Il corpo umano come oggetto di diritto nell'era biotecnologica

Diritto del corpo umano: Biotecnologie

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Riassunto

I.Evoluzione Legislativa sul Suicidio in Italia

Il documento analizza l'evoluzione della legislazione italiana in materia di suicidio, partendo dal Codice del Regno di Sardegna del 1839 (art. 585), che prevedeva sanzioni per il tentato suicidio, fino al codice del 1859, dove le norme sul suicidio scompaiono, segnando il superamento di una concezione della vita legata alla sua "sacralità". Questo cambiamento riflette una significativa trasformazione nell'approccio giuridico al tema.

1. Il Codice del Regno di Sardegna del 1839 e la Sanzione del Tentativo di Suicidio

Il documento inizia analizzando l'articolo 585 del Codice del Regno di Sardegna del 1839, che sanzionava penalmente il tentativo di suicidio. Il testo dell'articolo è riportato integralmente, evidenziando la gravità delle pene previste: privazione dei diritti civili, nullità delle disposizioni di ultima volontà e privazione degli onori funebri. Per i colpevoli di tentato suicidio, ma il cui atto non andava a buon fine per cause indipendenti dalla loro volontà, era prevista la condanna a un periodo di reclusione da uno a tre anni in luogo di sicura custodia sotto rigorosa ispezione. Questa severa legislazione rifletteva una visione della vita umana profondamente legata a principi religiosi e sociali, dove il suicidio era considerato un atto vile e socialmente riprovevole, meritevole di punizione anche oltre la morte. L'esistenza di tale legislazione evidenzia il clima culturale e giuridico dell'epoca, in cui la vita era considerata un valore sacro e indisponibile, da proteggere con ogni mezzo, anche attraverso la repressione penale dei tentativi di porvi fine.

2. L Abolizione delle Norme sul Suicidio nel Codice del 1859 e il Superamento della Concezione di Sacralità della Vita

La sezione prosegue evidenziando un cambiamento radicale nell'approccio legislativo al suicidio con l'adozione del codice penale sardo-piemontese del 1859. A differenza del precedente codice del 1839, la nuova legislazione elimina completamente le norme che sanzionavano il suicidio e il suo tentativo. Questa significativa modifica segna il superamento di una concezione della vita legata alla sua “sacralità”, sostituita da un approccio più laico e meno intriso di connotazioni religiose. La scomparsa delle norme sul suicidio nel codice del 1859, e negli altri codici italiani preunitari, rappresenta un punto di svolta nella storia del diritto penale italiano, riflettendo un'evoluzione del pensiero giuridico e sociale verso una maggiore attenzione ai diritti individuali e una minore interferenza dello Stato nella sfera personale del cittadino. La rimozione delle sanzioni penali per il suicidio indica un passaggio verso un approccio meno punitivo e più incentrato sulla comprensione delle cause che possono portare a questo tragico gesto, aprendo la strada a future riflessioni sulla gestione e la prevenzione del suicidio.

II. 5 c

Il documento esamina l'Art. 5 del Codice Civile italiano, che disciplina gli atti di disposizione del corpo. Si discute la questione dell'integrità fisica e del limite rappresentato dalla diminuzione permanente di tale integrità. L'analisi si concentra sulle diverse interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali di questa norma fondamentale, evidenziando il dibattito tra un'ottica patrimonialistica e una prospettiva incentrata sulla dignità umana e sul diritto alla salute. Vengono citati autori come Cherubini e Romboli, le cui opinioni contribuiscono ad approfondire le sfumature dell'interpretazione dell'articolo 5.

1. Interpretazioni dell articolo 5 del Codice Civile Atti di Disposizione del Corpo

L'analisi si concentra sull'articolo 5 del codice civile italiano, focalizzandosi sulle diverse interpretazioni riguardo agli atti di disposizione del proprio corpo. Si evidenzia il contrasto tra una lettura che privilegia una prospettiva patrimonialistica, dove il corpo viene considerato come un bene suscettibile di valutazione economica, e una visione che sottolinea l'importanza dell'integrità fisica e della dignità personale. C. Cherubini, ad esempio, interpreta la formulazione della norma in termini di divieto come un'intenzione a ribadire la contrarietà a diritto di certi comportamenti. Al contrario, R. Romboli, analizzando casi giudiziari e lavori preparatori del codice civile, suggerisce che l'articolo 5 miri a colmare una lacuna legislativa, disciplinando gli atti di disposizione del corpo o parti di esso a favore di altri, specificando che non è di ostacolo la formulazione in termini di divieto, qualora esso intendesse dichiarare leciti tali atti a meno che non causino una diminuzione permanente dell'integrità fisica. Questa divergenza di interpretazioni evidenzia la complessità della materia e l'importanza di una lettura attenta del testo legislativo nel contesto del suo sviluppo storico e giurisprudenziale.

