
Insolvenza Transfrontaliera: Gruppi di Imprese
Informazioni sul documento
Autore | Manuela Nasta |
instructor | Andrea Palazzolo |
Scuola | Dipartimento di Giurisprudenza |
Specialità | Diritto delle Società |
Tipo di documento | Tesi di Laurea |
Lingua | Italian |
Formato | |
Dimensione | 1.09 MB |
Riassunto
I.Il Regolamento UE 1346 00 e l Insolvenza Transfrontaliera
Questo documento analizza il Regolamento UE 1346/00 del 29 maggio 2002, incentrato sulla disciplina dell'insolvenza transfrontaliera nell'Unione Europea. Il regolamento mira a coordinare le diverse procedure nazionali di insolvenza con implicazioni transfrontaliere, assicurando il buon funzionamento del mercato interno. Nonostante l'obiettivo di coordinamento, il Regolamento non ha uniformato completamente le normative nazionali, a causa delle differenze esistenti tra gli Stati membri e la priorità data agli interessi pubblici nazionali. Un punto critico riguarda la gestione dell'insolvenza di gruppi di imprese transnazionali, dove il Regolamento presenta delle lacune. La dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato diverse criticità e proposto modifiche al regolamento per migliorare la gestione di tali situazioni complesse, tra cui l'introduzione di principi di autonomia privata e di maggioranza nelle decisioni.
1. Il Regolamento 1346 00 Obiettivi e Limiti
Il Regolamento UE 1346/00, entrato in vigore il 31 maggio 2002, rappresenta il culmine di numerosi tentativi di disciplinare l'insolvenza delle imprese che operano in più Stati membri. Il suo obiettivo principale è istituire un meccanismo di coordinamento tra le diverse procedure di insolvenza nazionali con implicazioni transfrontaliere, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno europeo. Tuttavia, il regolamento si scontra con la realtà di significative differenze tra le normative degli Stati membri e con la riluttanza di questi ultimi ad adottare una normativa comunitaria unitaria. Questo ostacolo, probabilmente dovuto alla priorità data agli interessi pubblici nazionali, ha portato al fallimento del progetto iniziale di creare una procedura di insolvenza universale per tutta l'Unione. La mancanza di omogeneità normativa crea conflitti e complicazioni, soprattutto quando si tratta di procedure concorsuali con ripercussioni internazionali. Le conseguenze di una crisi aziendale, infatti, spesso trascendono i confini nazionali, rendendo necessario un coordinamento efficace tra gli ordinamenti statali.
2. L Insolvenza Transfrontaliera e il Mercato Unico
L'istituzione del mercato unico europeo ha favorito l'espansione delle imprese oltre i confini nazionali, con la creazione di filiali e succursali in diversi Stati. Questa realtà accentua la complessità dell'insolvenza transfrontaliera, creando intricate interrelazioni giuridiche tra le diverse sedi aziendali. Il documento evidenzia la necessità di un coordinamento tra gli ordinamenti statali per regolamentare i rapporti giuridici in caso di crisi o procedure concorsuali con implicazioni transfrontaliere. La crescente transnazionalità delle imprese rende fondamentale un'armonizzazione delle normative per affrontare efficacemente l'insolvenza, tutelando sia gli interessi dei creditori che il buon funzionamento del mercato interno. L'obiettivo del coordinamento è quello di creare un sistema più prevedibile e certo per le imprese che operano a livello internazionale, evitando conflitti di legge e assicurando un trattamento equo ai creditori coinvolti in procedure concorsuali transfrontaliere.
3. Proposte di Miglioramento del Regolamento 1346 00
Sebbene la dottrina accolga positivamente il Regolamento 1346/00, sono state sollevate critiche, soprattutto riguardo alla gestione dell'insolvenza di gruppi di imprese transnazionali. Il documento menziona diverse proposte di modifica, sia per integrare nuovi elementi che per migliorare quelli esistenti. Un'iniziativa rilevante è quella dell'associazione INSOL Europe, che propone di rafforzare il ruolo di due principi fondamentali all'interno delle leggi concorsuali degli Stati membri: il principio di autonomia privata e quello di maggioranza. L'autonomia privata consentirebbe una maggiore partecipazione degli stakeholders nelle scelte gestorie delle procedure di insolvenza, mentre il principio di maggioranza garantirebbe che le decisioni siano prese tenendo conto di un interesse diffuso e non solo di interessi particolari. INSOL Europe sottolinea inoltre la necessità di regole di coordinamento tra le diverse procedure di insolvenza aperte per un gruppo di imprese, prevedendo la possibilità di piani di risanamento a livello europeo. La creazione di un registro unico delle insolvenze accessibile a tutti gli Stati membri è anch'essa suggerita come miglioramento.
