Linfoistiocitosi Emofagocitica familiare (FHL): serie casistica monocentrica anni 1990-2020

Linfoistiocitosi emofagocitica familiare (FHL): Studio monocentrico

Informazioni sul documento

Autore

Maria Binelli

instructor Chiar.mo Prof. Angelo Ravelli
Scuola

Università Degli Studi Di Genova, Scuola Di Scienze Mediche E Farmaceutiche

Specialità Medicina E Chirurgia
Tipo di documento Tesi Di Laurea Specialistica
Lingua Italian
Formato | PDF
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Riassunto

I.Patogenesi della Linfoistiocitosi Emofagocitica HLH

La HLH, sia nelle forme familiari (FHL) che in quelle secondarie, è caratterizzata da un'iperattivazione immunologica che porta a una tempesta citochinica, con conseguente pancitopenia, coagulazione intravascolare disseminata e insufficienza multiorgano. Un ruolo chiave è svolto dal deficit nella citotossicità mediata da cellule T CD8+ e cellule NK, spesso dovuto a mutazioni nel gene PRF1 (codificante per la perforina) o in altri geni coinvolti nel traffico e rilascio dei granuli litici (es. MUNC13-4, STX11, STXBP2). L'inefficace clearance dell'antigene e l'impossibilità di mantenere l'omeostasi immunologica contribuiscono alla persistenza dell'infiammazione. La sindrome da attivazione macrofagica (MAS), spesso associata ad artrite idiopatica giovanile, rappresenta una forma secondaria di HLH.

1. Iperattivazione Immunologica e Tempesta Citochinica

L'iperattivazione immunologica nella linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) è il motore principale della malattia. Questa iperattivazione causa una tempesta citochinica, una reazione infiammatoria incontrollata caratterizzata da un'eccessiva produzione di citochine pro-infiammatorie. La conseguenza è lo sviluppo di manifestazioni cliniche severe, spesso non specifiche, che possono includere pancitopenia (diminuzione dei globuli bianchi, rossi e piastrine), coagulazione intravascolare disseminata (CID) e insufficienza multiorgano. La gravità della tempesta citochinica è tale che oltre il 10% dei pazienti muore entro due mesi dalla diagnosi a causa di emorragie interne, infezioni opportunistiche dovute a neutropenia (bassa conta dei neutrofili, un tipo di globulo bianco) e insufficienza multiorgano. La presentazione clinica varia, ma l'insorgenza in età pediatrica, in particolare tra la nascita e i 18 mesi, è frequente, anche se la HLH può manifestarsi a qualsiasi età.

2. Forme Familiari FHL e Immunodeficienze Primitive

La HLH si manifesta in due forme principali: primitiva (o familiare) e secondaria (o acquisita). Le forme primitive sono geneticamente determinate e comprendono le forme familiari (FHL) e quelle associate ad altre immunodeficienze primitive. Le FHL sono causate da difetti genetici ereditari che compromettono i meccanismi di controllo dell'attivazione del sistema immunitario. Le forme secondarie, invece, sono innescate da infezioni (virali, batteriche o parassitarie), malattie proliferative oncologiche, o malattie reumatologiche. Queste ultime possono persino presentarsi come il sintomo iniziale della malattia. La prima descrizione della HLH risale al 1939 da parte di Scott e Robb-Smith, che la definirono "reticolosi istiocitica midollare", una condizione rapidamente fatale caratterizzata da proliferazione incontrollata di istiociti e dei loro precursori, con emofagocitosi a livello linfonodale, splenico, epatico e midollare. Casi simili erano stati precedentemente descritti come entità nosologiche distinte, denominate "malattia di Hodgkin atipica o leucosi".