2. Il Limite della Diminuzione Permanente dell Integrità Fisica e la Relazione del Guardasigilli

Un punto cruciale dell'analisi riguarda il limite imposto dall'articolo 5 c.c. alla disposizione del proprio corpo: la diminuzione permanente dell'integrità fisica. La Relazione del Guardasigilli, n. 26, viene citata per evidenziare come tale limitazione, offrendo un criterio preciso di discriminazione, riaffermi il principio fondamentale di etica giuridica per cui nessun diritto soggettivo può riconoscersi se non nei limiti dell'utilità sociale. L'integrità fisica è presentata come condizione essenziale per l'adempimento dei doveri sociali e familiari. La Relazione distingue tra atti di disposizione del corpo che, senza menomazione dell'integrità personale, giovano ad altri (come trasfusioni di sangue o trapianti di pelle), visti con simpatia dal sentimento pubblico, e atti che diminuiscono la capacità fisica del soggetto, che invece suscitano turbamento. Questa distinzione evidenzia la complessità del bilanciamento tra autonomia individuale e interessi collettivi nella valutazione della liceità degli atti di disposizione del corpo. La relazione del Guardasigilli offre un’interpretazione che lega l’integrità fisica alla capacità di adempiere ai doveri sociali, mostrando una visione ancora legata ad una concezione tradizionale del ruolo sociale dell’individuo.

III. 32 Cost

La sentenza della Corte Costituzionale n. 164 del 2014 sulla procreazione medicalmente assistita è richiamata per illustrare l'importanza del diritto alla salute, compresa la salute psichica, come garantito dall'art. 32 della Costituzione. Si evidenzia il conflitto tra autodeterminazione e tutela della vita e della salute, con riferimento al concetto di diritto di morire. L'analisi considera anche l'interpretazione giurisprudenziale dell'art. 32 Cost. e il ruolo del consenso informato.

1. Il Diritto alla Salute e la Sentenza 164 2014 sulla Procreazione Medicalmente Assistita

Questa sezione introduce il tema del diritto alla salute nell'ambito della procreazione medicalmente assistita, facendo riferimento alla sentenza n. 164 del 2014. Sebbene non si entri nel merito della decisione, essa serve a corroborare il ragionamento sul diritto alla salute, inteso dalla Corte Costituzionale, secondo la giurisprudenza costante, nel significato comprensivo di salute psichica oltre che fisica (sentenza n. 251 del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003). La tutela della salute psichica deve essere di grado pari a quella della salute fisica (sentenza n. 167 del 1999). Questa nozione è in linea con quella dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), secondo cui il possesso del migliore stato di sanità possibile costituisce un diritto fondamentale di ogni essere umano (Atto di costituzione dell’OMS, 22 luglio 1946). La sentenza, quindi, viene utilizzata come esempio di come la giurisprudenza riconosce la piena importanza del diritto alla salute, in tutte le sue dimensioni, e come tale diritto sia fondamentale nella valutazione di questioni etiche e giuridiche complesse.