4. Gestione dei Gruppi di Imprese e Approcci Giurisprudenziali
Il regolamento 1346/00, pur nel suo tentativo di coordinamento, non fornisce una soluzione univoca per la gestione dell'insolvenza di gruppi di imprese transnazionali. Il documento analizza le due principali opzioni: una gestione separata di ogni società del gruppo e una gestione completamente accentrata. La scelta ottimale dipende dalla valutazione dell'eventuale perdita di valore derivante da una liquidazione separata rispetto ad una unitaria. In molte situazioni, un coordinamento tra le diverse società del gruppo può essere sufficiente, mantenendo la separazione delle identità giuridiche. Tuttavia, quando l'integrazione economica tra le società è così forte che una liquidazione separata causerebbe una perdita di valore significativa, un consolidamento sostanziale dell'intero gruppo può essere necessario. Il documento evidenzia come, nonostante la mancanza di norme specifiche nel Regolamento, diverse corti nazionali, in particolare in Inghilterra e Francia, abbiano sviluppato approcci giurisprudenziali più integrati per la gestione dell'insolvenza di gruppi di imprese, basandosi su concetti come l’'head office functions approach' e sulla riconoscibilità del COMI da parte dei terzi.
II.Responsabilità della Capogruppo e Gruppi di Società
Il documento approfondisce la responsabilità della capogruppo all'interno di gruppi di società, analizzando gli articoli 2497 e 2497-bis c.c. Questi articoli disciplinano l'attività di direzione e coordinamento, chiarendo i criteri per accertare la responsabilità della società capogruppo in caso di gestione contraria ai principi di corretta amministrazione societaria. Viene esaminato il danno arrecato ai soci e ai creditori delle società controllate, distinguendo tra danno diretto e danno riflesso. Si evidenzia la diversità di trattamento tra la responsabilità della capogruppo e quella degli amministratori di società non inserite in un gruppo. La questione della legittimazione attiva dei soci a promuovere azioni di responsabilità è analizzata, sottolineando il diverso livello di tutela riconosciuto ai soci di società controllate a causa dei maggiori rischi a cui sono esposti.
1. Attività di Direzione e Coordinamento e Responsabilità della Capogruppo art. 2497 c.c.
Questa sezione analizza la responsabilità della società capogruppo all'interno di un gruppo di società, focalizzandosi sull'articolo 2497 del codice civile italiano. L'articolo impone alla società o all'ente che esercita attività di direzione e coordinamento di agire nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. Il testo evidenzia come la riforma del 2003 abbia introdotto una serie di indicatori per identificare gli elementi costitutivi dell'attività di direzione e coordinamento, andando oltre la semplice valutazione della partecipazione azionaria. L'obiettivo della direzione e del coordinamento, in teoria, dovrebbe essere quello di generare benefici economici per tutte le società del gruppo. Tuttavia, il documento riconosce la difficoltà di garantire un risultato positivo per ogni singola società, sottolineando che il vantaggio di un singolo socio non può prevalere sul risultato complessivo del gruppo. La definizione di ‘principio di effettività’ viene richiamata e approfondita, indicando la necessità di una valutazione concreta dell’attività di direzione e coordinamento, indipendentemente dalla fonte del potere esercitato.