3. Meccanismi di Killing Citotossico e Ruolo della Perforina

Il meccanismo patogenetico della HLH coinvolge un difetto nel processo di killing citotossico mediato dai linfociti T CD8+ e dalle cellule NK. Normalmente, l'attivazione del recettore delle cellule T (TCR) sui linfociti T CD8+ da parte di antigeni MHC-I porta alla polarizzazione cellulare, migrazione e fusione dei granuli citotossici con la membrana plasmatica. Questo rilascia granzimi e perforina nello spazio sinaptico. La perforina crea pori nella cellula bersaglio, permettendo ai granzimi di entrare ed attivare la via delle caspasi, portando all'apoptosi (morte cellulare programmata). Questo processo è compromesso nella HLH. Non è completamente chiaro il motivo di questa alterazione, ma sembra che sia causata da una doppia disfunzione: una clearance inefficiente dell'antigene, che continua a stimolare le cellule effettrici, e un'incapacità di ristabilire l'omeostasi immunologica dopo l'eliminazione del fattore scatenante, con la perforina che svolge un ruolo critico in questo processo. La FHL2, ad esempio, è dovuta a mutazioni nel gene PRF1, che codifica per la perforina, una proteina essenziale per la formazione dei pori nella membrana cellulare bersaglio, consentendo l’ingresso dei granzimi e l’avvio della cascata apoptotica. L’assenza di perforina compromette l’attività citotossica.

4. Altri Geni e Proteine Implicati nella Patogenesi della HLH

Oltre al gene PRF1, altre mutazioni genetiche possono causare forme di FHL, o essere presenti in combinazione con altre immunodeficienze primitive. Esempi includono la sindrome di Chediak-Higashi (CHS), la sindrome di Griscelli (GS) di tipo 2, la sindrome di Hermansky-Pudlak (HPS) di tipo 2 e la sindrome linfoproliferativa di tipo 1 e 2 (XLP-1 e XLP-2). Distinguere tra queste patologie ereditarie e le forme familiari di HLH può essere difficile, anche se nella FHL la linfoistiocitosi emofagocitica è solitamente la manifestazione clinica principale e primitiva, a differenza di altre immunodeficienze in cui può essere presente solo all'esordio o durante il decorso. Altre proteine cruciali nel processo di esocitosi dei granuli citotossici sono coinvolte nella patogenesi della HLH. La FHL5, ad esempio, è causata da mutazioni nella proteina Munc18-2 (STXBP2), coinvolta nel traffico intracellulare e nell'assemblaggio del complesso SNARE, un'ulteriore componente essenziale del meccanismo di degranulazione delle cellule NK e della successiva fusione con la membrana plasmatica. Sia nelle forme primarie che secondarie di HLH, un'ampia varietà di sintomi infiammatori aspecifici si presenta, potenzialmente in fasi diverse della malattia.

II.Manifestazioni Cliniche e Diagnostica della HLH

La HLH presenta un ampio spettro di sintomi aspecifici, spesso mimando infezioni, neoplasie o malattie reumatologiche. La febbre è comune, così come la splenomegalia, l'epatomegalia e il coinvolgimento neurologico (encefalopatia). I criteri diagnostici includono livelli elevati di ferritina sierica (>500 mcg/L), LDH, e spesso trombocitopenia e anemia. Test funzionali rapidi, come la valutazione della funzionalità delle cellule NK e il dosaggio di sCD25, possono supportare la diagnosi precoce, indirizzando verso analisi genetiche per identificare mutazioni specifiche, come quelle del gene PRF1. Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale (SNC) è un importante fattore prognostico negativo, spesso evidenziato da alterazioni liquorali (pleocitosi e iperproteinorrachia) e reperti alla risonanza magnetica (RMN).

1. Manifestazioni Cliniche Aspecifiche della HLH

Le manifestazioni cliniche della linfoistiocitosi emofagocitica (HLH) sono spesso aspecifiche, rendendo la diagnosi iniziale difficile. I sintomi possono variare ampiamente e mimare altre patologie, come infezioni (virali, batteriche e parassitarie), neoplasie maligne (linfomi, leucemie e tumori solidi) e disturbi reumatologici, in particolare l'artrite idiopatica giovanile sistemica (SJRA), che può manifestarsi come sindrome da attivazione macrofagica (MAS). Alcuni sintomi possono essere assenti all'esordio e comparire successivamente nel decorso della malattia. La variabilità sintomatologica rende la diagnosi differenziale complessa e richiede un approccio multidisciplinare. L'ampio spettro di sintomi rende fondamentale un'accurata anamnesi e un esame clinico completo per sospettare la HLH, considerando la possibilità di coinvolgimento di diversi organi.

