
Responsabilità d'impresa: D.Lgs. 231/2001
Informazioni sul documento
Autore | Carlo Alberto Mario Corazzini |
instructor | Chiar.ma Prof.ssa Maria Lucia Di Bitonto |
Scuola | Dipartimento di Giurisprudenza |
Specialità | Diritto e Procedura Penale degli enti |
Tipo di documento | Tesi di Laurea |
Lingua | Italian |
Formato | |
Dimensione | 1.12 MB |
Riassunto
I.Il Gruppo di Imprese e la Responsabilità ai sensi del Decreto Legislativo 231 2001
Questo documento analizza la responsabilità amministrativa degli enti (legge 231) nei gruppi di società, focalizzandosi sulle implicazioni del Decreto Legislativo n. 231/2001 in Italia. Un punto cruciale è la definizione di “gruppo di imprese” e se esso possa essere considerato un “ente dotato di personalità giuridica” ai fini dell’applicazione della legge 231. L'analisi considera la dottrina e la giurisprudenza italiana, esaminando diverse interpretazioni riguardo all’attività di direzione e coordinamento (art. 2497 c.c.) e al concetto di abuso di direzione unitaria. Vengono inoltre distinti i gruppi orizzontali, verticali e conglomerati, evidenziando le peculiarità di ciascun tipo e le relative implicazioni per la responsabilità 231.
1. La Definizione di Gruppo di Imprese e la Legge 231
Il testo introduce la questione centrale: la definizione di "gruppo di imprese" ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001. L'ambiguità dell'articolo 1 del decreto solleva l'interrogativo se un gruppo, per essere considerato soggetto responsabile ai sensi della legge 231, debba possedere personalità giuridica. L'analisi si concentra sulla necessità di chiarire se il gruppo possa essere ricompreso tra i soggetti di cui all'art. 1, D.lgs. n. 231/2001, e se la mancanza di una disciplina unitaria del fenomeno prima della riforma del diritto societario (D.lgs. n. 6/2003) crei ambiguità applicative. Il documento evidenzia la mancanza di una disciplina specifica nel Codice Civile del '42, spiegando tale lacuna con la prevalenza dell'attività agricola e lo scarso sviluppo industriale del periodo. Si sottolinea il cambiamento avvenuto negli anni '50 e '60 con la crescita economica e la diffusione delle imprese su scala nazionale ed internazionale, con conseguente necessità di una normativa aggiornata. La dottrina e la giurisprudenza convergono nell'utilizzare la nozione di abuso di "direzione unitaria", derivata dall'amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, per definire il coordinamento all'interno di un gruppo di imprese. Viene citata la prassi di coordinamento della politica economica e delle linee essenziali dell'attività delle società collegate, anche attraverso direttive impartite dagli amministratori della controllante, e le conseguenti responsabilità in caso di danno alla controllata. L'interpretazione dell'art. 2497-sexies c.c., che introduce una presunzione iuris tantum sull'attività di direzione e coordinamento, contribuisce a definire gli indici sintomatici di tale attività.
2. Tipi di Gruppi di Imprese e Meccanismi di Controllo
Il documento prosegue classificando i gruppi di imprese in base al tipo di integrazione tra le aziende: gruppi orizzontali (aziende nello stesso settore produttivo), gruppi verticali (aziende in fasi diverse del processo produttivo) e gruppi conglomerati (aziende in settori diversi). Si specifica che il legislatore considera i gruppi orizzontali solo per aspetti specifici. L'analisi include i gruppi multinazionali, che delocalizzano attività all'estero per sfruttare vantaggi economici e giuridici in termini di costi del lavoro, mercato dei capitali e trattamento fiscale. Infine, vengono descritte le diverse strutture organizzative dei gruppi: struttura semplice (controllo diretto dalla controllante), struttura complessa (controllo diretto e indiretto tramite sub-holding) e struttura a catena. La descrizione delle diverse strutture evidenzia il livello di complessità che emerge nel definire e gestire il controllo e la direzione unitaria all'interno dei gruppi di società. Il testo evidenzia la necessità di considerare diversi tipi di controllo: controllo interno di diritto, controllo interno di fatto e controllo contrattuale. L'analisi approfondisce il tema della teoria dei vantaggi compensativi, secondo cui un danno patrimoniale a una società controllata può essere giustificato da vantaggi conseguiti dal gruppo nel suo complesso, impedendo l'incriminazione automatica di operazioni infragruppo. Inoltre, il testo cita la prassi delle direttive o disposizioni di gruppo, riconosciuta dalla Corte di Cassazione anche prima della riforma del diritto societario (sentenze nn. 1439/1990 e 1759/1992), come un elemento fondamentale per orientare l'attività del gruppo nel suo complesso.