2. Responsabilità e Danni Soci e Creditori
Il documento prosegue esaminando le conseguenze della violazione dei principi di corretta gestione da parte della società che esercita la direzione e il coordinamento. Viene analizzato il danno arrecato ai soci e ai creditori delle società controllate. Si fa una distinzione tra danno diretto al patrimonio sociale (art. 2394 c.c.) e danno riflesso ai soci, che si configura come un pregiudizio alla redditività e al valore della partecipazione sociale. La giurisprudenza e la dottrina riconoscono la legittimità del danno riflesso, sostenendo che questo si verifica quando operazioni poste in essere dalla capogruppo diminuiscono il patrimonio della società controllata, pregiudicando la prospettiva di percezione degli utili o di alienazione delle quote azionarie a un valore elevato. In sostanza, la redditività e il valore della partecipazione sociale sono visti come una proiezione indiretta dei risultati economici della società controllata. La trattazione mette in luce la differenza tra il danno diretto e quello riflesso, sottolineando come quest'ultimo, pur essendo causato dalle azioni della capogruppo, non si traduca in un danno patrimoniale diretto per l’azionista.
3. Differenze di Trattamento e Tutela dei Soci
Si approfondisce la questione della differenza di trattamento tra la responsabilità della capogruppo e quella degli amministratori di una società non inclusa in un gruppo. La responsabilità della capogruppo può essere fatta valere senza la necessità di particolari percentuali di possesso azionario, a differenza di quanto accade per gli amministratori di società singole. Inoltre, il trattamento del socio varia a seconda che il danno derivi da decisioni autonome degli amministratori della società o da operazioni imposte dalla capogruppo. Alcuni sostengono che questo differente trattamento si giustifica per il diverso rischio assunto dal socio di minoranza in un gruppo societario. Il documento conclude osservando che l'articolo 2497 c.c. sembra individuare due tipologie di danno, una per le società isolate e una per le società appartenenti a un gruppo, rafforzando il concetto di maggiore protezione dei soci all’interno di un contesto più complesso come quello dei gruppi societari. Viene analizzata la legittimazione attiva dei soci a esercitare l'azione di responsabilità prevista dall'articolo 2497 c.c., evidenziando che non è richiesto un valore minimo della partecipazione per poterla esercitare.
4. Legittimati Passivi e Concorso nella Responsabilità
Questa sezione tratta la questione dei legittimati passivi nell'ambito della responsabilità ex art. 2497 c.c. Il testo evidenzia che la norma lascia grande libertà interpretativa, non specificando la tipologia di enti che possono essere considerati responsabili per l'esercizio di una direzione unitaria. Si ipotizza che possano essere inclusi enti di fatto e di diritto, enti pubblici non economici, comitati, associazioni e fondazioni. Il secondo comma dell'articolo 2497 c.c. introduce una responsabilità solidale, distinguendo tra chi ha partecipato al fatto lesivo e chi ne ha tratto beneficio. L'intento sembra essere quello di ampliare il novero dei possibili convenuti, anche in presenza di un fatto lesivo principale causato dalla società o ente che esercita la direzione unitaria. Si analizza l’evoluzione della normativa, che ha riconosciuto la legittimità della direzione unitaria, ma solo se svolta nel rispetto dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale. L’amministratore di una società controllata può essere esente da responsabilità se agisce diligentemente, anche in presenza di direttive dannose impartite dalla capogruppo.
III.Il COMI e il Trasferimento del Centro degli Interessi Principali
Un'ampia sezione del documento è dedicata al COMI (Centro degli interessi principali), un concetto fondamentale per determinare la giurisdizione competente in caso di insolvenza transfrontaliera. Viene analizzata la presunzione, prevista dal Regolamento 1346/00, che fa coincidere il COMI con la sede statutaria della società. Si esaminano le sentenze della Corte di Giustizia UE, in particolare la causa C-341/04 (Eurofood) e la causa C-396/09 (Interedil), per chiarire i criteri di individuazione del COMI e i limiti della presunzione di sede legale. Il documento affronta il problema del forum shopping, ovvero la ricerca da parte del debitore di una giurisdizione più favorevole, e le sue implicazioni in relazione alla libertà di stabilimento delle imprese all'interno dell'Unione Europea, includendo l'analisi di sentenze rilevanti come Centros, Überseering e Cadbury Schweppes. Si analizzano i rischi per i creditori derivanti da trasferimenti del COMI in prossimità dell'apertura di una procedura di insolvenza. Viene discussa la necessità di un equilibrio tra la libertà di stabilimento e la protezione dei creditori.
