
Trump: Politica Estera Jacksoniana
Informazioni sul documento
Autore | Francesco Casarotto |
instructor/editor | Prof. Germano Dottori |
school/university | Dipartimento di Scienze Politiche, Corso di Laurea in Relazioni Internazionali, Cattedra: Studi Strategici |
subject/major | Relazioni Internazionali |
Tipo di documento | Tesi di Laurea |
Lingua | Italian |
Formato | |
Dimensione | 1.50 MB |
Riassunto
I.Fattori Esterni nella Politica Estera Contemporanea
Il sistema internazionale è anarchico, privo di un governo mondiale. Ogni Stato, sovrano e in competizione con gli altri, cerca di acquisire sicurezza e potere (militare ed economico) per perseguire i propri interessi nazionali. L'interdipendenza economica, pur incentivando apparentemente la cooperazione, rappresenta anche un fattore di attrito e conflitto, come dimostra la classica rivalità per le risorse (es. Francia e Germania). Le sanzioni e gli incentivi economici sono potenti strumenti di politica estera.
1.1 L Anarchia Internazionale e la Sovranità Statale
Il testo introduce il concetto fondamentale dell'anarchia del sistema internazionale, sottolineando l'assenza di un'autorità sovraordinata e la conseguente sovranità degli Stati. Ogni stato agisce indipendentemente, perseguendo i propri interessi, spesso in competizione con gli altri. La citazione di Lucio Caracciolo, "lo stato del mondo resta, malgrado tutto, il mondo degli Stati […] solo tale suprema istituzione ha diritto di partecipare alla storia universale", rafforza l'idea della centralità dello Stato-nazione nell'arena internazionale. Questa situazione di anarchia genera inevitabilmente sfiducia, competizione e conflitto tra gli attori statali, portando ogni stato a cercare di acquisire sicurezza e potere, sia militare che economico, per tutelare i propri interessi. Questo approccio alla realtà internazionale è fondamentale per comprendere la visione del mondo di Donald Trump, come verrà spiegato nel seguito del testo.
1.2 Interdipendenza Economica Cooperazione o Conflitto
Sebbene l'interdipendenza economica possa sembrare un fattore che promuove la cooperazione internazionale, il testo evidenzia come essa rappresenti anche, se non soprattutto, una fonte di attrito tra gli Stati. La dimensione economica del potere è un potente strumento di influenza: sanzioni economiche e incentivi sono utilizzati come leve per influenzare le azioni degli altri Stati. L'aumento delle interconnessioni economiche, inoltre, non solo accresce l'interdipendenza ma aumenta anche le opportunità di conflitto. Le divergenze su temi economici, in particolare l'accesso alle risorse, possono portare a conflitti di varia intensità, come illustrato dall'esempio della rivalità storico-economica tra Francia e Germania per le risorse minerarie. L'interdipendenza in un'area economica, inoltre, influenza e aumenta le reciproche preoccupazioni riguardo alle azioni e reazioni in altre aree.
1.3 Il Gioco a Due Livelli e l Influenza della Sfera Domestica
Il paragrafo introduce brevemente il concetto del 'gioco a due livelli' di Putnam, evidenziando l'interazione e l'influenza reciproca tra la politica interna e la politica estera di uno Stato. Mentre la sezione successiva approfondisce i fattori interni, questo accenno prepara il terreno per una comprensione più completa delle dinamiche che influenzano le decisioni di politica estera. L'interazione tra fattori interni ed esterni è cruciale per comprendere le scelte di un governo. La complessità del processo decisionale in politica estera non può prescindere dall'analisi delle forze interne, come l'opinione pubblica e le visioni dei leader, che interagiscono con le dinamiche esterne dell'anarchia internazionale e dell'interdipendenza economica.
II.Fattori Interni e l Opinione Pubblica
L'opinione pubblica, pur con i suoi limiti, influenza la politica estera, soprattutto nelle democrazie sviluppate. Il pubblico elabora visioni, idee e credenze che plasmano le linee d'azione. Come evidenzia Mead, la politica estera americana emerge dalla composizione di diversi interessi, analogamente a quella interna. Le visioni del mondo dei leader, spesso frutto di esperienze personali, influenzano le scelte di politica estera; alcuni leader privilegiano la cooperazione, altri la competizione (a somma zero).
