La disciplina delle prove nel procedimento penale de societate

Prove nel processo penale de societate

Informazioni sul documento

Autore

Giulia Cascone

Scuola

Dipartimento di Giurisprudenza

Specialità Diritto e Procedura Penale Degli Enti
Tipo di documento Tesi di Laurea
Lingua Italian
Formato | PDF
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Riassunto

I.lgs

Questo documento analizza la responsabilità da reato dell'ente in Italia, come disciplinata dal D.lgs. 231/2001. Un problema centrale è la natura ambigua della responsabilità, definita amministrativa ma con garanzie tipiche del processo penale. Gli interpreti dibattono se sia una responsabilità penale, amministrativa, o un tertium genus. La tesi della responsabilità penale evidenzia la derivazione diretta da un reato e la cognizione del giudice penale; mentre la tesi del tertium genus, pur riconoscendo commistioni con la responsabilità penale, sottolinea alcune deroghe agli statuti penalistici (es. prescrizione). La Corte di Cassazione ha avvallato la tesi del tertium genus, ma questa non offre chiare indicazioni sul quadro costituzionale di riferimento. Il diritto al silenzio e il diritto di difesa dell'ente sono aspetti cruciali del dibattito, analizzati alla luce della compatibilità con le norme del processo penale (art. 34 e 35 D.lgs. 231). La questione dell'imputazione dell'illecito penale all'ente, anche se considerata un artificio, non costituisce un limite per il diritto penale (art. 40 c.p.).

1. La Natura Ambigua della Responsabilità dell Ente D.lgs. 231 2001

Il documento inizia affrontando la natura controversa della responsabilità da reato dell’ente, introdotta dal D.lgs. 231/2001. La legge presenta un'ambiguità di fondo: da un lato, la responsabilità del soggetto collettivo è definita amministrativa; dall'altro, il processo penale è individuato come sede di accertamento, riconoscendo all'ente una serie di garanzie tipiche dell'ordinamento penale. Questa contraddizione genera incertezza interpretativa. Gli studiosi si interrogano se la qualificazione della responsabilità come amministrativa sia solo una facciata, una scelta legislativa che cela una riluttanza a riconoscere esplicitamente la responsabilità penale dell'ente, tradizionalmente riservata alle sole persone fisiche. La questione centrale è dunque stabilire se la responsabilità dell'ente sia di natura penale, amministrativa, o se costituisca un tertium genus, una categoria a sé stante.

2. Le Tre Teorie Interpretative Penale Amministrativa e Tertium Genus

Il dibattito dottrinale si concentra su tre principali interpretazioni della natura della responsabilità dell'ente: penale, amministrativa e tertium genus. La tesi della responsabilità penale sottolinea la derivazione diretta della responsabilità da un reato, la competenza del giudice penale e l'autonomia della responsabilità dell'ente rispetto a quella delle persone fisiche. Questa interpretazione viene contrastata, evidenziando che il decreto disciplina una forma di responsabilità per fatto altrui e che la funzione rieducativa, tipica della sanzione penale, non è applicabile alle persone giuridiche. Tuttavia, si argomenta che la sanzione può comunque indurre l'ente a migliorare le procedure interne di prevenzione del rischio. La teoria del tertium genus riconosce le commistioni con la responsabilità penale ma ne esclude l'ascrizione totale, a causa di alcune discipline del decreto non conformi allo statuto penalistic, come ad esempio il regime della prescrizione e la disciplina delle vicende modificative dell'ente. Questa teoria, pur avallata dalla Corte di Cassazione, presenta un deficit informativo, non chiarendo il quadro costituzionale di riferimento.

3. Il Ruolo del Vaglio di Compatibilità e il Diritto di Difesa

Il vaglio di compatibilità, richiesto dall'articolo 34 e 35 del decreto legislativo 231, è un elemento cruciale. Esso non mira a limitare il diritto di difesa dell'ente rispetto a quello della persona fisica, ma a considerare le peculiarità del soggetto collettivo. Non tutte le disposizioni applicabili alle persone fisiche saranno compatibili con il procedimento de societate. La clausola di compatibilità, quindi, non conduce ad una restrizione del diritto di difesa dell’ente, ma ad una generale equiparazione dei suoi diritti a quelli dell’imputato, salvo diversa previsione normativa. L'articolo 34, in particolare, permette di applicare al procedimento a carico dell’ente i meccanismi procedurali del processo penale a carico della persona fisica, evitando incongruenze applicative e rafforzando il diritto al silenzio. La presenza di questo vaglio di compatibilità è essenziale per garantire un'adeguata tutela dell'ente.