3. Autonomia delle Società Controllate e Ruolo della Holding nella Prevenzione del Rischio Reato
Questa sezione approfondisce il delicato equilibrio tra l'autonomia delle società controllate e gli obblighi della Holding nell'attività di direzione e coordinamento, in relazione alla prevenzione del rischio reato. La dottrina concorda sul fatto che la capogruppo debba sollecitare le controllate ad adottare un proprio modello organizzativo, ispirato ai criteri generali individuati dalla Holding, e vigilare sulla sua effettiva implementazione. La Holding potrebbe fornire indicazioni sui principi comuni, sulla struttura del codice di comportamento e sui protocolli attuativi, ma le controllate devono adattarli alla propria realtà. L'attività di vigilanza della Holding è giustificata non solo dalla responsabilità per attività di direzione unitaria ex art. 2497 c.c., ma anche dal contenimento dei costi di adeguamento dei modelli, in un'ottica di rischio tollerabile. Il documento cita l’auspicio che la Holding armonizzi e uniformi i criteri generali di prevenzione dei reati adottati nel gruppo. Si discute inoltre la composizione dell'Organismo di Vigilanza (ODV) e la possibilità che la Holding inserisca propri membri nell'ODV delle controllate, in particolare quando funzioni come legale o amministrativa sono accentrate nella capogruppo, pur mantenendo il principio di autonomia dell'ODV della controllata. Il testo menziona l'opinione di parte della dottrina che considera positivamente il coinvolgimento di professionisti dedicati all'ODV in più società di un gruppo di grandi dimensioni, evidenziando che l'essere esterni e non retribuiti dalla società in cui operano potrebbe garantire maggiore autonomia.
II.Modelli Organizzativi 231 e Gruppi di Società
Il documento approfondisce il ruolo dei modelli di organizzazione e gestione previsti dall'art. 6 del D.lgs. 231/2001 nella prevenzione dei reati all'interno dei gruppi di società. Si discute sull'idoneità in astratto e sull’efficace attuazione dei modelli, sottolineando la necessità di una vigilanza effettiva da parte dell'Organismo di Vigilanza (ODV). Viene inoltre analizzata la teoria dei vantaggi compensativi (art. 2634, comma III, c.c.) e la sua rilevanza nell’ambito delle relazioni infragruppo. Si approfondisce il ruolo della Holding nell'attività di direzione e coordinamento, considerando l'autonomia delle società controllate e l'armonizzazione dei modelli 231 all'interno del gruppo.
1. L Idoneità ed Efficacia dei Modelli Organizzativi 231
La sezione analizza l'importanza dei modelli di organizzazione e gestione, previsti dal D.lgs. 231/2001, per la prevenzione dei reati nelle imprese, con particolare attenzione al contesto dei gruppi di società. Si sottolinea che la semplice adozione formale di un modello non è sufficiente; è necessaria la sua efficace attuazione, ovvero la concreta operatività e osservanza delle prescrizioni. Il testo cita l'articolo 6, comma 1, lett. a-d del D.lgs. 231/2001, che stabilisce le condizioni per escludere la responsabilità dell'ente: adozione ed efficace attuazione di modelli idonei a prevenire il reato, affidamento della vigilanza su un organismo dotato di autonomi poteri, azione fraudolenta che elude i modelli e assenza di omessa o insufficiente vigilanza. La Corte di Cassazione, citata nel testo, evidenzia che la mancata adozione dei modelli, in presenza di reato commesso nell'interesse o vantaggio della società e posizione apicale dell'autore del reato, integra la fattispecie sanzionatoria. Il documento sottolinea anche la necessità di un aggiornamento periodico dei modelli, in linea con i mutamenti organizzativi e le prescrizioni normative, e l'importanza di un sistema disciplinare interno per sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Viene definita l'idoneità in astratto del modello, intesa come capacità di prevenzione dei reati attraverso l'individuazione e la gestione del rischio, distinguendola dalla necessità della sua effettiva applicazione pratica. Il testo definisce il rischio tollerabile come quello la cui concretizzazione in un fatto-reato non può essere ascritta alla singola società. Infine, i modelli di prevenzione del rischio-reato sono definiti come regole cautelari auto-normate, elaborate dall'ente stesso per il contenimento degli illeciti penali, e il giudizio di conformità/adeguatezza del modello prescinde da apprezzamenti psicologici della volontà dell'ente.