2.1 L Influenza dell Opinione Pubblica sulla Politica Estera
Sebbene alcuni studiosi ne dubitino l'impatto, soprattutto nelle democrazie più sviluppate, l'opinione pubblica gioca un ruolo tutt'altro che marginale nella formulazione della politica estera. Mentre il pubblico potrebbe non essere in grado di elaborare strategie tecniche complesse, esso contribuisce in modo significativo alla definizione di visioni, idee, credenze e valori culturali che influenzano le scelte di politica estera. Questo processo di democratizzazione della politica estera è particolarmente evidente negli Stati Uniti, come sottolineato da Mead. Secondo Mead, la politica estera americana emerge in modo simile a quella interna, ovvero dalla composizione di diversi interessi di gruppi e individui, fino a raggiungere un livello minimo di insoddisfazione generale. Questo processo, pur con le sue complessità, evidenzia l'importanza di considerare l'opinione pubblica come un fattore chiave nell'analisi delle decisioni di politica estera, soprattutto per una superpotenza come gli Stati Uniti.
2.2 Il Ruolo dei Leader e le Loro Visioni del Mondo
I leader politici portano con sé visioni del mondo e delle relazioni internazionali che influenzano fortemente le decisioni di politica estera. Alcune visioni sono positive, favorendo la cooperazione multilaterale; altre, più pessimiste, vedono il mondo come un luogo conflittuale, dove ogni attore agisce nel proprio interesse, in un gioco a somma zero. L'analisi del testo suggerisce che la visione del mondo dei leader è spesso plasmata dalla loro storia personale e dalla loro formazione. Esperienze lavorative e formative contribuiscono a sviluppare specifiche prospettive sulle relazioni internazionali, influenzando la gerarchia di valori che guidano le decisioni politiche. La comprensione di queste visioni è essenziale per interpretare le scelte dei leader, come nel caso di Donald Trump, che viene classificato come appartenente alla categoria dei leader che vedono il mondo come un luogo essenzialmente conflittuale.
III.Le Scuole di Pensiero nella Politica Estera Americana
Il testo analizza diverse scuole di pensiero nella politica estera americana: la scuola jeffersoniana (isolazionismo, controllo degli armamenti), la hamiltoniana (globalismo, interventi attivi), e la jacksoniana (nazionalismo illuminato, priorità all'interesse nazionale, scetticismo verso le alleanze permanenti e il multilateralismo). Il realismo jacksoniano enfatizza la sovranità nazionale, la difesa del benessere economico e morale della popolazione, e l'importanza delle istituzioni militari. Patrick Buchanan, con il suo libro "A Republic, Not an Empire" (1999), è considerato un precursore del trumpismo.
3.1 La Scuola Jeffersoniana Isolazionismo e Controllo degli Armamenti
La scuola jeffersoniana nella politica estera americana è caratterizzata da un approccio isolazionista e da una forte enfasi sul controllo degli armamenti. Inizialmente considerata obsoleta dopo la Guerra Fredda, la delusione per la guerra in Vietnam e lo scandalo Watergate ridiedero credito a questa visione, mostrando come l'attivismo in politica estera potesse corrodere i valori americani. I jeffersoniani si concentrano sul risparmio delle risorse economiche e sull'indebolimento del complesso militare-industriale, visto come dannoso per la democrazia americana. Dopo la fine della Guerra Fredda, le critiche all'interventismo e all'attivismo si intensificarono, accompagnate da una forte opposizione all'allargamento della NATO verso est. Questa scuola di pensiero privilegia una politica estera più contenuta e focalizzata sulla sicurezza nazionale, piuttosto che sull'intervento attivo negli affari internazionali.
3.2 La Scuola Hamiltoniana Globalismo e Interventismo
La scuola hamiltoniana, al contrario della jeffersoniana, promuove un approccio globalista e interventista nella politica estera americana. Questa scuola si basa sull'idea di un ruolo attivo degli Stati Uniti nell'arena internazionale per promuovere i propri interessi economici e strategici. L'euforia globalista degli anni successivi alla Guerra Fredda, basata su questa visione, però non ha tenuto conto dei suoi limiti. In particolare, la strategia hamiltoniana ha mancato di ottenere il consenso popolare, poiché le politiche di Pax Americana, pur favorendo la crescita economica di paesi come Germania e Giappone (e successivamente la Cina), hanno danneggiato una parte significativa dei lavoratori americani, in particolare i giovani maschi bianchi con basso livello di istruzione, a causa di delocalizzazione, automazione e immigrazione.