II.Il Diritto al Silenzio del Rappresentante Legale dell Ente

Il documento approfondisce il diritto al silenzio del rappresentante legale dell'ente nel procedimento penale de societate. L'articolo 44 del D.lgs. 231/2001, che disciplina l'audizione del rappresentante, genera controversie interpretative. Si discute se l'incompatibilità a testimoniare (art. 197 c.p.p.) si estenda a tutti i rappresentanti legali, anche a quelli nominati dopo la commissione del reato. L'applicazione dell'articolo 197-bis c.p.p. (testimone assistito) e la valutazione delle dichiarazioni rese (art. 192, comma 3 c.p.p.) sono analizzate. Il vaglio di compatibilità (art. 34 D.lgs. 231) è fondamentale per evitare un'interpretazione restrittiva del diritto di difesa dell'ente. Si esamina il rischio di un “prosciugamento delle fonti di conoscenza” se al rappresentante è riconosciuto il diritto al silenzio, bilanciando le esigenze di accertamento con la tutela dei diritti fondamentali. L'interpretazione dell'articolo 44 del D.lgs. 231 è cruciale per definire l'ambito di applicazione del diritto al silenzio.

1. L articolo 44 del D.lgs. 231 e il Diritto al Silenzio del Rappresentante Legale

Il cuore del dibattito ruota attorno all'articolo 44 del decreto legislativo 231/2001, che regola l'audizione del rappresentante legale dell'ente. L'interpretazione di questa norma è complessa e genera forti controversie, soprattutto riguardo al diritto al silenzio del rappresentante. Il testo non è chiaro se l'incompatibilità a testimoniare, prevista dall'articolo 197 del codice di procedura penale (c.p.p.), si estenda anche al rappresentante legale nominato dopo la commissione del reato. Si discute se l'applicazione dell'articolo 197-bis c.p.p. (testimone assistito) sia pertinente e come valutare le dichiarazioni rese dal rappresentante alla luce dell'articolo 192, comma 3 c.p.p. La questione cruciale è se il diritto al silenzio, fondamentale per la difesa dell'ente, sia pienamente garantito in tutte le situazioni, o se l'articolo 44 del decreto legislativo 231 limiti in modo illegittimo tale diritto. Si evidenzia come il vaglio di compatibilità previsto dall'articolo 34 del D.lgs. 231 sia fondamentale per evitare un'interpretazione restrittiva del diritto di difesa.

2. Interpretazioni Conflittuali dell Incompatibilità a Testimoniare art. 197 c.p.p.

Diverse interpretazioni cercano di conciliare l'articolo 44 del D.lgs. 231 con il diritto al silenzio, previsto dall'ordinamento giuridico. Una lettura formalistica dell'articolo 44 potrebbe portare all'esclusione dall'incompatibilità a testimoniare solo il rappresentante legale nominato nell'atto costitutivo, escludendo altri rappresentanti legali, anche se in carica al momento del reato. Questo creerebbe una evidente disparità di trattamento e una frustrazione della ratio della norma. Altre interpretazioni propongono di distinguere tra procedimenti riuniti e separati. Nel primo caso, il rappresentante sarebbe sentito secondo l'articolo 208 c.p.p., mentre nel secondo secondo l'articolo 210 c.p.p. Tuttavia, questa interpretazione sembra contrastare con la ratio della norma, che sembra mirare a costringere il rappresentante a sottoporsi all'audizione, indipendentemente dalla riunione o meno dei procedimenti. Si analizzano anche interpretazioni che definiscono l'articolo 44 come inutile o addirittura nocivo, sostenendo che esso non aggiunge nulla di originale e crea un falso obbligo testimoniale.

3. Il Bilanciamento tra Diritto di Difesa e Necessità di Accertamento

Il documento analizza il delicato bilanciamento tra il diritto di difesa dell'ente e le esigenze di accertamento della verità. Si evidenzia il rischio di un 'prosciugamento delle fonti di conoscenza' se al rappresentante legale viene riconosciuto il diritto di tacere senza limitazioni. Nonostante questa sia stata la ratio originaria della norma, rimangono forti critiche. La dicotomia tra il ruolo di rappresentante legale e quello di testimone crea una situazione di conflitto, in cui il valore probatorio della testimonianza, vincolata all'obbligo di verità, potrebbe prevalere sul diritto di difesa. Si propone quindi un'interpretazione che consideri il diritto al silenzio del rappresentante non solo per la propria tutela, ma anche per la tutela dell'ente stesso. In questo modo si cerca di evitare un utilizzo strumentale delle dichiarazioni del rappresentante a discapito della difesa dell'ente, soprattutto quando quest’ultimo basi la propria difesa sull’affermazione della responsabilità della persona fisica.