2. Criteri Diagnostici e Marcatori Laboratoristici

La diagnosi di HLH si basa su criteri clinici e laboratoristici, spesso combinati. Un valore di ferritina sierica superiore a 500 mcg/L è incluso nei criteri diagnostici del protocollo HLH-2004 dell'Histiocyte Society, ed è un eccellente indicatore per il monitoraggio della risposta alla terapia. L'aumento della ferritina è un marcatore molto sensibile, con una specificità che cresce all'aumentare dei suoi livelli: valori superiori a 10.000 mcg/L raggiungono una sensibilità del 90% e una specificità del 96%, ulteriormente migliorata dalla presenza di febbre. Altri marcatori includono l'aumento della LDH (lattico deidrogenasi), la mielodepressione (anemia e trombocitopenia, che può evolvere in pancitopenia), e la coagulopatia correlata a bassi livelli di fibrinogeno. Il dosaggio di sCD25, pur essendo un marker di flogosi, presenta limitazioni a causa della variabilità dei livelli in base all'età e la scarsa disponibilità del test in tutti i centri.

3. Diagnosi Immaginologica e Bioptica

Le indagini di diagnostica per immagini, in particolare la risonanza magnetica (RMN) cerebrale, svolgono un ruolo fondamentale nella diagnosi e nella valutazione del coinvolgimento neurologico, un importante fattore prognostico. La RMN può evidenziare dilatazioni subdurali, iperintensità nella sostanza bianca nelle sequenze T2 pesate, atrofia cerebrale, lesioni della sostanza bianca, ventricolomegalia, emorragie, edema e aumento dell'enhancement leptomeningeo. Il coinvolgimento neurologico, che può manifestarsi all'esordio o nel corso della malattia, interessa dal 10% al 73% dei pazienti e può comportare danni irreversibili, come ritardo nello sviluppo neurocognitivo ed epilessia. Anche il danno epatico è frequente, con manifestazioni che vanno da un lieve aumento delle transaminasi all'epatite fulminante. Alcune biopsie, come quella epatica che mostra epatite cronica persistente, possono fornire ulteriore supporto diagnostico. Inoltre, la pleocitosi liquorale (aumento del numero di cellule nel liquido cefalorachidiano) e/o livelli elevati di proteine nel liquor costituiscono una forte evidenza per la diagnosi, in particolare in caso di interessamento del sistema nervoso centrale.

4. Test Funzionali e Genetici

Test immunologici rapidi (1-3 giorni) possono fornire informazioni sull'eziologia della HLH, mentre il sequenziamento genetico (3-8 settimane) determina la causa genetica sottostante. La misurazione della citotossicità delle cellule NK e il dosaggio di sCD25 possono essere utili, ma anomalie in questi test non suggeriscono specifiche alterazioni genetiche. Un test di citotossicità con elevato valore predittivo negativo (>94%) è utile per escludere forme primitive di HLH. In un caso di FHL3, un deficit di degranulazione delle cellule NK, evidenziato da una bassa percentuale di cellule CD107a+, ha preannunciato un difetto di Munc13-4, successivamente confermato dall'analisi genetica. La rapidità dei test funzionali consente un intervento terapeutico tempestivo, particolarmente utile quando i test genetici non sono del tutto informativi. Altre anomalie cliniche e di laboratorio che possono aiutare nella diagnosi includono sintomi cerebromeningei, ingrossamento linfonodale, ittero, edema, rash cutaneo, alterazioni degli enzimi epatici, ipoproteinemia, iponatriemia, aumento delle VLDL e riduzione delle HDL.

III.Terapia e Prognosi della HLH

Il trattamento della HLH si basa su protocolli come HLH-94 e HLH-2004, che prevedono chemioterapia ad alta intensità, inclusa la terapia intratecale con metotrexate per il coinvolgimento del SNC. Il trapianto di cellule staminali emopoietiche rappresenta una terapia salvavita per le forme refrattarie/recidivanti. Nuove terapie a bersaglio molecolare, come Emapalumab (anticorpo monoclonale anti-IFNγ), Ruxolitinib (inibitore di JAK1/2) e Tocilizumab, mostrano risultati promettenti nell'inibizione della tempesta citochinica e nel miglioramento della sopravvivenza. La prognosi è migliorata negli ultimi anni grazie all'introduzione di protocolli di trattamento standardizzati e di nuove terapie, ma la mortalità rimane significativa, soprattutto nei pazienti con coinvolgimento neurologico. L'utilizzo di regimi di condizionamento pre-trapianto a intensità ridotta (RIC), con farmaci come alemtuzumab, melphalan e fludarabina, ha migliorato ulteriormente la sopravvivenza.