1. Il Centro degli Interessi Principali COMI Definizione e Presunzioni
La sezione si concentra sul concetto di COMI (Centro degli Interessi Principali), elemento cruciale per determinare la giurisdizione competente in materia di insolvenza transfrontaliera. Il Regolamento 1346/00 stabilisce che, per le persone giuridiche, il COMI si presume coincida con la sede statutaria, salvo prova contraria. Questa presunzione, tuttavia, non implica una coincidenza necessaria tra sede legale e COMI. Il regolamento, infatti, prevede due criteri per identificare lo Stato membro competente: uno basato sull'effettività (COMI) e l'altro su elementi formali (sede statutaria). L'articolo 3, paragrafo 1, del Regolamento introduce questa presunzione semplice, che può essere superata da prove contrarie che dimostrino una diversa localizzazione del centro degli interessi principali. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nella causa C-341/04 (Eurofood), ha ribadito l'autonomia del concetto di COMI, chiarendo che non coincide necessariamente con la sede statutaria. La sezione approfondisce quindi la complessità nell'individuazione del COMI, soprattutto per le imprese multinazionali, dove la sede legale potrebbe non riflettere la reale localizzazione del centro degli interessi principali.
2. Sentenze della Corte di Giustizia UE e Interpretazione del COMI
Il documento analizza sentenze chiave della Corte di Giustizia UE per chiarire l'interpretazione del COMI. La causa C-341/04 (Eurofood) ha stabilito l'autonomia del concetto di COMI rispetto alla sede statutaria, mentre la causa C-396/09 (Interedil Srl) ha ulteriormente approfondito la questione della presunzione di coincidenza tra sede legale e COMI. Nel caso Interedil, il Tribunale di Bari e la Corte di Cassazione hanno confermato la giurisdizione italiana, nonostante la società contestasse il difetto di giurisdizione. La Corte di Giustizia, nel caso Eurofood, ha definito criteri così rigidi per l'individuazione del COMI che il superamento della presunzione di sede legale è consentito solo nel caso di “società fantasma”, ovvero società che non svolgono alcuna attività imprenditoriale presso la sede legale. Il documento sottolinea la debolezza di tale presunzione nel caso di società controllate costituite in Stati diversi da quello della controllante unicamente per beneficiare di condizioni fiscali più favorevoli. L'individuazione del COMI rappresenta dunque una sfida significativa, soprattutto per le multinazionali, richiedendo un'attenta analisi della realtà aziendale.
3. Forum Shopping e Libertà di Stabilimento
La sezione discute il fenomeno del forum shopping, ossia la ricerca da parte del debitore della giurisdizione più favorevole per la liquidazione o la ristrutturazione di una società. Questo comportamento, che implica il trasferimento del COMI da uno Stato membro a un altro, deve essere analizzato nel contesto del mercato comune europeo e delle libertà fondamentali, in particolare la libertà di stabilimento. Il documento distingue tra forum shopping lecito e abusivo, mettendo in evidenza le conseguenze per le imprese insolventi che ne fanno uso. Vengono citate le sentenze Centros e Überseering, che affermano il diritto di una persona giuridica di trasferire la propria sede statutaria o effettiva senza vincoli da parte dello Stato di entrata, salvo casi di abuso della libertà di stabilimento. La sentenza Cadbury Schweppes offre una base giuridica per l’identificazione dell’abuso, nel caso di trasferimenti volti a sfruttare una disciplina nazionale più favorevole. Il trasferimento del COMI in prossimità dell'apertura di una procedura principale solleva problematiche sulla sua effettiva abitualità e sulla tutela dei creditori, creando il rischio di un “turismo di insolvenza”. L’analisi approfondisce quindi la necessità di conciliare la libertà di stabilimento con la protezione dei creditori.