3.3 Il Realismo Jacksoniano Nazionalismo Illuminato e Priorità all Interesse Nazionale
Il realismo jacksoniano rappresenta una terza scuola di pensiero nella politica estera americana, caratterizzata dal 'nazionalismo illuminato'. Questa prospettiva enfatizza la difesa del benessere politico, morale ed economico della popolazione americana come obiettivo principale della politica estera. I jacksoniani attribuiscono un'importanza cruciale alle istituzioni militari, considerate lo scudo della nazione, e sostengono un aumento delle spese militari a discapito di aiuti umanitari e allo sviluppo. Questa scuola di pensiero diffida profondamente dalle alleanze permanenti, preferendo l'unilateralismo per garantire la libertà di azione e la sovranità nazionale. Le organizzazioni internazionali, come l'ONU, il WTO, l'FMI e la Banca Mondiale, sono viste con scetticismo, considerate potenziali minacce alla sovranità americana e ostacoli alla realizzazione dell'interesse nazionale. L'ordine globale è percepito come un'utopia impossibile e indesiderabile.
IV.La Visione del Mondo di Donald Trump e il Realismo Jacksoniano
La politica estera di Donald Trump riflette in parte il realismo jacksoniano, con una forte enfasi sull'interesse nazionale, il ritiro da accordi internazionali (Accordi di Parigi sul clima, NAFTA, Tpp), e lo scetticismo verso l'interventismo umanitario. Trump critica l'imperial overstretch e l'uso astrategico della forza, privilegiando un approccio transattivo e bilaterale nelle relazioni internazionali. La sua posizione sulla Nato, la Cina (considerata un avversario sleale) e la Russia è analizzata, mostrando come la sua politica estera sia caratterizzata da un approccio pragmatico e spesso in contrasto con l'establishment.
V.Relazioni con la Cina e la Russia
La Cina è considerata la principale sfida per gli Stati Uniti, principalmente in ambito commerciale (dazi, deficit commerciale). Trump utilizza una politica estera bilaterale, sfidando la politica dell'unica Cina. Le relazioni con la Russia sono contraddistinte da alti e bassi, con un approccio di Trump che si colloca a metà strada tra la linea dura di alcuni consiglieri e una maggiore apertura al dialogo. Il summit di Helsinki (2018) tra Trump e Putin viene analizzato.
5.1 La Cina Sfida Commerciale e Geopolitica
Per Trump, la Cina rappresenta la principale sfida per gli Stati Uniti, ma la minaccia è principalmente di natura economico-commerciale. Trump considera la Cina un avversario sleale, definendola addirittura "currency manipulator", un insulto particolarmente grave nell'ottica jacksoniana. Tuttavia, la sua politica nei confronti della Cina non si limita al solo ambito commerciale; la National Security Strategy del 2017 indica nella strategia commerciale cinese una rampa di lancio per le sue aspirazioni geopolitiche e le sue pretese territoriali, in particolare sulle isole Senkaku/Diaoyu. Gli obiettivi dell'amministrazione Trump includono l'aumento delle esportazioni statunitensi verso la Cina e la riduzione del deficit commerciale. Per raggiungere questi obiettivi, Trump ha sfidato il tabù della politica della "una sola Cina", effettuando una telefonata ufficiale con la presidente di Taiwan, Tsai Ing-wen, e minacciando di non rispettare tale politica se la Cina non accetta di rinegoziare altri aspetti dei rapporti bilaterali, come il commercio. Le misure adottate includono l'imposizione di dazi, con l'invocazione di leggi interne statunitensi che aggirano il sistema multilaterale del WTO.
