Il ne bis in idem nel dialogo tra Corti nazionali e sovranazionali: un principio in cerca di equilibrio

Ne bis in idem: Equilibrio tra Corti

Informazioni sul documento

Autore

Paola Maria Onorato

instructor Maurizio Bellacosa
Scuola

Dipartimento di Giurisprudenza

Specialità Diritto Penale
Tipo di documento Tesi di Laurea
Lingua Italian
Formato | PDF
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Riassunto

I.Il Principio del Ne Bis In Idem Equità Certezza del Diritto ed Economia Processuale

Questo documento analizza il principio del ne bis in idem, affrontando le sue diverse dimensioni: sostanziale (evitare l'ingiustizia di una doppia condanna per lo stesso fatto) e processuale (assicurare certezza del diritto ed economia dei giudizi). L'applicazione del ne bis in idem è fondamentale per un sistema giudiziario equo ed efficiente, bilanciando le esigenze di giustizia sostanziale con quelle di certezza del diritto e economia processuale. Il divieto si concentra sullo scongiurare conflitti pratici tra decisioni, garantendo la certezza soggettiva dell'individuo, come evidenziato dall'art. 669 c.p.p. che applica il principio del favor rei in caso di violazione del divieto.

1. Dicotomia del Ne Bis In Idem Sostanziale e Processuale

Il documento inizia evidenziando la dicotomia tra la dimensione sostanziale e quella processuale del principio del ne bis in idem. La componente sostanziale mira all'equità e alla giustizia sostanziale, concentrandosi sull'evitare l'ingiustizia di una doppia condanna per lo stesso fatto di reato. Si cita testualmente che il ne bis in idem sostanziale è "concentrato ad evitare l’irrazionale ingiustizia di una duplice condanna per lo stesso fatto di reato". Al contrario, la dimensione processuale del principio si focalizza sulla certezza del diritto e sull'economia dei giudizi, puntando ad evitare la duplicazione dei processi e il conseguente raddoppio dei tempi di durata. Questa prospettiva processuale collega direttamente il principio al concetto di giusto processo. L'interconnessione tra queste due dimensioni è sottolineata, affermando che le esigenze alla base del divieto sono numerose ed eterogenee, ma strettamente interconnesse, rendendo impossibile immaginare un sistema giudiziario penale che ne prescinda.

2. Certezza Soggettiva e Protezione dell Individuo

Il ne bis in idem processuale non si limita a prevenire un conflitto teorico di giudicati, ma si propone di evitare conflitti pratici tra molteplici decisioni. L'obiettivo principale è la garanzia della certezza in senso soggettivo per l'individuo, una protezione rafforzata ulteriormente dall'art. 669 c.p.p. Questo articolo impone al giudice dell'esecuzione, in caso di violazione del divieto con più sentenze irrevocabili contro la stessa persona per il medesimo fatto, di ordinare l'esecuzione della sentenza meno grave, applicando il principio del favor rei. Mentre il ne bis in idem processuale mira ad evitare la perpetua instabilità delle decisioni giudiziali, la certezza in gioco è di natura soggettiva, ricondotta al “fatto della sentenza, definitiva e irrevocabile, indipendentemente dall’accertamento che vi è contenuto”. La protezione dell'individuo è, quindi, una finalità intrinseca ed essenziale del principio, estendendosi anche alla giustizia sostanziale, considerando le conseguenze personali e sociali dell'essere indagati o imputati in più procedimenti per lo stesso fatto.

3. Interpretazioni Dottrinali e Giurisprudenziali

Il testo prosegue presentando diverse interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali riguardo al principio del ne bis in idem. Si evidenzia che la dottrina, da sempre, ha escluso la possibilità di una ricostruzione unitaria del principio, distinguendo nettamente tra la sua dimensione sostanziale e quella processuale. Vengono menzionate diverse opinioni, alcune delle quali sottolineano che l’identità del fatto deve essere valutata considerando la condotta e l’evento materiale, o addirittura solo la condotta. Altre interpretazioni più rigorose richiedono l’identità di tutti gli elementi costitutivi del fatto (condotta, evento, nesso di causalità, circostanze di tempo, luogo e persona). Viene citata anche la critica di alcuni autori ad un indirizzo giurisprudenziale prevalente, considerato troppo restrittivo e in contraddizione con l'art. 649 c.p.p. Infine, viene menzionata una terza posizione, che esclude l'operatività del ne bis in idem nel caso di concorso formale di reati, in quanto le fattispecie giudiziali sono sempre diverse, focalizzandosi sull'evitare il conflitto pratico di giudicati. Questa tesi, pur criticata, è quella maggiormente sostenuta in dottrina e giurisprudenza.

