Un Sistema Inefficiente
La legge fallimentare italiana del 1942, rimasta sostanzialmente immutata per oltre sessant'anni, è caratterizzata da un sistema prevalentemente liquidatorio, con il fallimento come procedura principale. Questo sistema si concentra sulla disgregazione del patrimonio dell'imprenditore fallito e sulla sua liquidazione atomica per soddisfare i creditori. L'approccio, però, presentava gravi difetti: lungaggini eccessive, complessità elevata e costi importanti, spesso con vendita dei beni a prezzi fortemente ribassati. I creditori, soprattutto quelli senza garanzie o privilegi, si ritrovavano con tempi di attesa lunghissimi e percentuali di rimborso irrisorie. Anche le competenze degli organi preposti erano considerate insufficienti. L'effetto principale era la cessazione dell'attività d'impresa e gravi ripercussioni sugli stakeholder, dai lavoratori alle imprese legate a quella fallita, con un rischio elevato di fallimenti a catena. Questo sistema si dimostrava quindi poco efficace sia nel tutelare i creditori che nel salvaguardare il valore delle imprese in crisi.
3.2 Il Concordato Preventivo Prima della Riforma del 2005 Limiti e Inefficienze
Accanto al fallimento, la legge del 1942 prevedeva il concordato preventivo, ma questo strumento era utilizzato raramente e spesso convertito in fallimento. Anche il concordato, pur mirando ad evitare il fallimento, si basava sulla liquidazione del patrimonio del debitore, sotto il controllo dell'autorità giudiziaria. A differenza delle moderne concezioni di ristrutturazione preventiva, non mirava al salvataggio o alla prosecuzione dell'attività d'impresa. Il presupposto era l'insolvenza, e si richiedeva ai debitori specifici requisiti di meritevolezza, oltre alla capacità di garantire ai creditori almeno il quaranta percento del credito. Spesso, la difficoltà nel far fronte a questa elevata percentuale portava alla conversione in fallimento, rendendo la procedura inefficace nel raggiungimento del suo obiettivo principale. Questo evidenzia la necessità di una riforma profonda del sistema per affrontare le problematiche connesse alle crisi d'impresa.
3.3 La Riforma del 2005 e le sue Criticità Un Tentativo di Modernizzazione Incompleto
La riforma del 2005, il primo intervento significativo sulla legge fallimentare dal 1942, mirava a prevenire il fallimento favorendo il ricorso a soluzioni concordate alternative, ispirandosi (seppur in modo imperfetto) al Chapter 11 americano. Il cambiamento più importante fu l'ampliamento del presupposto oggettivo del concordato preventivo: da uno stato di insolvenza a quello più ampio di crisi d'impresa, anticipando così l'accesso alla procedura. Vennero inoltre eliminati i requisiti di meritevolezza, rendendo il concordato accessibile a tutti gli imprenditori commerciali in crisi. La riforma prevedeva la possibilità di liquidazione o di prosecuzione dell'attività, a seconda delle circostanze e della volontà delle parti. Nonostante l'obiettivo dichiarato di modernizzazione ispirato al modello americano, la riforma presentò diverse criticità. L'accesso alla procedura rimaneva spesso tardivo e lento, compromettendo la fattibilità del piano di risanamento. Inoltre, l'iniziativa per accedere al concordato restava prerogativa esclusiva del debitore, con la necessità di presentare una proposta completa al momento dell'instaurazione della procedura, disincentivando le trattative con i creditori. Questi problemi hanno evidenziato i limiti della riforma e la necessità di ulteriori interventi correttivi.
IV.Il Chapter 11 Americano Un Modello di Riferimento
Il Chapter 11 del codice fallimentare americano rappresenta un modello di riferimento per la ristrutturazione di imprese in crisi. Permette la reorganizzazione dell'attività d'impresa, liberandola dai debiti arretrati, e prevede un ruolo fondamentale per lo “U.S. Trustee” nel monitoraggio e controllo della procedura. L'accesso è consentito a diverse tipologie di debitori, anche se la reorganizzazione è più complessa e costosa rispetto alla liquidazione. L'elevata percentuale di voluntary filing dimostra l'accettazione di questa procedura come forma di protezione dal rischio di insolvenza.