2. Il Dibattito sul Diritto all Autodeterminazione e il Limite del Diritto di Morire

Il testo prosegue discutendo il diritto all'autodeterminazione, affermando che una parte della dottrina ritiene che questo diritto non possa essere assoluto, anche quando non coinvolge diritti e interessi di terzi. In questo contesto, viene contestato un ipotetico “diritto di morire”, legato al rifiuto delle cure, in contrasto con l’art. 5 c.c. e con la dimensione collettivistica e solidaristica del diritto alla salute. Si argomenta che il valore dell'autonomia individuale è subordinato ai beni della salute e della vita, considerando quest'ultima come un bene indisponibile e un valore supremo, che prevale su altri diritti in quanto ne è presupposto indispensabile. Anche se non espressamente tutelato dalla Costituzione, la vita, secondo questa prospettiva, prevale su tutti gli altri diritti. Viene fatto un richiamo alla sentenza n. 438 del 2008 della Corte Costituzionale in merito all'illegittimità costituzionale di una legge regionale piemontese che regolamentava il consenso informato per trattamenti con sostanze psicotrope sui minori, sottolineando il diritto ad essere curati e il diritto a ricevere informazioni esaurienti per una scelta libera e consapevole, in conformità all'art. 32, comma 2, Cost. La Corte evidenzia come il consenso informato sintetizzi i diritti fondamentali di autodeterminazione e di salute.

IV.Rettificazione Anagrafica e Identità di Genere

Il documento affronta la questione della rettificazione degli atti anagrafici in relazione all'identità di genere, citando la sentenza della Cassazione n. 15138 del 2015. Si evidenzia il ruolo dei trattamenti medici e psicologici nel percorso di affermazione dell'identità di genere e si sottolinea come l'intervento chirurgico non sia un requisito imprescindibile per la rettificazione, a tutela del diritto alla salute (art. 32 Cost.) e del principio di non discriminazione (art. 3 Cost.). Il Tribunale di Messina è citato come esempio di giurisprudenza di merito.

1. Il Ruolo della Sentenza della Cassazione n. 15138 del 20.07.2015

Questa sezione analizza l'evoluzione della giurisprudenza in materia di rettificazione anagrafica per motivi di identità di genere, focalizzandosi sulla significativa sentenza della Cassazione n. 15138 del 20 luglio 2015. La sentenza in questione stabilisce che il desiderio di far coincidere soma e psiche, alla base del percorso di transizione di genere, costituisce di per sé un'elaborazione sofferta e personale dell'identità, supportata da trattamenti medici e psicologici. L'intervento chirurgico di riassegnazione sessuale non viene più considerato un requisito imprescindibile per la rettificazione degli atti anagrafici. La Corte riconosce il processo di autodeterminazione individuale come elemento centrale nel mutamento di sesso, anche in assenza di intervento chirurgico, pur sottolineando la necessità di un rigoroso controllo giudiziario sui trattamenti medici e psicologici. Questa sentenza rappresenta un importante passo avanti nel riconoscimento dei diritti delle persone transgender, affermando il principio di rispetto dell'identità di genere e la necessità di una valutazione caso per caso, tenendo conto delle specifiche caratteristiche individuali del soggetto.

2. La Giurisprudenza di Merito e il Tribunale di Messina

Il documento cita la giurisprudenza di merito, facendo riferimento a una decisione del Tribunale di Messina, I Sez. Civ., 4-11-2014, che sottolinea come la compressione dell’espressione dell’identità di genere sarebbe ingiustificata se la modificazione chirurgica dei caratteri sessuali fosse un presupposto indefettibile per la rettificazione degli atti anagrafici. Il Tribunale evidenzia il rischio di danno alla salute fisica o psicologica del soggetto, costituzionalmente tutelata dall'art. 32 Cost., nel caso in cui la modificazione chirurgica fosse imposta come condizione necessaria. Secondo il Tribunale di Messina, non esistono interessi superiori da tutelare che possano giustificare una tale restrizione. L'affermazione del Tribunale di Messina rafforza l'idea che la rettificazione anagrafica debba essere concessa in base alla effettiva identità di genere del soggetto, considerando il suo benessere psico-fisico come prioritario, senza che l’intervento chirurgico rappresenti un elemento imprescindibile del processo di transizione. Questo ulteriore esempio di giurisprudenza mostra l’evoluzione dell’interpretazione giuridica del tema dell’identità di genere.

V.Trapianti di Organi Aspetti Etici e Giuridici

La sezione sui trapianti analizza la distinzione tra trapianti da cadavere e da vivente, focalizzandosi sugli aspetti etici e giuridici legati al consenso informato e alla donazione di organi. Si fa riferimento alla Convenzione di Oviedo del 1997 e alla legge italiana n. 91/1999, evidenziando i principi di trasparenza e di pari opportunità nell'allocazione delle risorse scarse. Si discute anche il problema dell'equa distribuzione degli organi e il ruolo dei criteri allocativi oggettivi, escludendo criteri discriminatori come l'età.

