La protezione internazionale delle donne richiedenti asilo alla luce delle Convenzioni di Roma e Ginevra

Asilo e Genere: Convenzioni di Ginevra e Roma

Informazioni sul documento

Autore

Althea Cenciarelli

instructor Prof. Francesco Cherubini
Scuola

Dipartimento di Scienze Politiche

Specialità Tutela internazionale dei diritti umani
Tipo di documento Tesi di Laurea
Lingua Italian
Formato | PDF
Dimensione 2.40 MB

Riassunto

I.Violenza Sessuale e Violenza di Genere Il Contesto Globale

Il documento analizza la violenza contro le donne a livello globale, evidenziando come donne e bambini siano spesso le vittime principali di atrocità come lo stupro e la violenza sessuale. Si citano esempi storici come le comfort women durante la Seconda Guerra Mondiale e le violenze durante il genocidio ruandese, sottolineando la sistematicità di questi crimini. La vulnerabilità delle donne è spesso aggravata da norme sociali e culturali, che si riflettono anche nel diritto. Il documento utilizza diversi casi studio (Iran, Pakistan, India) per illustrare come sistemi legali e religiosi contribuiscano alla discriminazione di genere, analizzando l'impatto di questi cosiddetti moral codes sulla condizione fisica e morale delle donne.

1. La Violenza Sessuale come Atrocità Diffusa

La sezione iniziale del documento pone l'accento sulla natura pervasiva della violenza sessuale e della violenza di genere a livello globale. Si sottolinea come donne e bambini siano le vittime principali, a causa della loro particolare vulnerabilità. Vengono citati esempi storici significativi per illustrare la portata del problema. In particolare, si fa riferimento alle 'comfort women', circa 200.000 donne ridotte in schiavitù dai militari giapponesi nel secondo dopoguerra, sottoposte a innumerevoli abusi sessuali e maltrattamenti. Un altro esempio drammatico è rappresentato dalla violenza sessuale sistematicamente inflitta alle donne Tutsi durante il genocidio in Ruanda, spesso dopo l'uccisione dei loro familiari e mariti, come ulteriore atto di violenza e annientamento. Questi esempi servono a evidenziare la natura sistematica e diffusa della violenza sessuale come strumento di guerra e di controllo sociale, una pratica che trascende le barriere culturali e geografiche. La comunità internazionale è stata testimone di queste atrocità, ma la risposta è stata spesso inadeguata.

2. Il Ruolo delle Norme Sociali e Culturali

Questa parte del testo approfondisce il ruolo delle norme sociali e culturali nel perpetuare la vulnerabilità delle donne alla violenza. Si evidenzia come queste norme, spesso radicate in sistemi religiosi e giuridici, contribuiscano a creare e mantenere diseguaglianze di genere. Nel caso dell'Islam, si sottolinea l'intreccio tra teologia e legge, con il Corano, la Sunna e l'Ijma come fonti principali del diritto islamico. Si evidenzia come, nonostante l'esistenza di diverse interpretazioni del Corano riguardo allo status delle donne, la concezione dell'élite maschile abbia sempre prevalso, con notevoli differenze tra i diversi paesi musulmani. Si fa riferimento alla situazione contrastante tra paesi come Tunisia e Marocco, dove le donne godono di maggiore libertà rispetto all'Arabia Saudita, dove ad esempio è loro vietato guidare. L'analisi non si limita al mondo arabo, ma considera casi studio eterogenei per comprendere appieno la natura dei 'moral codes' e il loro impatto fisico e morale sulle donne.

II.La Condizione delle Donne in Iran Pakistan e India

Il documento esamina la condizione femminile in diversi contesti culturali e religiosi. In Iran, sotto l'Ayatollah Khomeini, le donne subirono una forte repressione, con l'imposizione dello chador e la limitazione delle opportunità educative e lavorative. Seppur con timide aperture successive, la situazione rimane complessa. In Pakistan, l'islamizzazione del paese ha portato a discriminazione di genere, con l'obbligo del chador, la Law of Evidence che limita l'autonomia femminile, e una valutazione legale che assegna alla donna metà del valore dell'uomo. In India, le tradizioni patriarcali e la religione induista contribuiscono alla marginalizzazione delle donne, con pratiche come l'infanticidio femminile e la sati (sebbene proibita, ancora presente). Si nota uno squilibrio di genere: nel 2001, 927 bambine ogni 1000 bambini. Nonostante l'elezione di Indira Gandhi, la discriminazione persiste, legata a fattori sociali e familiari.