II. Ne Bis In Idem Processuale e Concorso di Reati

Il documento approfondisce il rapporto tra il ne bis in idem processuale e il concorso di reati, distinguendo tra concorso formale e concorso apparente. La giurisprudenza e la dottrina prevalentemente escludono l'operatività del ne bis in idem nel concorso formale, dove un unico fatto storico genera più eventi giuridici. Diversamente, nel concorso apparente, dove una sola norma esaurisce il disvalore penale, il ne bis in idem opera pienamente. L'analisi si concentra sulla necessità di distinguere accuratamente tra queste due figure, evidenziando la dipendenza del ne bis in idem processuale da quello sostanziale.

1. Il Ne Bis In Idem Processuale e il Concorso Formale di Reati

Una sezione significativa del documento si concentra sul complesso rapporto tra il ne bis in idem processuale e il concorso formale di reati. Si evidenzia che la giurisprudenza e la dottrina maggiormente accreditate escludono l'applicabilità del ne bis in idem processuale in caso di concorso formale. Questo perché, in tale situazione, un unico fatto storico dà origine a più eventi giuridici, ognuno dei quali può essere oggetto di un distinto procedimento penale. La tesi prevalente sostiene che applicare il divieto in questo caso porterebbe a conseguenze contrarie al comune senso di giustizia. La definizione di "medesimo fatto" è cruciale in questa discussione: viene precisato che essa implica l'identità degli elementi costitutivi del reato (condotta, evento, nesso di causalità) considerati sia nella loro dimensione storico-naturalistica che in quella giuridica. La pluralità di eventi giuridici derivanti da un unico fatto storico, tipica del concorso formale, non impedisce, dunque, l'esercizio dell'azione penale su ciascuno di essi, anche se uno è già stato oggetto di giudicato. Questo orientamento conferma che il ne bis in idem processuale non dovrebbe operare se non c'è il rischio di un indebito bis in idem sostanziale. Diversi autori e orientamenti giurisprudenziali sono citati a supporto di queste affermazioni, evidenziando il dibattito in materia.

2. Il Ne Bis In Idem e il Concorso Apparente di Norme

In contrasto con il concorso formale, il documento analizza l'applicazione del ne bis in idem nel caso di concorso apparente di norme. In questa situazione, il medesimo fatto storico rientra in più disposizioni penali, ma una sola esaurisce integralmente il disvalore penale del fatto. A differenza del concorso formale, in questo caso il ne bis in idem è considerato pienamente operante. Si sottolinea l'importanza di distinguere con precisione tra concorso formale e apparente, soprattutto nel caso di concorso formale eterogeneo, evidenziando come l'operatività del ne bis in idem processuale dipenda strettamente dall'ambito di operatività del ne bis in idem sostanziale. L'esistenza di un concorso apparente può derivare da rapporti di specialità, sussidiarietà o assorbimento tra le fattispecie incriminatrici. In tutte queste situazioni, l'applicazione del principio del ne bis in idem risulta funzionale ad evitare una violazione del ne bis in idem sostanziale, garantendo una coerenza nel sistema sanzionatorio. La discussione pone in luce la necessità di un’analisi accurata del caso concreto per determinare quale tipo di concorso si presenti, sottolineando l’importanza di distinguere fra le due figure e di valutare attentamente le implicazioni in termini di applicazione del divieto di bis in idem.

III.Il Ne Bis In Idem nel Diritto Tributario Italiano Problematiche e Contrasto con la Giurisprudenza Europea

L'applicazione del ne bis in idem nel diritto tributario italiano è complessa, spesso caratterizzata da un doppio binario sanzionatorio (pene penali e sanzioni amministrative). L'art. 20 del d.lgs. n. 74/2000, pur mirando ad ampliare l'autonomia tra processo penale e tributario, non ha eliminato del tutto il problema della duplicazione di sanzioni. L'analisi evidenzia la disapplicazione del principio di specialità (art. 19 d.lgs. n. 74/2000) e le critiche mosse dalla Corte EDU a questo sistema, che considera talvolta le sanzioni amministrative come sostanzialmente penali. Il caso di applicazione cumulativa di sanzioni penali ed amministrative viene sottolineato, mostrando la necessità di una maggiore coerenza con la giurisprudenza europea del ne bis in idem.