4. Trasferimento del COMI e Tutela dei Creditori
L'analisi si concentra sulle implicazioni del trasferimento del COMI per la tutela dei creditori. La possibilità per le società di trasferirsi liberamente in Europa, esercitando la libertà di stabilimento, rende difficile per i creditori prevedere in anticipo la giurisdizione competente in caso di insolvenza. Il documento evidenzia come la concentrazione sulle dinamiche interne al gruppo, a scapito della trasparenza verso i creditori, crea incertezza e difficoltà nell’individuare la società responsabile in caso di insolvenza. Si fa riferimento al Virgós-Schmit Report, che sottolinea la necessità di una giurisdizione radicata nel luogo dove i creditori potenziali percepiscono che il debitore prende decisioni e amministra i propri interessi in modo abituale e riconoscibile. Questo permette ai creditori di valutare le garanzie legali offerte dallo Stato in cui ritengono sia localizzato il COMI. Il documento evidenzia quindi il rischio che trasferimenti del COMI effettuati in un periodo sospetto, poco prima dell'apertura di una procedura, possano costituire un abuso della libertà di stabilimento, pregiudicando i diritti dei creditori. La giurisprudenza, in particolare il caso Staubitz-Schreiber, viene analizzata per comprendere le diverse posizioni sul forum shopping e l’eventuale abusività di tali trasferimenti.
IV.Gestione delle Crisi di Gruppi di Imprese e Procedure Concorsuali
Il documento tratta le problematiche relative alla gestione delle procedure concorsuali per gruppi di imprese, evidenziando le lacune del Regolamento 1346/00 in questo ambito. Si analizzano le diverse posizioni dottrinali e giurisprudenziali, confrontando l'approccio italiano con quello di altri Stati membri. Si discute della possibilità di una gestione unitaria o separata delle insolvenze delle società appartenenti allo stesso gruppo, considerando i vantaggi e i rischi di ciascun approccio. Vengono esaminate le pratiche di alcune corti nazionali che hanno adottato un approccio più pragmatico, superando i limiti del Regolamento. Si analizzano gli strumenti per la gestione unitaria del concordato preventivo di gruppo e le problematiche connesse all'autonomia patrimoniale delle singole società. Viene menzionata la Legislative Guide on Insolvency Law dell'UNCITRAL come riferimento internazionale. Si esaminano le implicazioni per la tutela dei creditori di una gestione unitaria del concordato, e come la giurisprudenza in alcuni stati (ad esempio, il Regno Unito con il caso Daisytek) abbia adottato soluzioni più integrate.
1. Gestione Unitaria o Separata dell Insolvenza di Gruppi di Imprese
Questa sezione del documento affronta la complessa questione della gestione delle procedure concorsuali per i gruppi di imprese, evidenziando la mancanza di una disciplina univoca nel Regolamento 1346/00. Si confrontano due approcci principali: la gestione separata dell'insolvenza di ciascuna società del gruppo, considerata come entità giuridica autonoma, e una gestione unitaria, che considera il gruppo come un'unica entità. La scelta tra queste due opzioni dipende da diversi fattori, tra cui l'entità del valore perso nel caso di una liquidazione separata delle società. In molti casi, una gestione coordinata delle diverse società del gruppo può essere sufficiente, mantenendo la distinzione tra le loro identità giuridiche. Tuttavia, in situazioni di forte integrazione economica tra le società del gruppo, una vendita separata del patrimonio potrebbe portare a una realizzazione di un attivo inferiore rispetto al valore unitario del gruppo, danneggiando gli interessi dei creditori. Solo in queste situazioni eccezionali, si considera l'opzione di un consolidamento sostanziale dell'intero gruppo come un'unica entità.
2. Approcci Giurisprudenziali Nazionali e Superamento dei Limiti del Regolamento
Nonostante le lacune del Regolamento 1346/00 riguardo alla gestione dell'insolvenza di gruppi di imprese, la giurisprudenza di diverse corti nazionali ha sviluppato approcci più pragmatici e integrati. Il documento cita esempi di corti inglesi (High Court of Justice di Leeds nel caso Daisytek, coinvolgente anche società in Francia e Germania) che hanno applicato un approccio unitario, considerando il COMI come il luogo di coordinamento delle attività del gruppo sul territorio europeo, anche se le società erano formalmente distinte. Similmente, in Francia, il Tribunale di Commercio di Nanterre e la Corte di Lure hanno adottato soluzioni analoghe, basandosi sul concetto di 'head office functions approach'. Queste decisioni mostrano come, in assenza di una disciplina europea completa, le corti nazionali stiano cercando di trovare soluzioni che tengano conto della realtà economica e organizzativa dei gruppi di imprese, anche se questo implica un certo superamento dei limiti interpretativi del Regolamento. L’approccio delle corti inglesi si è basato sulla riconoscibilità del COMI da parte dei terzi, mentre in Francia si è data maggiore importanza al centro di gestione amministrativa.