1. Trapianti da Cadavere e da Vivente La Convenzione di Oviedo e i Limiti alla Libertà Dispositiva

La sezione sui trapianti di organi inizia distinguendo tra trapianti da cadavere e da donatore vivente, sottolineando la complessità giuridica ed etica di quest'ultima tipologia. Mentre i trapianti da cadavere presentano una diversa declinazione fenomenica e giuridica, quelli da donatore vivente coinvolgono gli interessi di due soggetti: la vita del ricevente e la vita e l'integrità fisica del donatore. Questo implica la necessità di porre dei limiti alla libertà dispositiva del donatore, anche se finalizzata a un fine altamente meritevole come la salvezza della vita altrui. La complessità della situazione è riconosciuta dal legislatore internazionale, come si evince dall'articolo 19 della Convenzione di Oviedo del 1997, che esprime una regola di favore per i trapianti da cadavere e limita l'ammissibilità della donazione tra viventi alla duplice condizione di un beneficio terapeutico per il ricevente e l'assenza di rischi gravi per il donatore. L’articolo 19 della Convenzione di Oviedo evidenzia la delicatezza della materia e la necessità di un bilanciamento tra il diritto alla vita e l’autonomia individuale.

2. Equa Distribuzione degli Organi e Criteri Allocativi Il Principio di Trasparenza e Pari Opportunità

La sezione prosegue affrontando il problema dell'equa distribuzione degli organi, una risorsa scarsa. L'ordinamento giuridico italiano, in particolare la legge n. 91/1999, si basa sui principi di trasparenza (aspetto burocratico-amministrativo) e di pari opportunità per evitare forme di privilegio e discriminazione nell'accesso alle liste d'attesa. I criteri di accesso si fondano su parametri oggettivi della buona pratica medica, basati sulle condizioni di bisogno dei pazienti e sulla compatibilità clinica e immunologica tra donatore e ricevente. Altri criteri, come l'età del paziente o le prospettive di successo dell'intervento, vengono esclusi perché in contrasto con principi di rango costituzionale. L'enfasi su criteri oggettivi e l'esclusione di criteri discriminatori mirano a garantire un'allocazione equa ed efficiente delle risorse disponibili, in linea con i principi di giustizia e uguaglianza.

3. Critiche alla Legge n. 483 del 1999 sui Trapianti e il Ruolo del Consenso Informato

Il documento analizza le critiche rivolte alla legge n. 483 del 1999, evidenziando come essa venga considerata una macroscopica svista legislativa, che ha tentato di regolamentare con approccio autoritativo una pratica già ampiamente diffusa e lecita. L'eccessiva discrezionalità attribuita al giudice nel concedere o meno l'autorizzazione ai trapianti viene contestata, insieme alla mancata indicazione di parametri obiettivi per la valutazione della meritevolezza dell'intervento. Secondo alcuni autori, questa legge contrasta con gli artt. 2 e 3 della Costituzione a causa della discrezionalità giudiziaria e del trattamento diseguale di situazioni oggettivamente diverse. Si sottolinea inoltre che il trapianto di fegato era già ampiamente praticato prima dell'entrata in vigore della legge, sulla cui liceità nessuno aveva mai dubitato. Viene quindi evidenziato il ruolo fondamentale del consenso informato, e si sottolinea la necessità di una valutazione caso per caso anche della capacità naturale del donatore, oltre alla capacità di agire, data la gravità dell'atto. La critica alla legge n.483/1999 si concentra sulla sua inadeguatezza e sulle sue potenziali contraddizioni con principi costituzionali.

VI.Biobanche e Ricerca Genetica Consenso Informato e Privacy

Questa sezione tratta le problematiche legate alle biobanche e alla ricerca genetica, con particolare attenzione al consenso informato, alla privacy, e alla tutela dei dati genetici. Il documento cita diversi esempi di progetti internazionali (es. deCODE Genetics, Estonian Genome Project, CARTaGENE) e il ruolo dei comitati etici. Si discute il dibattito sul concetto di proprietà dei campioni biologici e sulle diverse modalità di consenso (broad consent, specific consent), e i rischi legati alla commercializzazione dei dati genetici. Si analizzano le implicazioni del Codice di Norimberga e della Dichiarazione di Helsinki. Il ruolo del Garante della privacy italiano è menzionato, assieme alle problematiche connesse al data sharing nella comunità scientifica e alle strategie per promuovere la collaborazione internazionale.