4.1 Il Chapter 11 come Procedura di Riorganizzazione
Il Chapter 11 del codice fallimentare statunitense è presentato come un modello di riferimento per la riorganizzazione di attività d'impresa, soprattutto per grandi società di capitali, spesso quotate, con elevati livelli di indebitamento ma ancora capaci di generare reddito e competitività sul mercato. L'obiettivo principale è la prosecuzione dell'attività liberata dal peso dei debiti arretrati. L'accesso è consentito anche a società di persone e imprese individuali, rendendolo uno strumento versatile per diverse realtà aziendali. Il testo evidenzia però la sua complessità e i costi elevati, suggerendo di valutare attentamente le alternative prima di optare per questa procedura. La possibilità di accesso anche ai consumatori, inizialmente non prevista ma introdotta nel 1991 dalla Corte Suprema Federale, è considerata un'eccezione estremamente remota, rappresentando solo lo 0,1% dei casi di fallimento dei consumatori. La maggior parte dei casi di fallimento dei consumatori segue modelli di liquidazione o di risoluzione della crisi da sovraindebitamento (Chapter 13). Il Chapter 11, quindi, si presenta come uno strumento potente ma da utilizzare con cautela e solo dopo un'attenta analisi del caso specifico.
4.2 Il Ruolo dell U.S. Trustee nel Chapter 11
Un aspetto fondamentale del Chapter 11 è il ruolo dell'U.S. Trustee, un funzionario del Department of Justice che esercita un controllo significativo sull'intera procedura. La sua responsabilità principale è il monitoraggio del debitore nella gestione dell'impresa e della massa fallimentare, compreso l'invio di relazioni informative e il pagamento delle somme dovute. L'U.S. Trustee vigila sulle richieste di rimborso dei professionisti coinvolti, sulla regolarità del piano di ristrutturazione e del disclosure statement, e presiede l'assemblea generale dei creditori. Ha ampi poteri nei confronti del debitore, potendo imporre obblighi di informazione aggiuntivi, aprire conti bancari separati e gestire i pagamenti di contributi e imposte. In caso di inadempimento da parte del debitore, l'U.S. Trustee può richiedere al tribunale la conversione del caso in un'altra forma di bankruptcy o la sua dismissione. Questo controllo rigoroso garantisce trasparenza ed efficienza nella gestione delle procedure di riorganizzazione aziendale, contribuendo al successo del processo di ristrutturazione.
4.3 La Cultura del Bankruptcy Protection e il suo Contrasto con la Mentalità Europea
Il successo del Chapter 11 negli Stati Uniti è attribuito anche alla diffusa mentalità di “bankruptcy protection”, dove le procedure di insolvenza, sia di liquidazione (Chapter 7) che di riorganizzazione (Chapter 11), sono viste come strumenti di tutela per i debitori. Questo approccio contrasta con la mentalità europea, dove il fallimento è ancora percepito con un forte stigma sociale. L'elevata percentuale di voluntary filing negli Stati Uniti, ovvero di istanze di fallimento presentate volontariamente dai debitori, dimostra l'accettazione di queste procedure come strumento per risolvere le difficoltà economiche con il coinvolgimento di tutte le parti interessate. La difficoltà nell'emulare questo modello in Europa è dovuta a tradizioni e costumi consolidati che rendono difficile un cambiamento di mentalità. Il documento sottolinea la necessità di superare questo retaggio culturale per diffondere una maggiore consapevolezza dei vantaggi delle procedure di insolvenza preventive e per promuovere l'utilizzo di strumenti più efficaci per il risanamento delle imprese in crisi.
V.Il Piano di Ristrutturazione Contenuto Approvazione ed Effetti
Il piano di ristrutturazione è al centro delle procedure di ristrutturazione preventiva. Deve dividere i creditori in classi omogenee e rispettare principi chiave come il “best interest of creditors” e l'“absolute priority rule”. L'approvazione richiede il consenso delle maggioranze, con la possibilità di vincolare anche i creditori dissenzienti (“cram down”). L'omologazione comporta la liberazione del debitore dai debiti pregressi, sostituiti dalle nuove obbligazioni derivanti dal piano. L'insolvenza di una società viene distinta tra irreversibile (nessun investimento consente il ritorno in bonis) e reversibile (recupero possibile con nuovi investimenti). La Proposta di Direttiva mira a ridurre i tempi per la liberazione dai debiti ad un massimo di tre anni.