1. Il Doppio Binario Sanzionatorio e la Disapplicazione del Principio di Specialità

Il documento evidenzia le problematiche relative all'applicazione del ne bis in idem nel diritto tributario italiano, caratterizzato da un sistema di doppio binario sanzionatorio. Questo sistema prevede la possibilità di applicare sia sanzioni penali che sanzioni amministrative per lo stesso illecito, creando un conflitto potenziale con il principio del ne bis in idem. Il problema è aggravato dalla disapplicazione del principio di specialità, come regolato dall'art. 19 del D.lgs. n. 74/2000. Questo articolo, in teoria, dovrebbe evitare il cumulo di sanzioni, ma nella pratica viene spesso ignorato, portando all'applicazione cumulativa di sanzioni penali e amministrative. Una deroga esplicita a tale principio di specialità è rappresentata dall'art. 13-bis (introdotto nel 2015), che prevede un'attenuante in sede penale legata al pagamento del debito tributario e delle sanzioni amministrative. Questo meccanismo, paradossalmente, incentiva il pagamento di sanzioni amministrative che, in base al principio di specialità, non dovrebbero essere dovute, finendo per sanzionare il contribuente su due piani diversi. La situazione di fatto evidenzia un difetto strutturale del sistema, che si scontra con l'interpretazione della Corte EDU riguardo al ne bis in idem.

2. Conflitto con la Giurisprudenza della Corte EDU e la Natura Sostanzialmente Penale delle Sanzioni

La discrepanza tra l'ordinamento italiano e la giurisprudenza della Corte EDU riguardo al ne bis in idem è un tema centrale. La Corte di Cassazione tende ad escludere l'assimilabilità del debito tributario, anche con sanzioni e interessi, alla sanzione penale, negando quindi la duplicazione di procedimenti sostanzialmente penali. Questo approccio, tuttavia, è in contrasto con l'interpretazione della Corte EDU, che considera le sanzioni amministrative come sostanzialmente penali se presentano un carattere afflittivo e repressivo significativo. La Corte EDU, nel perseguire una protezione rafforzata dell'individuo di fronte al potere punitivo dello Stato, si è espressa ripetutamente sul concetto di “materia penale”, gettando le basi per una giurisprudenza consolidata sul tema. Il documento evidenzia quindi la necessità di un'interpretazione del ne bis in idem che tenga conto di questa giurisprudenza europea, per evitare violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini. La differenza interpretativa tra la Corte di Cassazione e la Corte EDU, riguardo alla natura delle sanzioni tributarie e all'applicazione del ne bis in idem, è al centro della discussione, con la Corte EDU che spesso ritiene che sanzioni amministrative abbiano una natura sostanzialmente penale.

3. Soluzioni e Prospettive Il Ruolo del Legislatore

Il documento conclude con una riflessione sulle possibili soluzioni e prospettive future. Si sottolinea come il principio di specialità nell'ambito sanzionatorio tributario, pur presente nell'art. 19 del D.lgs. n. 74/2000, sia di fatto disapplicato, portando spesso ad un cumulo sanzionatorio. Questo è un problema non solo per la sua violazione del principio di specialità, ma anche perché genera una potenziale violazione del principio del ne bis in idem. La critica alla scelta della Corte Costituzionale di non affrontare nel merito le questioni sollevate è espressa, evidenziando la necessità di un intervento legislativo per chiarire i rapporti tra illecito penale e amministrativo in ambito tributario. L’obiettivo è quello di evitare duplicazioni sanzionatorie e di garantire la conformità dell'ordinamento italiano alla giurisprudenza della Corte EDU sul ne bis in idem. Si fa riferimento all'importanza di un bilanciamento tra la tutela degli interessi finanziari dell'Unione e le garanzie individuali, sottolineando la necessità di una maggiore chiarezza normativa per evitare future violazioni convenzionali. L'assenza di una decisione chiara della Corte Costituzionale lascia la responsabilità di risolvere il problema nelle mani del legislatore e dei giudici comuni.

IV.La Giurisprudenza della Corte EDU e la Nozione di Medesimo Fatto

Il documento analizza la giurisprudenza della Corte EDU sull'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, focalizzandosi sulla definizione di “medesimo fatto” nel contesto del ne bis in idem. La Corte EDU si concentra sul “fatto storico”, la dimensione materiale dell’evento, considerando anche elementi come il materiale probatorio e le indagini. La sentenza Zolotukhin è indicata come un leading case, evidenziando l'importanza della sovrapponibilità delle condotte e della loro inestricabilità nel tempo e nello spazio. Si evidenzia la non linearità dell’interpretazione della Corte EDU, mostrando diverse sentenze (es. Gradinger, Oliveira c. Svizzera) e le problematiche interpretative emerse.