1. Protocolli di Trattamento Standard per la HLH

I protocolli HLH-94 e HLH-2004 rappresentano gli standard di cura per la linfoistiocitosi emofagocitica (HLH). Questi prevedono una terapia di induzione con chemioterapia ad alta intensità mirata a ridurre l'attività della malattia. Nel caso di coinvolgimento del sistema nervoso centrale (SNC), evidenziato da sintomi neurologici persistenti o alterazioni liquorali (pleocitosi e/o iperproteinorrachia) dopo due settimane di trattamento sistemico, si ricorre alla terapia intratecale con metotrexate e prednisolone. L'utilizzo del desametasone, preferito al prednisolone per la sua maggiore capacità di penetrazione della barriera emato-encefalica, è fondamentale nel trattamento della sintomatologia a carico del SNC. Il protocollo prevede una somministrazione settimanale di metotrexate, per un massimo di quattro dosi, nei pazienti che mostrano segni di progressione della malattia a livello centrale o pleocitosi liquorale immodificata o in peggioramento.

2. Terapie di Salvataggio e Farmaci a Bersaglio Molecolare

Per le forme di HLH refrattarie o recidivanti, ovvero quelle che non rispondono alla terapia standard dopo due settimane, le opzioni terapeutiche sono più limitate e oggetto di dibattito. L'alemtuzumab, un farmaco immunosoppressivo, emerge come terapia di seconda linea efficace e con un profilo di tossicità accettabile nei pazienti che non migliorano dopo 2-4 settimane di terapia convenzionale re-intensificata. Il suo impiego aumenta le probabilità di sopravvivenza nei pazienti candidabili al trapianto di cellule staminali. Altri farmaci a bersaglio molecolare, come il tocilizumab, mostrano risultati incoraggianti come terapia aggiuntiva alla terapia standard, inducendo la remissione clinica in diversi casi di HLH idiopatica e secondaria ad infezioni o malattie autoimmuni. Studi clinici sono in corso per valutare ulteriormente il suo impatto sulla riduzione del danno tissutale indotto dalle citochine. L'efficacia del tocilizumab è stata anche dimostrata in modelli animali preclinici, riducendo l'attivazione infiammatoria e aumentando la sopravvivenza.

3. Trapianto di Cellule Staminali Emopoietiche

Il trapianto di cellule staminali emopoietiche (HSCT) rappresenta una terapia salvavita per i pazienti con HLH refrattaria o recidivante. Il regime di condizionamento convenzionale, mieloablativo, include busulfano, ciclofosfamide ed etoposide, con o senza ATG. Questo trattamento, pur avendo mostrato nel 2005 una probabilità di sopravvivenza a 5 anni del 50-70%, presenta un'elevata mortalità nei primi 100 giorni post-trapianto, principalmente dovuta a polmonite, malattia veno-occlusiva e mancato attecchimento. Regimi di condizionamento pre-trapianto a intensità ridotta (RIC), a base di alemtuzumab, melphalan e fludarabina, hanno migliorato la sopravvivenza generale a quasi il 92%. La sopravvivenza a 3 anni dal trapianto, nei pazienti trattati secondo il protocollo HLH-94, è stata del 64%, con risultati migliori nei bambini che hanno risposto rapidamente alla chemioterapia pre-trapianto, che hanno ricevuto un donatore HLA-identico e in cui la malattia a livello del SNC era assente o quiescente.

4. Prognosi e Considerazioni sull Outcome

La prognosi della HLH, in particolare nelle forme familiari (FHL), è notevolmente migliorata negli ultimi anni grazie all'introduzione del protocollo HLH-94. Prima degli anni '90, la sopravvivenza a lungo termine era solo del 5%, mentre con l'HLH-94 è salita al 55% a 5 anni, e al 62% post-trapianto. Uno studio monocentrico su una casistica di 30 anni riporta una sopravvivenza globale a 5 anni del 57,7% e una sopravvivenza post-trapianto dell'81,2%. Il coinvolgimento neurologico rappresenta un fattore prognostico negativo, associato a una maggiore mortalità. Tuttavia, i pazienti con coinvolgimento del SNC trattati con trapianto di cellule staminali mostrano una minore mortalità rispetto ai non trapiantati, con regressione delle lesioni cerebrali. L'Emapalumab, un anticorpo monoclonale anti-IFNγ, è attualmente l'unico farmaco a bersaglio molecolare approvato per le forme refrattarie/recidivanti, mostrando un outcome favorevole in oltre il 60% dei pazienti in uno studio di fase 2-3, con minore tossicità rispetto al trattamento convenzionale.