1. L Iran Repressione e Timide Aperture

La sezione dedicata all'Iran descrive la condizione femminile sotto il regime dell'Ayatollah Khomeini, caratterizzato da un rigido codice di abbigliamento (l'obbligo del chador), la negazione di opportunità educative e lavorative, giustificate con la presunta 'debolezza mentale' delle donne. Khomeini stesso avrebbe affermato l'incapacità delle donne di svolgere efficacemente un impiego o attività. Nonostante il sistema continui a favorire gli uomini, si registra un periodo di timida apertura con il presidente Rafsanjani, che crea l'Ufficio per gli Affari delle Donne e promuove studi sulla condizione femminile. Il successore, Khatami, porta ad un aumento significativo della partecipazione femminile alla vita sociale e culturale, ma le riforme normative vengono bloccate dal conservatorismo del Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione. Con l'ascesa di Ahmadinejad nel 2005, si assiste ad un ritorno alla censura, alle violazioni dei diritti umani e all'emarginazione delle donne. L'articolo 21, paragrafo 5, della Costituzione iraniana concede la custodia dei figli solo alle madri meritevoli e in assenza di un tutore maschile, evidenziando il ruolo subordinato delle donne all'interno della struttura familiare e sociale. L'abbassamento dell'età minima per il matrimonio a 13 anni per le sole donne, sotto l'Ayatollah, e la revoca del Family Protection Act, sono altri esempi delle restrizioni imposte.

2. Il Pakistan Discriminazione di Genere dopo l Islamizzazione

Il Pakistan, a differenza dell'Iran sciita, presenta un caso simile di discriminazione di genere nel contesto sunnita. L'islamizzazione del paese, a partire dal 1980, ha introdotto l'obbligo del chador e la segregazione negli spazi pubblici, università e luoghi di lavoro. Nel 1984, la Law of Evidence (Qanun-e-Shahadat Order) ha reso necessaria la presenza di un uomo per qualsiasi azione legale o firma di contratto, causando una completa dipendenza dal genere maschile e rendendo difficile per le donne trovare un impiego. Davanti alla legge, la donna vale la metà dell'uomo, con pesanti conseguenze sui risarcimenti per danni. Questo evidenzia come l'islamizzazione abbia contribuito ad una profonda discriminazione istituzionalizzata, che limita pesantemente l'autonomia e i diritti delle donne pakistane.

3. L India Tradizioni Patriarcali e Sottomissione Legalizzata

In India, la religione induista e le tradizioni patriarcali contribuiscono alla grave discriminazione femminile. Le autorità governative spesso ignorano la violenza e la discriminazione basate sui dettami religiosi, rafforzando la marginalizzazione delle donne. L'infanticidio femminile è una pratica diffusa, causando uno squilibrio di genere: nel 2001, solo 927 bambine ogni 1000 bambini. Il concetto di Pativrata, la venerazione del marito come divinità, impone alle donne indiane un ruolo di completa sottomissione e asservimento. La sati, o Sahagamana, pratica di immolazione della vedova sulla pira funeraria del marito, sebbene proibita dagli inglesi nel 1829 e dal governo indiano, persiste ancora oggi a causa delle pressioni sociali e dello stigma sociale che colpisce le vedove. Il rifiuto della sati è punito con la rinascita come donna, considerata una punizione peggiore della morte. Nonostante conquiste importanti, come l'elezione di Indira Gandhi, la discriminazione persiste, legata sia alla struttura familiare estesa che alle origini politiche della stessa Gandhi.

III.Il Diritto d Asilo e la Persecuzione di Genere

Il documento si concentra sul diritto d'asilo e su come la persecuzione di genere influenza le richieste di protezione internazionale. Si analizza l'interpretazione della Convenzione di Ginevra e l'importanza di un approccio gender-sensitive. Si discute la definizione di “gruppo sociale particolare” e l'evoluzione giurisprudenziale su questo punto, con l'enfasi sulla necessità di considerare il contesto sociale e culturale delle richiedenti. Vengono citate le linee guida dell'ACNUR e di altri paesi (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti) sull'interpretazione gender-sensitive della persecuzione, includendo la violenza sessuale e domestica come potenziali motivi per il riconoscimento dello status di rifugiato. Si evidenzia la difficoltà per le donne di dimostrare il collegamento tra la violenza subita e i motivi convenzionali di persecuzione (religione, razza, opinione politica, ecc.).