3. Gestione Unitaria del Concordato Preventivo di Gruppo
Il documento analizza la possibilità di una gestione unitaria del concordato preventivo di gruppo, considerando sia i vantaggi che i rischi di questo approccio. Si discute la compatibilità di una gestione unitaria con il principio dell'autonomia patrimoniale delle singole società del gruppo. Il Tribunale di Roma, ad esempio, ha affermato l’ammissibilità di una domanda di concordato preventivo con un unico ricorso e un unico piano aziendale, pur mantenendo distinte le masse patrimoniali delle singole società. In questo caso, le adunanze dei creditori prevedono votazioni e deliberazioni separate per ciascuna società. Questa soluzione è giustificata dal principio dell'autonomia negoziale (art. 1322 c.c.), che permette di raggiungere le finalità del concordato preventivo per tutte le società del gruppo. La sezione evidenzia la complessità della questione, la necessità di bilanciare la gestione unitaria con la tutela dell'autonomia delle singole società e la necessità di un approccio caso per caso, tenendo conto delle specifiche caratteristiche del gruppo e delle circostanze della crisi.
4. Considerazioni sulla Crisi d Impresa e Definizione di Stato di Crisi
Il documento affronta la definizione di “stato di crisi” dell’impresa, evidenziando la mancanza di una definizione univoca nella normativa fallimentare italiana. La giurisprudenza prevalente tende a focalizzarsi sull'aspetto finanziario, identificando la crisi con l'inadempimento delle obbligazioni. Tuttavia, il documento sottolinea che la crisi finanziaria è solo una delle possibili manifestazioni di uno stato di crisi più ampio, che può includere anche squilibri economici e patrimoniali. Le diverse tipologie di crisi (economica, patrimoniale, finanziaria) sono strettamente correlate e spesso si presentano in combinazione. La mancanza di una chiara definizione legislativa porta a far riferimento a definizioni internazionali, come quella elaborata dalla Commissione Europea, che considera un'impresa in difficoltà quando non è in grado di contenere le perdite con le proprie risorse o quelle ottenibili da azionisti o creditori, portando a un probabile collasso economico. Questo evidenzia la necessità di una definizione più ampia e flessibile di 'stato di crisi' per permettere una gestione più tempestiva della crisi e evitare la degenerazione in insolvenza.
V.Crisi Bancarie Transnazionali e Quadro di Risoluzione
L'ultima parte del documento si concentra sulle crisi bancarie transnazionali, evidenziando la mancanza di un quadro armonizzato di risoluzione a livello europeo e le differenze tra gli approcci nazionali. Viene analizzata la necessità di un approccio europeo che tenga conto sia dell'equo trattamento dei creditori sia degli obiettivi di politica pubblica, come la stabilità del sistema finanziario. Si descrivono gli interventi adottati in seguito alla crisi finanziaria del 2008 e la comunicazione della Commissione europea del 2009. Si analizza il ruolo delle banche ponte come strumento di risoluzione e le problematiche relative ai trasferimenti di attività tra istituti di credito in situazioni di crisi. Si esaminano le misure per la gestione delle crisi di “going concern” e i diritti degli azionisti in caso di intervento delle autorità di risoluzione, con attenzione alla necessità di contemperare la protezione degli azionisti con la necessità di intervenire rapidamente per la stabilità del sistema bancario.