III.Confronto con il Sistema Francese Nemo Tenetur Se Detegere

Il documento confronta il sistema italiano con quello francese riguardo al diritto al silenzio (nemo tenetur se detegere) nel contesto della responsabilità penale degli enti. In Francia, la legislazione è più ampia rispetto all'Italia, applicandosi a qualsiasi infrazione. L'articolo 706-44 del codice di rito francese, analogo all'articolo 44 del D.lgs. 231, individua lo statuto del rappresentante legale, distinguendo tra ente e rappresentante. Si discute la possibilità di estendere il diritto al silenzio anche al nuovo rappresentante legale, bilanciando la tutela del diritto di difesa con le esigenze di accertamento. L'analisi si concentra sulla giurisprudenza e la dottrina francese, evidenziando le difficoltà nel garantire pienamente il diritto al silenzio, in confronto al sistema italiano. Si analizza la ratio dell'articolo 706-44, finalizzata a prevenire che il rappresentante accusi l'ente. La giurisprudenza francese e le norme relative alla garde à vue vengono analizzate per comprendere l'applicazione del principio del nemo tenetur se detegere.

1. Il Principio Nemo Tenetur Se Detegere nel Sistema Francese e il suo Confronto con il D.lgs. 231

La sezione confronta l'applicazione del principio nemo tenetur se detegere (nessuno è obbligato ad accusare se stesso) nei sistemi giuridici italiano e francese, in relazione alla responsabilità penale degli enti. Mentre in Italia il dibattito si concentra sull'interpretazione dell'articolo 44 del D.lgs. 231/2001 riguardo al diritto al silenzio del rappresentante legale dell'ente, il sistema francese presenta un approccio differente. In Francia, l'ambito di applicazione della responsabilità penale degli enti è più ampio, estendendosi a qualsiasi infrazione commessa dall'organo o rappresentante dell'ente (legge n. 2004-204 del 9 marzo 2004). Questo contrasta con il sistema italiano, dove l'applicazione del nemo tenetur è oggetto di ampia discussione giurisprudenziale e dottrinale, con diverse interpretazioni dell'articolo 44 del D.lgs. 231 e dell'articolo 197 c.p.p. che genera incertezze sull'effettiva tutela del diritto al silenzio del rappresentante dell’ente.

2. L articolo 706 44 del Codice di Rito Francese e la Tutela del Rappresentante Legale

L'articolo 706-44 del codice di rito francese, analogo all'articolo 44 del D.lgs. 231 italiano, si concentra sullo statuto del rappresentante legale dell'ente nel procedimento. La norma francese sottolinea la distinzione tra il soggetto collettivo (l'ente) e il suo rappresentante, precisando che solo il primo è il vero accusato. Il rappresentante, a meno che non sia direttamente coinvolto nel reato, beneficia di un'immunità dalle misure restrittive della libertà personale. L’obiettivo è evitare che il rappresentante sia costretto ad accusare l'ente, aprendo la strada a una sua successiva messa in stato di accusa (mise en examen). Il testo evidenzia come l’interpretazione di questa norma in Francia sia più chiara e coerente rispetto alle problematiche interpretative che caratterizzano l’articolo 44 del D.lgs. 231 italiano.

3. Difficoltà e Limiti nell Applicazione del Nemo Tenetur in Francia

Nonostante un fertile contesto europeo e internazionale a favore del nemo tenetur, il riconoscimento pieno di questo diritto in Francia è stato lento e, secondo alcuni autori, non ancora completamente realizzato. L'incertezza legislativa degli anni 2000 riguardo ai diritti del soggetto sottoposto a garde à vue ne è un esempio. Il diritto al silenzio, pur non essendo stato abolito, è stato indebolito dalla mancanza di un obbligo informativo da parte delle autorità inquirenti, fino alla reintroduzione di tale obbligo nel 2011 a seguito di una condanna della Corte europea dei diritti dell'uomo. A differenza del sistema italiano, quello francese non ha esteso il diritto al silenzio al testimone, il quale rimane obbligato a deporre anche su fatti che potrebbero rivelare la propria responsabilità penale. Il confronto mette in luce come l'applicazione del principio del nemo tenetur sia più radicata e completa nel sistema italiano rispetto a quello francese, dove l'influenza esterna (giurisprudenza europea, convenzioni internazionali) ha avuto un ruolo maggiore nella sua evoluzione.