5.1 Contenuto del Piano di Ristrutturazione Classificazione dei Creditori
Il piano di ristrutturazione, elemento centrale delle procedure di risanamento, deve obbligatoriamente dividere i creditori e le altre parti interessate (equity holders inclusi) in classi omogenee, raggruppando soggetti con interessi simili nei confronti dell'impresa. Questa classificazione è fondamentale per l'organizzazione della procedura di voto e per garantire un trattamento equo a tutti gli stakeholder. L'adozione del piano è incentivata da maggioranze piuttosto elastiche per l'approvazione, con votazione che avviene per classi. Il meccanismo del “cram down of dissenting creditors” permette l'omologazione del piano anche in caso di voto contrario da parte di uno o più creditori o classi, a patto che il piano rispetti due regole fondamentali: il “best interest of creditors” e l'“absolute priority rule”. Queste regole assicurano un trattamento equo e rispettoso della par condicio creditorum, proteggendo tutti gli interessati da eventuali disparità. La suddivisione in classi e le regole del cram down rappresentano un aspetto fondamentale del processo di ristrutturazione, garantendo un equilibrio tra le esigenze del debitore e dei diversi creditori.
5.2 Approvazione e Omologazione del Piano Meccanismi e Effetti
Il piano di ristrutturazione, una volta elaborato, deve essere sottoposto all'approvazione dei creditori e omologato dal tribunale. L'approvazione avviene tramite votazione secondo la divisione in classi, con maggioranze piuttosto elastiche per favorire l'adozione del piano. Il meccanismo del “cram down” consente l'omologazione anche in caso di dissenso da parte di alcuni creditori o classi, a condizione che siano rispettati i principi del “best interest of creditors” e dell’“absolute priority rule”. Prima della votazione, è necessario depositare e ottenere l'approvazione del disclosure statement, un documento informativo che illustra in modo completo e veritiero gli affari del debitore. Dopo l'approvazione del piano, c'è un periodo di tempo prima dell'udienza di omologazione, durante il quale il proponente può apportare modifiche, sottoposte a nuova approvazione. L'omologazione ha un effetto di grande rilevanza: la liberazione del debitore da tutti i debiti pregressi, sostituiti dalle nuove obbligazioni derivanti dal piano. Questo effetto è importante per consentire al debitore un nuovo inizio, liberandolo dalle passività precedenti.
5.3 Effetti dell Omologazione e Eccezioni all Esdebitazione
L'omologazione del piano di ristrutturazione ha l'effetto di liberare integralmente il debitore da tutti i debiti pregressi, sostituendoli con le nuove obbligazioni previste dal piano. Questo effetto vincola tutte le parti menzionate nel piano e costituisce una nuova fonte di regolamentazione dei rapporti tra debitore e creditori. L'esdebitazione vale per qualsiasi tipo di debitore (persona fisica, società di persone o società di capitali) e riguarda quasi tutti i tipi di debiti. Tuttavia, esistono delle eccezioni espressamente previste per le persone fisiche, che includono principalmente gli alimenti, le spese di mantenimento dei figli, alcune tasse, rimborsi di prestiti garantiti da enti governativi, risarcimenti per danni derivanti da illeciti commessi con dolo, e obbligazioni nascenti da reato. Queste eccezioni mirano a salvaguardare diritti fondamentali e a garantire la tutela di interessi di particolare rilevanza sociale. La disciplina dell'esdebitazione è quindi un elemento cruciale del processo di ristrutturazione, fornendo una chance di rilancio al debitore, pur mantenendo un livello di protezione per determinati tipi di crediti.