1. Mancanza di Armonizzazione e Differenze negli Obiettivi Nazionali
La sezione evidenzia la mancanza di un quadro armonizzato a livello europeo per la risoluzione delle crisi bancarie transnazionali. Gli approcci nazionali presentano obiettivi differenti e una certa bipolarità: da un lato, si cerca di garantire un equo trattamento dei creditori e la massimizzazione delle attività disponibili per soddisfare i crediti; dall'altro, in alcuni Stati con regimi specifici per l’insolvenza degli istituti bancari, si danno priorità agli obiettivi di politica pubblica, quali la stabilità del sistema finanziario, la continuità dei servizi e l'integrità dei sistemi di pagamento. Questa disparità di approcci crea problemi significativi, soprattutto quando una crisi coinvolge un gruppo bancario transnazionale, poiché ogni controllata potrebbe essere soggetta alle procedure del proprio Stato di appartenenza. Il documento sottolinea la necessità di un quadro normativo europeo che, basandosi sull'istituto del concordato, persegua obiettivi comuni, indirizzando le perdite finanziarie principalmente sugli azionisti e sui creditori, anziché sugli Stati e sulla popolazione.
2. Interventi Post Crisi 2008 e Ruolo delle Banche Ponte
La crisi finanziaria del 2008 ha evidenziato la necessità di misure urgenti e coordinate a livello europeo per la gestione delle crisi bancarie transnazionali. La comunicazione della Commissione europea del 2009, indirizzata a diverse istituzioni europee, rappresenta il primo intervento significativo in questo ambito. Le reazioni degli Stati membri sono state diverse, ma la maggior parte ha mostrato preoccupazione per l'utilizzo di denaro pubblico per salvare le banche, preferendo strumenti nazionali di risoluzione a livello di singole entità piuttosto che a livello di intero gruppo transfrontaliero. Il documento analizza il ruolo delle banche ponte come strumento di risoluzione delle crisi, evidenziando la loro indipendenza dagli azionisti e dai creditori dell'istituto principale. La durata ordinaria di operatività è di circa un anno, con possibile proroga di due semestri, dopodiché la banca ponte dovrebbe essere venduta o messa in liquidazione. La sezione sottolinea la complessità della gestione di tali crisi e la necessità di un approccio coordinato a livello europeo per garantire efficacia e tutela dell’interesse pubblico.
3. Meccanismi di Risoluzione e Gestione delle Situazioni Going Concern
Per migliorare la gestione delle crisi bancarie transnazionali, il documento esamina alcuni meccanismi di risoluzione, focalizzandosi sull'obiettivo di garantire la continuità operativa ('going concern'). Tra i meccanismi considerati, vi sono operazioni di riduzione del valore contabile di beni sopravvalutati o la conversione di strumenti di debito in strumenti di rischio, al fine di ristrutturare la posizione del capitale e permettere all'istituto di continuare a operare. L'obiettivo è quello di gestire le situazioni di crisi in modo da evitare il fallimento e preservare l'erogazione dei servizi bancari di base. La Commissione europea ha elaborato due modelli per garantire maggiore flessibilità nell'esercizio dei poteri di 'write down': il primo volto a evidenziare il rischio di fallimento ai creditori, il secondo per identificare gli strumenti di risoluzione. La sezione evidenzia l'importanza di un approccio flessibile e coordinato per gestire le crisi bancarie transnazionali, bilanciando la tutela dell'interesse pubblico con la necessità di garantire un trattamento equo ai creditori.
4. Diritti degli Azionisti e Stabilità del Sistema Bancario
L'ultima parte del documento si concentra sui diritti degli azionisti nel contesto della risoluzione delle crisi bancarie transnazionali. Un quadro chiaro dei diritti degli azionisti è essenziale per una buona governance e per la libera circolazione dei capitali, soprattutto per le banche quotate in borsa. Il documento sottolinea la necessità di contemperare la protezione degli interessi legittimi degli azionisti con il potere delle autorità di risoluzione di intervenire rapidamente per risanare gli istituti in difficoltà. La legislazione dell'Unione Europea prevede una serie di diritti per gli azionisti bancari, tra cui i diritti di prelazione e il diritto all'approvazione assembleare per aumenti o riduzioni di capitale. Un principio cardine è che tutti gli azionisti beneficino di diritti minimi equivalenti all'interno dell'UE finché l'attività dell'impresa continua. La sezione evidenzia la delicatezza del bilanciamento tra la tutela degli azionisti e la necessità di garantire la stabilità del sistema bancario in caso di crisi, soprattutto per le banche con presenza transnazionale.