IV.Misure Cautelari e Istruttoria nel Procedimento De Societate

Il documento tratta le misure cautelari nei procedimenti a carico degli enti. Si discute la legittimità dell'utilizzo di prove acquisite in un procedimento separato a carico di una persona fisica, nel successivo procedimento contro l'ente. La questione dell'utilizzo delle intercettazioni è analizzata alla luce dell'articolo 270 c.p.p. e degli orientamenti giurisprudenziali. Si valuta la possibilità di un'attività di captazione delle comunicazioni anche per illeciti amministrativi. L'esigenza di un simultaneus processus viene affrontata, evidenziando i rischi di lesione dei diritti difensivi dell'ente in caso di separazione dei procedimenti. La valutazione del pericolo di reiterazione dell'illecito passa attraverso l'analisi dell'assetto organizzativo dell'ente. La giurisprudenza sulla legittimità dell'uso di perizie nel procedimento camerale è discussa. Il ruolo delle indagini difensive nel bilanciare eventuali squilibri nella fase cautelare è sottolineato, considerando la preponderanza dei riti speciali rispetto a quello ordinario.

1. L Utilizzo delle Prove Acquisite in Procedimenti Separati

La sezione analizza la possibilità di utilizzare prove acquisite in un procedimento penale a carico di una persona fisica in un successivo procedimento contro l'ente, nel contesto del procedimento de societate. Si discute la questione della legittimità di tale utilizzo, in particolare riguardo alle dichiarazioni rese da un soggetto successivamente indagato o imputato. La giurisprudenza, richiamando il principio di conservazione degli atti e la regola del tempus regit actum, tende a considerare le dichiarazioni rese da un soggetto, quando ancora non era sospettato, come utilizzabili anche in un procedimento successivo a suo carico. Tuttavia, si evidenzia un orientamento giurisprudenziale più restrittivo, legato all'articolo 191 c.p.p. che limita l'inutilizzabilità alle prove illegittimamente acquisite e all'articolo 63, comma 2, c.p.p. che rifiuta un'inutilizzabilità generalizzata delle dichiarazioni di un soggetto poi coinvolto nel procedimento. La questione della separazione o riunione dei procedimenti è centrale, influenzando la valutazione delle prove.

2. L Utilizzabilità delle Intercettazioni nel Procedimento De Societate

Un tema importante è l'utilizzo delle intercettazioni nel procedimento a carico dell'ente. L'articolo 270 c.p.p., che limita l'utilizzo delle intercettazioni al solo ambito penale, viene analizzato alla luce della giurisprudenza più recente, che ne ammette l'utilizzo anche in sede civile. Seppur il caso specifico riguarda un procedimento distinto, la giurisprudenza mostra una graduale espansione dell'utilizzabilità delle intercettazioni. Si discute se tale attività sia praticabile anche per illeciti amministrativi, evidenziando la possibilità, anche in caso di diniego esplicito, di utilizzare i risultati delle intercettazioni svolte a carico della persona fisica contro l'ente, sia in caso di riunione che di separazione dei procedimenti. Si analizza anche la possibilità di utilizzare i risultati di intercettazioni legittimamente disposte per un reato previsto dall'articolo 266 c.p.p., anche per reati connessi o collegati, anche se per questi non sarebbe stata esperibile un'autonoma attività captativa.

3. Poteri Istruttori del Giudice e Indagini Difensive

La sezione analizza i poteri istruttori del giudice nell'incidente cautelare a carico dell'ente, evidenziando la mancanza di una disciplina specifica. Questa lacuna potrebbe generare squilibri, non colmabili con le sole indagini difensive. Il sistema processuale tende a spostare l'attenzione dalla fase del giudizio a quella delle indagini. Si suggerisce quindi l’opportunità di un’anticipazione dei poteri istruttori del giudice, in bonam partem, per una maggiore ponderatezza della decisione cautelare, che può avere pesanti conseguenze per l'ente. Si discute l'impatto di questa attività istruttoria sulla cognizione del giudice del dibattimento, ricordando il principio di separazione delle fasi e l'importanza della motivazione. La preponderanza dei riti speciali rispetto al rito ordinario nella fase successiva è considerata un elemento ulteriore a supporto della necessità di ampliare i poteri istruttori del giudice in questa fase.