1. La Convenzione di Ginevra e la Persecuzione di Genere

Questa sezione analizza l'applicazione della Convenzione di Ginevra riguardo alle richieste di asilo da parte di donne vittime di persecuzione di genere. Si sottolinea la necessità di un'interpretazione 'gender-sensitive' della Convenzione, riconoscendo che la violenza contro le donne spesso non è direttamente collegata ai cinque motivi convenzionali di persecuzione (razza, religione, nazionalità, opinione politica, appartenenza a un particolare gruppo sociale), ma è comunque una forma di persecuzione in sé. Il documento evidenzia la complessità nell'applicazione della Convenzione, in particolare nella definizione di 'gruppo sociale particolare', spesso invocato nelle richieste di asilo di donne. Si approfondiscono due approcci interpretativi: il 'protected characteristic approach', che si concentra su caratteristiche immutabili, e il 'social perception approach', che considera la percezione sociale del gruppo. Si sottolinea la difficoltà per le donne di dimostrare il collegamento tra la violenza subita e i motivi convenzionali, citando come esempio la violenza sessuale, spesso non riconosciuta come persecuzione a causa della difficoltà di dimostrare l'intento persecutorio al di là delle motivazioni personali dell'aggressore.

2. Linee Guida Internazionali e Approccio Gender Sensitive

La sezione evidenzia l'evoluzione dell'approccio internazionale alla persecuzione di genere, con l'introduzione di linee guida specifiche da parte di organizzazioni come l'ACNUR e singoli stati (Canada, Australia, Nuova Zelanda, Stati Uniti). Queste linee guida mirano a promuovere un'interpretazione più ampia della Convenzione di Ginevra, includendo forme di violenza come lo stupro, le torture, i maltrattamenti fisici e psicologici come atti persecutori, anche se di natura privata. Si sottolinea l'importanza di considerare il contesto sociale, culturale, religioso ed economico delle richiedenti asilo e la necessità di interviste 'customer-friendly' e attente al fattore psicologico, specie considerato che le donne vittime di abusi possono avere difficoltà a descrivere le violenze subite a causa di barriere culturali o linguistiche. L'esempio di due casi, uno in El Salvador e l'altro in Kenya, evidenzia l'incoerenza nelle decisioni giudiziarie, mostrando come la violenza domestica, pur essendo riconosciuta come atto persecutorio, non venga sempre collegata ai motivi convenzionali della Convenzione di Ginevra, sottolineando le difficoltà di applicazione di un approccio gender-sensitive.

3. Il Gruppo Sociale Particolare e l Appartenenza di Genere

Questa parte del documento analizza in dettaglio il concetto di 'appartenenza a un gruppo sociale particolare' (articolo 1A(2) della Convenzione del 1951) come motivo di persecuzione per le donne. Si sottolinea che questo 'ground' è il meno chiaro della Convenzione e la sua interpretazione si è evoluta nel tempo, includendo categorie come donne, famiglie, tribù, gruppi occupazionali e omosessuali. Si analizzano gli approcci interpretativi, il 'protected characteristic approach' e il 'social perception approach', evidenziando i vantaggi e gli svantaggi di ciascuno. Si citano casi giudiziari, come il caso Shah and Islam (House of Lords), per illustrare l'evoluzione giurisprudenziale sulla definizione di 'gruppo sociale particolare' in relazione al genere femminile. La sentenza sottolinea che le donne pakistane possono costituire un gruppo sociale particolare ai sensi della Convenzione, anche se la violenza subita è di natura privata, considerando il ruolo dello Stato nel fornire o meno protezione adeguata. Si evidenzia che l'appartenenza a un gruppo sociale particolare definito dal genere non garantisce automaticamente il riconoscimento dello status di rifugiato, ma deve essere valutata in relazione agli altri elementi della Convenzione di Ginevra.

IV.La Convenzione Europea dei Diritti dell Uomo e la Protezione delle Donne

Il documento analizza il ruolo della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) nella protezione delle donne. Si nota che la CEDU non contiene norme specifiche sul diritto d'asilo, ma si analizza il concetto di protezione par ricochet in relazione agli articoli 2, 3, 5 e 6 (diritto alla vita, divieto di tortura, libertà e sicurezza, diritto a un processo equo). Si evidenziano le difficoltà nel collegare la violenza generalizzata nel paese d'origine con il rischio individuale di violazione dei diritti, come mostrato in sentenze come Vilvarajah e Mamatkulov. La protezione parziale è concessa solo in caso di rischio individuale di tortura o trattamenti inumani e degradanti.