2. Il Ruolo della Holding e la Vigilanza sui Modelli delle Controllate
Questa parte approfondisce il ruolo della Holding nell'assicurare l'adozione e l'attuazione di modelli organizzativi 231 nelle società controllate. Si evidenzia il compito della capogruppo di sollecitare e indicare alle controllate l'adozione di un proprio modello, ispirato ai criteri generali definiti dalla Holding. Questo impegno include una funzione di vigilanza sull'attività degli organi gestori delle controllate per quanto concerne l'adozione di un modello adeguato e idoneo a prevenire il rischio reato. La vigilanza è fondamentale per evitare ripercussioni sulla controllante in caso di illeciti amministrativi commessi da una controllata. La Holding può fornire principi comuni, la struttura del codice di comportamento e i protocolli attuativi, ma le controllate hanno l'obbligo di adattare questi elementi alla propria realtà specifica. L'attività di direzione e coordinamento della Holding, richiamata tramite l'art. 2497 c.c., implica un grado di supervisione e controllo sulle scelte delle controllate in materia di prevenzione del rischio-reato. Questo è giustificato sia dalla responsabilità per direzione unitaria che dal contenimento dei costi di adeguamento dei modelli. L'armonizzazione dei criteri generali di prevenzione dei reati è un obiettivo auspicabile per la Holding nell'esercizio della sua attività di direzione e coordinamento. La sezione considera anche l'aspetto della composizione dell'Organismo di Vigilanza (ODV) in un gruppo di società e la possibilità per la Holding di inserire propri membri nell'ODV di una controllata, soprattutto nel caso di funzioni di gruppo accentrate presso la capogruppo, come quelle legali o amministrative.
III.Responsabilità della Capogruppo Interesse di Gruppo e Imputazione Oggettiva
Una sezione chiave tratta della responsabilità della capogruppo per i reati commessi dalle società controllate. Si analizzano le diverse interpretazioni giurisprudenziali riguardo all’interesse di gruppo e la possibilità di attribuire la responsabilità alla controllante anche in assenza di un coinvolgimento diretto nel reato. Vengono citate sentenze significative della Corte di Cassazione che illustrano i criteri per l'imputazione oggettiva della responsabilità, evidenziando il ruolo del principio di legalità (art. 25 Cost.) e del principio di personalità della responsabilità penale (art. 27 Cost.). La sentenza del Tribunale di Milano, Sez. G.I.P. Dott. Sechi, Ord. 20 settembre 2004 n. 30382-03 e la sentenza Grande Stevens c. Italia (sent. 4 marzo 2014) della Corte EDU sono discusse come casi esemplari.
1. L interesse di gruppo e l imputazione oggettiva della responsabilità
La sezione analizza la complessa questione della responsabilità della capogruppo (Holding) per reati commessi dalle società controllate, focalizzandosi sul concetto di "interesse di gruppo" e sulla sua rilevanza ai fini dell'imputazione oggettiva della responsabilità ai sensi del D.lgs. 231/2001. Diversi orientamenti giurisprudenziali e dottrinali vengono esaminati, evidenziando il dibattito sull'estensione del concetto di interesse di cui all'art. 5 del decreto. Si discute se il perseguimento dell'interesse di gruppo tramite la commissione di un reato possa integrare i criteri di imputazione oggettiva della responsabilità alla società controllante. La sezione evidenzia l'importanza di distinguere tra un interesse diretto e un vantaggio indiretto che potrebbe ricadere sulla controllante solo in ragione della catena di controllo. Il documento mette in guardia contro l'applicazione di automatismi rigidi che potrebbero contrastare con i principi del sistema delineato dal D.lgs. 231/2001. Viene citata una pronuncia giudiziaria che ha correttamente escluso la responsabilità di società che non hanno tratto alcun vantaggio da un reato di corruzione, né vi hanno concorso direttamente, né hanno ricevuto benefici. Si sottolinea che l'interesse o il vantaggio non devono essere valutati in un'ottica di gruppo, ma singolarmente per ogni società, al fine di verificare se l'ente abbia un interesse causale alla commissione del reato. Una responsabilità diretta dell'ente derivante da un "illecito di gruppo" non può essere affermata automaticamente.