1. Il Consenso Informato nella Ricerca Genetica Il Codice di Norimberga e la Dichiarazione di Helsinki

La sezione approfondisce il tema del consenso informato nella ricerca genetica, partendo dal Codice di Norimberga del 1946, pietra miliare in materia, che sancisce l'assoluta necessità del consenso volontario del soggetto umano alla partecipazione a esperimenti scientifici. Il codice, nato dal processo ai medici nazisti, definisce requisiti fondamentali per un consenso valido, tra cui la piena conoscenza della natura, durata e scopo dell'esperimento, del metodo, dei rischi e degli effetti sulla salute. La Dichiarazione di Helsinki, altro documento fondamentale, ribadisce la centralità del consenso informato, specificando che per la raccolta, immagazzinamento e riutilizzo di materiali biologici umani o informazioni identificabili, i medici devono ottenere il consenso informato. La Dichiarazione UNESCO sui dati genetici del 2003 rafforza ulteriormente questo principio, sottolineando la necessità di un consenso preventivo, libero, informato ed espresso, senza induzione di guadagno finanziario o personale, per la raccolta e l'elaborazione di dati genetici, proteomici o campioni biologici. La sezione evidenzia quindi l'importanza storica e l'evoluzione del principio del consenso informato nel contesto della ricerca biomedica, sottolineando la sua imprescindibilità per la tutela dei diritti dei partecipanti.

2. La Privacy e la Tutela dei Dati Genetici Il Dibattito sull Eccezionalità del Dato Genetico

Il documento affronta il tema della privacy e della tutela dei dati genetici, riconoscendo l'articolato dibattito sull'eccezionalità o meno del dato genetico. Si evidenzia che la natura dell'informazione generata da un test genetico è variabile a seconda del carattere indagato e della capacità di predire il fenotipo. Di conseguenza, le implicazioni etiche e sociali sono altrettanto variabili. Si sottolinea la distinzione tra studi su caratteri genetici monogenici (malattie genetiche rare) e caratteri multifattoriali (patologie comuni), con implicazioni diverse per la gestione dei dati e la privacy. Alcuni autori sostengono che non ci sarebbe ragione per considerare l'informazione genetica qualitativamente diversa da ogni altra informazione medica. Il documento cita la decisione S. & Marper v. Uk del 2008 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che condanna lo Stato inglese per violazione dell'art. 8 della CEDU a causa delle modalità di conservazione di campioni e dati nel National DNA Database, sottolineando che la conservazione di informazioni personali come impronte digitali, profili del DNA e campioni cellulari costituisce interferenza con il diritto al rispetto della vita privata. Il dibattito si concentra quindi sulla bilanciamento tra l’utilità della ricerca e la tutela della privacy.

3. Biobanche di Popolazione e Modelli di Governance Esempi Internazionali e il Ruolo dei Comitati Etici

La sezione presenta esempi di biobanche di popolazione a livello nazionale e internazionale: il Health Sector Database islandese gestito da deCODE Genetics, il progetto estone, progetti su popolazioni italiane (Sardegna, Trentino Alto Adige) e il progetto canadese CARTaGENE. Si sottolinea l'importanza della natura non-profit di queste strutture e il divieto di lucro diretto, coerentemente con il divieto di commercializzazione dei tessuti umani. Nonostante ciò, si evidenzia l'interesse crescente delle società commerciali nel settore del biobancaggio, soprattutto negli Stati Uniti, a causa dell'enorme valore economico delle informazioni genetiche. Il documento mette in luce il ruolo fondamentale dei comitati scientifici ed etici indipendenti (Institutional Review Board) nel funzionamento delle biobanche, sia nella valutazione della bontà scientifica ed etica dei progetti, sia nel controllo della conformità alle volontà dei donatori, specie in caso di broad consent. Vengono menzionati il Public Population Project in Genomics and Society (P3G) e il Biobanking and Biomolecular Resources Research Infrastructure (BBMRI-ERIC) come esempi di iniziative per una regolamentazione uniforme e la cooperazione internazionale, nonostante le difficoltà dovute alle logiche competitive.