1. La CEDU e il Diritto d Asilo Una Lacuna Normativa

La sezione dedicata alla Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (CEDU) evidenzia una lacuna normativa in materia di diritto d'asilo. A differenza di altri trattati internazionali sui diritti umani, come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo (articolo 14) e la Convenzione contro la tortura (articolo 3), la CEDU non contiene norme specifiche sulla protezione degli stranieri in caso di rischio di persecuzione o gravi violazioni dei diritti fondamentali. La Convenzione di Ginevra, al momento della stesura della CEDU, era considerata lo strumento più completo ed efficace in materia. Si sottolinea la differenza tra l'approccio della Dichiarazione Universale, che riconosce esplicitamente il diritto d'asilo, e quello della CEDU, che non include una norma specifica su questo diritto. Anche i tentativi di inserire una norma sul diritto d'asilo nel Secondo protocollo della CEDU non hanno avuto successo. La CEDU, quindi, non offre una protezione diretta in materia di asilo, ma si concentra sulla tutela dei diritti fondamentali già in vigore nel paese di accoglienza.

2. La Protezione Par Ricochet e i Limiti della Sovranità Nazionale

Il documento introduce il concetto di 'protezione par ricochet', un principio secondo cui la CEDU può offrire protezione indiretta anche in assenza di una norma specifica sul diritto d'asilo. Questo principio si applica quando l'espulsione o l'estradizione di uno straniero verso un paese dove rischierebbe violazioni degli articoli fondamentali della CEDU (diritto alla vita, divieto di tortura, diritto a un processo equo, libertà e sicurezza) sarebbe contraria alla Convenzione stessa. Si fa riferimento alla sentenza X. c. Svezia, che pur ribadendo i limiti alla sovranità nazionale derivanti dalla CEDU, ha ritenuto il caso irricevibile per mancato esaurimento dei ricorsi interni. La protezione 'par ricochet' è stata più frequentemente invocata in relazione agli articoli 2, 3 e 6 della CEDU. Si evidenzia che la semplice possibilità di subire maltrattamenti non è sufficiente per invocare la protezione; è necessario dimostrare un rischio individuale di torture o trattamenti inumani e degradanti, distinto dal contesto generalizzato del paese. Le sentenze Vilvarajah e Mamatkulov and Askarov illustrano come, in caso di violenza generalizzata, è richiesto al ricorrente di fornire prove aggiuntive sul proprio caso specifico per ottenere protezione.

3. Applicazione degli Articoli 3 5 e 6 della CEDU nel Contesto della Protezione Par Ricochet

Questa sezione approfondisce l'applicazione del principio di protezione 'par ricochet' in relazione ad altri articoli della CEDU, oltre agli articoli 2, 3 e 6. Si cita il caso Othman, in cui il ricorrente lamentava il rischio di violazione dell'articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) a causa di un possibile isolamento carcerario prolungato e mancanza di assistenza legale in Giordania. La Corte ha ritenuto più appropriato esaminare il caso sotto l'articolo 6, ma ha comunque considerato astrattamente la possibilità di una protezione indiretta tramite l'articolo 5. Si evidenzia che la protezione 'par ricochet' basata sull'articolo 6 si applica solo in casi estremi di 'fragrant denial of a fair trial'. La dottrina attribuisce questa posizione alla natura stessa dell'articolo 6, considerato un diritto fondamentale ma non con la stessa enfasi dell'articolo 3, definito uno dei valori fondamentali delle società democratiche del Consiglio d'Europa. La sentenza Hilal c. Regno Unito dimostra come, in presenza di una violazione dell'articolo 3 (divieto di tortura), la decisione si basi su quest'ultimo, precludendo un'analisi autonoma dell'articolo 6.