V.Il Caso Grande Stevens e le Questioni di Legittimità Costituzionale

Il caso Grande Stevens, relativo a presunte manipolazioni del mercato, ha portato a una condanna dell'Italia da parte della Corte EDU per violazione dell'art. 6 CEDU (diritto a un processo equo). La Corte EDU ha considerato le sanzioni amministrative irrogate dalla Consob come sostanzialmente penali a causa della loro severità e natura repressiva. Il documento evidenzia le successive questioni di legittimità costituzionale dell'art. 649 c.p.p. sollevate dalla Corte di Cassazione, mettendo in luce il contrasto tra l'interpretazione nazionale del ne bis in idem e la giurisprudenza della Corte EDU. Il ruolo della Consob e le sanzioni amministrative per abusi di mercato sono dettagliate. Figure chiave: Franzo Grande Stevens, Fiat S.p.A., IFIL Investments S.p.A.

1. Il Caso Grande Stevens Contesto e Procedimenti

Il caso Grande Stevens, focalizzato su presunte violazioni delle disposizioni sulla manipolazione del mercato, costituisce un punto chiave del documento. La vicenda ha origine nel 2002 con un prestito convertibile stipulato da Fiat S.p.A. con alcune banche. Franzo Grande Stevens, membro del CDA di IFIL Investments S.p.A. (società con partecipazione in Fiat), era coinvolto come consulente legale di Fiat. A seguito di questa operazione, sono stati avviati due procedimenti: uno amministrativo presso la Consob, che ha accertato la violazione dell’art. 187-ter t.u.f. e irrogato pesanti sanzioni amministrative (anche interdittive per le persone fisiche), e uno penale, conclusosi in primo grado con l'assoluzione degli imputati per il reato di manipolazione del mercato. La successiva sentenza della Corte di Cassazione, a seguito di ricorso per saltum della Procura di Torino, ha annullato parzialmente la sentenza di assoluzione, rinviando gli atti per un nuovo esame nel merito. Questo doppio binario sanzionatorio, uno amministrativo e uno penale, ha costituito la base della successiva condanna dell’Italia da parte della Corte EDU, evidenziando le criticità del sistema sanzionatorio italiano in materia di abusi di mercato. Figure chiave: Franzo Grande Stevens, Fiat S.p.A., IFIL Investments S.p.A., Consob.

2. La Condanna dell Italia da parte della Corte EDU e la Natura Penale delle Sanzioni

La Corte EDU ha condannato l'Italia nel caso Grande Stevens per violazione dell'art. 6 CEDU (diritto a un processo equo), principalmente a causa della severità dell'impianto sanzionatorio previsto per la manipolazione del mercato. La Corte ha ritenuto che il sistema sanzionatorio italiano, caratterizzato da un'“ipermuscolarità” e da sanzioni pecuniarie e accessorie particolarmente rigorose, rendesse le sanzioni amministrative sostanzialmente equiparabili a quelle penali, secondo i criteri Engel. L'aspetto repressivo e preventivo-repressivo delle sanzioni, pur mirando a tutelare interessi generali come l'integrità dei mercati finanziari, è stato considerato dalla Corte come elemento determinante nella qualificazione delle sanzioni come “matière pénale”. Il documento evidenzia che, per la Corte di Strasburgo, la severità e l’afflittività dell'impianto sanzionatorio, unite alla natura repressiva delle sanzioni, sono indicatori chiave della loro qualificazione come penali ai fini della CEDU, indipendentemente dalla finalità specifica perseguita. La condanna dell’Italia si basa dunque sulla qualificazione delle sanzioni come “sostanzialmente penali” e sulla conseguente violazione del diritto ad un giusto processo.

3. Le Questioni di Legittimità Costituzionale e la Risposta della Corte Costituzionale

A seguito della condanna dell'Italia nel caso Grande Stevens, la Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale: una principale, riguardante la sostituzione di una clausola dell’art. 187-bis t.u.f., e una subordinata, concernente l'art. 649 c.p.p. Entrambe le questioni sono state sollevate per contrasto con l'art. 117 Cost. in relazione all'art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU. La questione principale mirava ad eliminare il doppio binario sanzionatorio, mentre quella subordinata proponeva una rimodulazione dell'art. 649 c.p.p. per renderlo compatibile con i principi convenzionali. La Corte Costituzionale ha dichiarato l'inammissibilità di entrambe le questioni, motivando la scelta con l’irrilevanza della questione principale e la natura di ripiego della questione secondaria. Questa decisione ha lasciato irrisolta la questione della compatibilità del sistema sanzionatorio italiano con il ne bis in idem, lasciando al legislatore il compito di intervenire per evitare future violazioni convenzionali. L'analisi critica evidenzia la mancanza di una decisione nel merito da parte della Corte Costituzionale su una questione di fondamentale importanza per la tutela di un diritto fondamentale.