VI.Criticità e Dibattito sulla Proposta di Direttiva
La Proposta di Direttiva, pur rappresentando un progresso, ha suscitato critiche. Alcune critiche mettono in discussione l'opportunità stessa delle procedure di ristrutturazione, temendo effetti negativi sulla concorrenza. Altre critiche lamentano l'eccessiva genericità della proposta, lasciando ampia discrezionalità agli Stati membri. Tuttavia, la flessibilità è necessaria per tener conto delle specificità nazionali e delle enormi differenze tra i diritti nazionali. L'obiettivo è quello di promuovere una rescue culture, cambiare l'atteggiamento verso gli imprenditori in crisi, e facilitare il tempestivo intervento per prevenire l'insolvenza irreversibile e agevolare una 'seconda opportunità' per gli imprenditori onesti. L'obiettivo è di aumentare le probabilità di successo delle ristrutturazioni, evitando il ricorso alla liquidazione in un'alta percentuale di casi.
6.1 Criticità della Proposta Aspetti Generali e Mancanza di Dettagli
La proposta di Direttiva, pur essendo un passo avanti verso procedure di ristrutturazione preventiva più efficaci, ha ricevuto critiche, alcune delle quali mettono in discussione la sua stessa utilità. Si rimprovera alla Commissione di aver previsto una disciplina troppo generica, che non affronta nel dettaglio questioni fondamentali e lascia ampia discrezionalità agli Stati membri. La critica si concentra sulla mancanza di previsioni concrete e di dettaglio, con una disciplina accusata di superficialità ed inefficacia, limitata a principi generali e obiettivi. Questa genericità, tuttavia, è parte integrante dello scopo della direttiva, che, essendo un atto di armonizzazione a livello europeo, deve lasciare agli Stati membri la flessibilità necessaria per adattare le misure al proprio contesto nazionale, considerando le enormi differenze tra i diritti nazionali e la delicatezza della materia. Nonostante la critica alla genericità, la proposta contiene disposizioni di dettaglio, come la fissazione di una soglia massima per la maggioranza ai fini del voto sul piano di ristrutturazione, i termini di durata della sospensione delle azioni esecutive e il termine per la decisione sull'omologazione. La flessibilità è dunque vista come un punto di forza e non di debolezza, in quanto permette l'adattamento alle diverse realtà nazionali.
6.2 Critiche di Confindustria e il Dibattito sulla Concorrenza
Tra le critiche più aspre, il documento cita quella di Confindustria, che, basandosi su casi di abuso del concordato preventivo in Italia, sostiene che il mantenimento in vita di imprese in difficoltà possa alterare la concorrenza all'interno del mercato unico a discapito delle imprese sane. Questa critica mette in discussione una delle premesse fondamentali della proposta di direttiva, ovvero l'importanza di favorire la ristrutturazione e il salvataggio delle imprese in crisi. L'argomento sollevato da Confindustria evidenzia il rischio di un utilizzo distorto delle procedure di ristrutturazione, che potrebbe portare a un vantaggio competitivo ingiusto per le imprese in difficoltà a scapito di quelle che operano in modo corretto. L'analisi di queste critiche è complessa e richiede una valutazione attenta del bilanciamento tra la necessità di preservare la competitività del mercato e quella di evitare il fallimento di imprese ancora potenzialmente recuperabili. La proposta di direttiva, comunque, si basa sulla premessa che il salvataggio tempestivo di un'impresa in crisi rappresenti un vantaggio per tutti gli stakeholder, inclusi i creditori.
6.3 Una Lettura Alternativa Strumenti Flessibili e Tutele Crescenti
Un'interpretazione alternativa della proposta di direttiva, proveniente dalla dottrina, la descrive non come una procedura specifica di ristrutturazione, ma come una serie di strumenti di efficacia e invasività crescente, con tutele e cautele proporzionali. Questa prospettiva valorizza al massimo la flessibilità e l'adattamento al caso concreto, permettendo al debitore di scegliere il rimedio o la combinazione di rimedi più adatti alla propria situazione, da una semplice moratoria fino a una ristrutturazione completa dei debiti. Gli strumenti a disposizione includono il blocco delle azioni esecutive, il vincolo dei creditori dissenzienti, la ristrutturazione trasversale dei debiti e la protezione della nuova finanza. Questa flessibilità, secondo questa interpretazione, è un punto di forza, permettendo un approccio più personalizzato e adeguato alla specificità di ogni situazione di crisi. Questa lettura evidenzia come la direttiva, pur non imponendo un modello rigido, fornisce un insieme di strumenti che permettono una gestione più efficace delle crisi d'impresa, adattandosi alle diverse situazioni e necessità.