V.Lotta alla Violenza di Genere e Integrazione delle Donne Rifugiate

Il documento conclude con una panoramica delle iniziative internazionali per contrastare la violenza di genere e migliorare la protezione delle donne rifugiate. Si citano la creazione di UN Women, la campagna UNiTE, e le conclusioni della Commissione sullo Stato delle Donne (CSW). Si sottolinea l'importanza di un approccio olistico che includa la prevenzione, la protezione e il supporto alle vittime, con particolare attenzione alle specificità delle donne migranti e rifugiate. Il documento evidenzia la necessità di un'interpretazione gender-sensitive della Convenzione di Ginevra e della definizione di rifugiato, per garantire una maggiore eguaglianza di genere nell'accesso al diritto d'asilo e alla protezione internazionale. La raccomandazione n. 5 del 2002 del Consiglio d'Europa e la successiva Convenzione sul tema sottolineano l'importanza di affrontare la violenza contro le donne come forma di discriminazione, legata a diseguali rapporti di potere tra uomini e donne.

1. Iniziative Internazionali contro la Violenza di Genere

Questa sezione del documento riassume le numerose iniziative intraprese a livello internazionale per contrastare la violenza di genere e migliorare la protezione delle donne, in particolare delle rifugiate. Si evidenzia il ruolo chiave di UN Women, nata dall'unione di diverse organizzazioni ONU dedicate alla promozione della parità di genere, e la campagna UNiTE to End Violence Against Women, lanciata nel 2008 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite per aumentare la consapevolezza e promuovere il miglioramento delle legislazioni nazionali in linea con gli standard internazionali. La 57esima sessione della Commission on the Status of Women (CSW) del 2013 ha focalizzato l'attenzione sulla prevenzione della violenza di genere e sull'offerta di servizi di supporto alle vittime, evidenziando la fondamentale interdipendenza tra prevenzione e lotta al fenomeno. L'articolo 4 della Convenzione menzionata ribadisce il diritto delle donne al rispetto della loro vita e integrità fisica, mentale e morale, alla pari protezione davanti alla legge e ad un equo accesso alle funzioni pubbliche. Si sottolinea l'importanza di misure specifiche per modificare modelli culturali e sociali e contrastare pregiudizi, consuetudini e pratiche basate sull'idea di inferiorità o superiorità di un sesso rispetto all'altro.

2. L approccio Gender Sensitive nell Asilo e l Integrazione

Questa parte del testo si concentra sull'importanza di un approccio gender-sensitive nel procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato, per garantire alle donne un accesso non discriminatorio e un supporto specializzato. Si evidenzia come le donne siano state considerate non solo vittime passive, ma anche attrici della lotta per i propri diritti, sottolineando l'adozione delle Guidelines on the Protection of Refugee Women nel 1991. Queste linee guida, basate sulla Policy in Refugee Women, integrano i bisogni specifici delle donne rifugiate in ogni aspetto della programmazione per assicurare una protezione internazionale equa ed efficace. Si riconosce che, seppur condividendo problemi generali con altri rifugiati, le donne necessitano di una particolare attenzione per la loro vulnerabilità derivante dall'appartenenza di genere. Il documento cita anche l'Handbook for the Protection of Women and Girls del 2008, che affronta aspetti cruciali come la protezione, la partecipazione e la sensibilizzazione su problematiche di genere. Si sottolinea, però, la difficoltà nell'implementazione completa di queste linee guida e la necessità di ulteriori sforzi per garantire una totale eguaglianza di genere nel procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato.

3. Il Ruolo del Consiglio d Europa nella Tutela delle Donne

La sezione finale del documento presenta il ruolo del Consiglio d'Europa nella lotta alla violenza contro le donne, in particolare tramite la Convenzione Europea sulla prevenzione e la lotta contro la violenza contro le donne e la violenza domestica. Basata sulla Raccomandazione n. 5 del 2002, questa Convenzione affronta la violenza contro le donne come forma di discriminazione, legata a rapporti di potere storicamente diseguali tra uomini e donne. Il preambolo della Convenzione dichiara l'obiettivo di un'Europa libera dalla violenza contro le donne e dalla violenza domestica. Si sottolinea l'importanza del riconoscimento del legame tra eguaglianza di genere e lotta alla violenza, considerando la natura strutturale della violenza di genere come frutto di discriminazione. La Convenzione, pur con un numero limitato di ratifiche, offre una base per una protezione effettiva contro la discriminazione di genere. Si cita il lavoro svolto dal Consiglio d'Europa a livello intergovernativo, parlamentare, locale e regionale, concentrandosi su misure politiche e legali, supporto e protezione per le vittime, raccolta dati e azioni di sensibilizzazione. Si evidenzia anche la 'gender blindness' presente in molti ordinamenti nazionali, che porta al mancato riconoscimento della protezione internazionale per le donne vittime di violenza di genere.