VII.Modelli di Governance delle Biobanche

Il documento conclude confrontando diversi modelli di governance delle biobanche: il modello proprietario, quello incentrato sulla privacy, e il modello di partnership tra donatori e ricercatori. Si analizza il ruolo del trust e del benefit-sharing collettivo, facendo riferimento al progetto UK Biobank come esempio di "public-private charitable model". Si discute anche il modello open source, contrapponendolo al tradizionale approccio basato sulla proprietà intellettuale, e sottolineando i vantaggi e gli svantaggi di ciascun approccio. Il concetto di "tragedy of the commons" è utilizzato per illustrare le sfide nell'allocazione delle risorse scarse. Viene menzionato il Medical Research Council (MRC) britannico e le sue politiche sul data sharing.

1. Il Dibattito sul Concetto di Ownership dei Campioni Biologici e il Modello di Partnership

La sezione si concentra sui diversi modelli di governance delle biobanche, ponendo particolare attenzione al dibattito sul concetto di proprietà ('ownership') dei campioni biologici e delle informazioni genetiche associate. Si evidenzia come alcune prospettive, in particolare quelle che rifiutano l'idea di una proprietà individuale sui campioni, propongano un modello di partnership tra i partecipanti alla ricerca e i ricercatori stessi. Questo approccio mira a favorire lo sviluppo della ricerca medica e a garantire il beneficio collettivo, includendo le generazioni future. Si osserva però che, nonostante la preferenza teorica per un modello di partnership, in diverse realtà, come nell’UK Biobank, il concetto di 'ownership' viene comunque utilizzato, seppur con stringenti vincoli e con l'obiettivo di proteggere l'interesse pubblico e rispettare la volontà dei donatori. Il modello UK Biobank, pur definendosi 'legal owner', si configura come un 'public-private charitable model', mostrando una gestione fiduciaria ('stewardship') delle risorse.

2. Modelli Alternativi Il Modello del Trust e il Benefit Sharing Collettivo

Il documento presenta il modello proposto dai giuristi di common law, basato sul concetto di trust. In questo modello, il donatore, agendo come settlor, affida alla biobanca, che opera come trustee, l'amministrazione dei tessuti nel rispetto del vincolo fiduciario e con l'obiettivo esclusivo del benefit-sharing collettivo. La collettività, in questo caso, è il beneficiario del trust, e lo stesso donatore ne fa parte. Questo modello, applicato parzialmente nel progetto UK Biobank, cerca di onorare la volontà dei donatori, di proteggere contro la liquidazione in caso di insolvenza, di promuovere la ricerca e di attuare una forma di stewardship che rispetti gli interessi della dignità delle persone. L’UK Biobank, anche se legalmente proprietario, si impegna a non vendere i campioni, mantenendo e sviluppando la risorsa per il bene pubblico. Il modello del trust quindi si propone come una alternativa al modello proprietario, enfatizzando la responsabilità fiduciaria e il beneficio collettivo.

3. Open Source e Proprietà Intellettuale Confronto tra Modelli di Governance

La sezione conclude confrontando il modello open source con l'approccio tradizionale basato sulla proprietà intellettuale. Il modello open source, sostenuto da autori come J. Hope e Y. Joly, prevede che il titolare dei diritti di proprietà intellettuale conceda licenze d'uso ad altri ricercatori a condizione che questi condividano i progressi e le invenzioni con l'intera comunità scientifica. Questo approccio, più economico rispetto a quello basato sulla proprietà intellettuale, risolverebbe i problemi di revisione dei termini di licenza e di interoperabilità, permettendo l'estrazione dei dati da più biobanche senza problemi di termini conflittuali. Tuttavia, richiede un rafforzamento dell'armamentario legale all'interno della comunità scientifica per garantire la fiducia e l'applicazione effettiva delle norme. Si fa riferimento all'analisi economica dell'informazione e alla teoria hayekiana per sostenere il modello di proprietà privata come stimolo all'innovazione. M. Macilotti, richiamando la proposta di K. Gatter, suggerisce il concetto di 'semi-commons' per i tessuti nelle biobanche, riconoscendo il potere dei donatori sulle informazioni personali veicolate dai campioni.