2. Analisi Giurisprudenziale Sentenza del Tribunale di Milano e Grande Stevens c. Italia
Questa parte presenta l'analisi di due sentenze chiave per comprendere la responsabilità della capogruppo nei gruppi di società. La prima, del Tribunale di Milano (Sez. G.I.P. Dott. Sechi, Ord. 20 settembre 2004 n. 30382-03), individua l'essenza del fenomeno di gruppo, descrivendolo come una pluralità di società operanti sotto la direzione unificante di una società capogruppo o Holding, con settori di attività, fasi produttive e zone geografiche distinte, ma con azioni appartenenti in tutto o in maggioranza alla Holding. Questa sentenza evidenzia che la responsabilità per illecito amministrativo può colpire la capogruppo solo se sussiste un criterio di imputazione dell'atto all'ente, ovvero l'appartenenza qualificata dell'autore del reato all'ente stesso, evitando così un'estensione arbitraria della responsabilità. La sentenza sottolinea inoltre che l'interesse del reato può coinvolgere più soggetti purchè sia individuabile un soggetto attivo apicale o sottoposto, rilevante ai sensi degli artt. 5-6, D.lgs. n. 231/2001. La seconda sentenza discussa è la sentenza “Grande Stevens c. Italia” (sent. 4 marzo 2014) della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Corte EDU), che si pronuncia sul principio del ne bis in idem. Il documento sottolinea che il riconoscimento della natura penale della responsabilità prevista dal D.lgs. n. 231/2001, in caso di responsabilità automatica del gruppo, violerebbe il principio di legalità (art. 25 Cost.) e il principio di personalità della responsabilità penale (art. 27, comma I, Cost.). La Corte EDU ha condannato lo Stato Italiano per la mancanza di garanzie processuali nel procedimento davanti alla CONSOB, qualificando la responsabilità come penale.
3. Caso Unipol e la Responsabilità in Caso di Reato Commesso da Dipendente in Controllata
La sezione esamina il caso Unipol, dove la responsabilità per manipolazione del mercato è stata attribuita non solo all'autore materiale del reato e alle società direttamente coinvolte, ma anche alla capogruppo Unipol. Sebbene il direttore finanziario avesse agito nell'ambito delle funzioni svolte per la controllata Meieaurora, la sua posizione apicale anche nella controllante Unipol e l'interesse perseguito per conto di quest'ultima (accrescimento del valore del titolo della controllata) hanno portato alla condanna di Unipol ai sensi del D.lgs. 231/2001. Questa sentenza è considerata originale per aver esteso la responsabilità alla capogruppo anche in un caso dove il reato era stato commesso da un dipendente della controllata, ma anche apicale della controllante, nel perseguimento di un interesse anche della controllante stessa. Si sottolinea che non si può operare un automatismo per cui la responsabilità della controllante derivi automaticamente dal reato commesso dall'amministratore della controllata, che sia anche dipendente della controllante. Bisogna invece indagare caso per caso l'interesse perseguito e il soggetto giuridico che ne trae beneficio, evitando il riferimento al solo interesse di gruppo come criterio attributivo di responsabilità, perché potrebbe creare rigidi automatismi applicativi incompatibili con i principi del D.lgs. 231/2001. Si evidenzia che la responsabilità della capogruppo è esclusa se le altre società del gruppo non hanno tratto alcun vantaggio dal reato e non vi hanno concorso.
IV.Aspetti Internazionali e Comparazione con il Bribery Act 2010
Il documento esamina la responsabilità degli enti in un contesto internazionale, considerando l'extraterritorialità della legge 231 (art. 4, D.lgs. 231/2001) e confrontandola con il Bribery Act 2010 del Regno Unito. Si analizza l'impatto del principio del ne bis in idem e le sfide poste dalla giurisdizione concorrente in caso di reati commessi all'estero da parte di gruppi di società con sede principale in Italia o all’estero. L’analisi include anche una riflessione sull’adozione di una strict liability come quella prevista dal Bribery Act e sulle possibili soluzioni normative per armonizzare la responsabilità degli enti in contesti multinazionali, considerando le sanzione interdittive (art. 14, D.lgs. 231/2001).