VI.La Risposta della Corte Costituzionale e le Prospettive Future

La Corte Costituzionale, affrontando le questioni sollevate dalla Cassazione sul caso Grande Stevens, ha dichiarato l'inammissibilità delle questioni principali e di quella secondaria sull'art. 649 c.p.p. Questo approccio, criticato dalla dottrina, ha lasciato la soluzione del problema al legislatore. Il documento analizza le implicazioni di questa scelta, sottolineando la necessità di un intervento normativo per evitare future violazioni del ne bis in idem, in particolare in relazione agli abusi di mercato e alla compatibilità con le direttive UE (es. Direttiva 2014/57/UE e Regolamento UE n. 596/2014). La discussione si conclude evidenziando il conflitto tra l'obiettivo di repressione degli illeciti finanziari e la tutela del diritto fondamentale al ne bis in idem.

1. La Decisione della Corte Costituzionale Inammissibilità delle Questioni

La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte di Cassazione in relazione al caso Grande Stevens, ha dichiarato l'inammissibilità di tutte le questioni proposte. La decisione di inammissibilità riguarda sia la questione principale, relativa alla norma sull’illecito amministrativo (art. 187-bis t.u.f.), sia quella subordinata, che riguardava l’art. 649 c.p.p. La Corte Costituzionale non entra nel merito delle questioni, non esprimendosi sulla compatibilità del sistema sanzionatorio italiano con il ne bis in idem convenzionale. Questa scelta è stata motivata dalla Corte stessa con l’irrilevanza della questione principale e la natura di “ripiego” della questione subordinata. Si evidenzia che l’eventuale accoglimento della questione secondaria sull’art. 649 c.p.p. avrebbe avuto l’effetto di impedire un secondo processo per lo stesso fatto, senza stabilire una priorità tra sanzione penale e amministrativa, lasciando la scelta al caso. Tale decisione è stata fortemente criticata da parte della dottrina, che ritiene che la Corte abbia di fatto “deciso di non decidere” su un tema cruciale, rimettendo la responsabilità di scongiurare ulteriori violazioni convenzionali nelle mani del giudice comune.

2. Critiche alla Decisione e Necessità di Intervento Legislativo

La decisione della Corte Costituzionale di dichiarare l'inammissibilità delle questioni sollevate è stata oggetto di forti critiche da parte della dottrina. Si ritiene che, anche considerando le ragioni di inammissibilità delle questioni principali, la questione sull'art. 649 c.p.p. meritasse una decisione nel merito, data la sua precisione e la sua importanza per la garanzia del diritto fondamentale al ne bis in idem. La Corte, scegliendo un non liquet, ha di fatto rimandato la soluzione del problema ad un intervento legislativo, che dovrebbe regolare i rapporti tra le due tipologie di illecito (penale e amministrativo) e i rispettivi procedimenti, evitando così duplicazioni sanzionatorie e possibili conflitti con la giurisprudenza della Corte EDU. Si evidenzia, quindi, la necessità di un intervento del legislatore per risolvere le contraddizioni e le lacune del sistema, garantendo una maggiore chiarezza e conformità alle norme internazionali in materia di ne bis in idem e tutelando al contempo gli interessi dell’Unione Europea in relazione alla repressione di condotte illecite nei mercati finanziari.

3. Riflessioni conclusive e Impatto della Normativa Europea

La sezione finale del documento si concentra sulle prospettive future e sull’impatto della normativa europea. Si sottolinea come il sistema del doppio binario sanzionatorio, pur essendo stato in parte criticato dalla Corte EDU, sia stato in parte mantenuto dal legislatore italiano. Tuttavia, la direttiva 2014/57/UE e il regolamento UE n. 596/2014 hanno introdotto un nuovo quadro normativo per prevenire e reprimere gli abusi di mercato, richiedendo sanzioni più efficaci, con una preferenza per le sanzioni penali. Questo nuovo approccio mira a stabilire confini più chiari per i comportamenti inaccettabili, rafforzando il rispetto delle norme sugli abusi di mercato e cercando di evitare violazioni del ne bis in idem. Pur non escludendo completamente la combinazione di sanzioni penali e amministrative, la normativa europea tende a definire una linea di demarcazione più precisa tra le due tipologie di illecito, con l'obiettivo di armonizzare le legislazioni nazionali e di garantire una maggiore tutela del principio del ne bis in idem all’interno dell’Unione Europea. Si fa riferimento al considerandum 23 della direttiva per evidenziare l'intenzione del legislatore europeo di evitare violazioni del divieto di bis in idem.