1. Extraterritorialità della Legge 231 e Conflitti di Giurisdizione
La sezione affronta le implicazioni internazionali del D.lgs. 231/2001, analizzando l'extraterritorialità della responsabilità amministrativa degli enti, come stabilito dall'art. 4, comma 1. Questo articolo prevede che gli enti con sede principale in Italia rispondano anche per reati commessi all'estero, a determinate condizioni, purché non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto. Si discute di due orientamenti interpretativi: uno che considera applicabile la legge 231 agli enti operanti in Italia ma con sede principale all'estero, e un altro che ne nega l'applicabilità, motivando tale posizione con il rischio di concorrenza sleale tra Stati e l'allontanamento di capitali stranieri, in contrasto con i principi comunitari. L'analisi evidenzia le problematiche legate alla giurisdizione concorrente e al principio del ne bis in idem (art. 4, Protocollo n. 7 della CEDU), in caso di reati commessi all'estero da parte di gruppi di società. Si sottolinea la necessità di considerare i criteri di collegamento sostanziali tra il soggetto agente e l'impresa, al fine di determinare la competenza e la giurisdizione in caso di reati commessi da enti stranieri operanti in Italia o da enti italiani che operano all'estero. Il documento fa riferimento al lavoro di A. Scarcella, "La internazionalizzazione della responsabilità da reato degli enti", per un approfondimento delle problematiche.
2. Comparazione con il Bribery Act 2010 Strict Liability e Responsabilità del Gruppo
Il documento prosegue confrontando il sistema italiano con il Bribery Act 2010 del Regno Unito, focalizzandosi sull'aspetto dell'extraterritorialità. Il Bribery Act si applica non solo alle società inglesi, ma anche a quelle straniere che operano nel Regno Unito. Il testo evidenzia come l'impianto normativo del Bribery Act preveda una responsabilità penale dell'impresa basata sulla strict liability, ovvero una responsabilità diretta e immediata della società per la mancanza di adozione di misure preventive in materia di corruzione. La Section 8 del Bribery Act prevede la responsabilità della società per le azioni commesse per suo conto da persone ad essa collegate ("associated person"), indipendentemente da un rapporto contrattuale o un controllo diretto dell'impresa sul soggetto agente. Il documento propone una possibile soluzione normativa per i gruppi di società, ispirata al Bribery Act, che estenderebbe la responsabilità alla persona giuridica che esercita la direzione e il coordinamento, indipendentemente dal luogo di costituzione della società, sia che il reato sia commesso in Italia o all'estero. Si considera inoltre il problema della giurisdizione concorrente e del principio del ne bis in idem se il reato viene commesso in Italia. Infine si discute della scelta delle sanzioni interdittive, come previsto dall'art. 14 del D.lgs. 231/2001, che devono colpire il ramo di attività in cui si è verificato l'illecito, secondo il principio di economicità e proporzione, come indicato dalla Relazione Ministeriale al Decreto Legislativo n. 231.
3. Proposte di Miglioramento Normativo e Conclusioni
La sezione conclude con una riflessione sulle carenze del sistema italiano di responsabilità amministrativa degli enti, evidenziando la difficoltà di applicazione nel contesto dei gruppi di società. Il sistema attuale è strutturato per la commissione di reato da parte di un unico soggetto (apicale o sottoposto) all'interno di un singolo ente, portando a una moltiplicazione delle responsabilità in caso di collegamenti societari. Mancano meccanismi di raccordo tra le diverse posizioni individuali e collettive e il corrispondente impatto sulla responsabilità. Il documento suggerisce come possibile soluzione l'adozione di una disposizione simile a quella del "Progetto Grosso", che estenderebbe la responsabilità alla persona giuridica che esercita la direzione e il coordinamento se il fatto è commesso nell'interesse o vantaggio di quest'ultima. Tale soluzione è considerata un buon compromesso tra tassatività, determinatezza e personalità della responsabilità penale. Si propone anche un'analisi comparatistica, prendendo spunto dal Bribery Act 2010, per prospettare soluzioni normative che bilancino i principi di responsabilità penale e la complessità dei gruppi di società internazionali. La sezione evidenzia infine la necessità di meccanismi efficaci per stabilire la responsabilità dell'ente in sede penale, come quelli previsti dal D.lgs. n. 231/2001, e la complessità di applicare tali meccanismi al contesto dei gruppi di società.