5.2 La Russia Tensione Dialogo e il Summit di Helsinki
All'inizio del mandato di Trump, le relazioni tra Stati Uniti e Russia erano particolarmente tese, tanto da far parlare di una "Seconda Guerra Fredda". Tuttavia, il testo argomenta che definire la situazione come una nuova Guerra Fredda è fuorviante, considerando sia la minore potenza della Russia rispetto agli Stati Uniti, sia la pluralità degli attori internazionali coinvolti (Cina, UE, Iran, Giappone, Turchia). La posizione di Trump nei confronti della Russia ha subito delle variazioni, influenzate non solo dalle sue simpatie personali per Putin, ma anche dall'atteggiamento intransigente di alcuni membri della sua amministrazione (Nikki Haley, John R. Bolton, Dan Coats). Il summit di Helsinki (2018) viene descritto come un segnale di disponibilità al dialogo e alla cooperazione con la Russia, in contrasto con le precedenti amministrazioni, anche se non implica una concessione di carta bianca alla Federazione Russa su ogni tema. Le critiche al summit da parte dell'opposizione repubblicana vengono menzionate.
VI.Relazioni Transatlantiche e la Nato
Trump ha espresso critiche verso il free-riding europeo all'interno della Nato, sollecitando un aumento delle spese militari degli alleati. Nonostante le tensioni e le minacce di ritiro, gli Stati Uniti mantengono impegni significativi in Europa, anche per motivi geostrategici. Le relazioni tra Stati Uniti e Ue sono complesse, caratterizzate da contenziosi commerciali, ma anche da opportunità di cooperazione bilaterale.
6.1 Il Malcontento Americano e il Free Riding Europeo
Il testo evidenzia un crescente malcontento negli Stati Uniti riguardo al cosiddetto "free-riding" europeo all'interno della NATO. Questo sentimento, alimentato da una percezione di disparità nella spesa militare tra gli Stati Uniti e gli altri membri dell'alleanza, è radicato in una lunga storia di relazioni transatlantiche e si è intensificato con l'amministrazione Trump. Gli Stati Uniti dedicano circa il 3.5% del loro PIL alla spesa militare, mentre la maggior parte dei membri NATO, ad eccezione di Regno Unito e Polonia, non raggiunge nemmeno il 2%, con la Germania che si attesta intorno all'1.2%. Questo, unito al surplus commerciale di alcuni paesi europei (Germania in primis) nei confronti degli USA, contribuisce a un sentimento di risentimento americano. Trump, durante la campagna elettorale, ha addirittura suggerito che l'arsenale nucleare europeo sarebbe sufficiente per la difesa del continente, implicando la possibilità di un ritiro delle truppe americane e un conseguente risparmio di fondi da investire negli Stati Uniti.
6.2 La NATO Tra Criticità e Necessità Geostrategiche
Nonostante le critiche di Trump alla NATO, definita un'organizzazione obsoleta e un "accordo negativo" paragonabile al NAFTA, gli Stati Uniti mantengono, almeno per ora, il loro impegno nell'alleanza. Questa scelta è dettata da motivi geostrategici. Inizialmente, Trump si era rifiutato di sottoscrivere la garanzia di sicurezza dell'Articolo V e aveva inviato lettere agli alleati, in particolare Germania e Canada, sollecitando un aumento della spesa per la difesa. Tuttavia, il vertice NATO di Bruxelles del luglio 2018 ha dimostrato che, nonostante le tensioni e la retorica critica, l'America non intende abbandonare completamente la NATO. L'atteggiamento di Trump nei confronti della NATO è quindi caratterizzato da una complessa dialettica tra la pressione per una maggiore condivisione degli oneri da parte degli alleati e la consapevolezza dell'importanza geostrategica dell'alleanza.
6.3 Le Relazioni UE USA Dal Contenzioso Commerciale alla Cooperazione Bilaterale
Il contenzioso tra Stati Uniti e UE non riguarda l'Unione Europea in sé, ma si concentra su specifici aspetti delle relazioni commerciali. L'incontro bilaterale Trump-Juncker ha segnato un tentativo di porre un freno all'escalation di tensioni derivanti dall'imposizione di dazi su alluminio e acciaio, concordando su una politica di "zero tariffs" e sulla necessità di riformare il sistema commerciale internazionale. Questo incontro rappresenta un esempio di approccio diplomatico più convenzionale rispetto alla retorica conflittuale usata da Trump durante la campagna elettorale. Mentre le relazioni commerciali tra USA e Cina rimangono tese, l'incontro Trump-Juncker suggerisce una possibile normalizzazione delle relazioni commerciali tra Stati Uniti e UE, con un passaggio da un approccio conflittuale a uno più diplomatico, almeno per quanto riguarda l'aspetto economico.
VII.L Organicità della Politica Estera di Trump
Il testo conclude sostenendo che la politica estera di Trump, seppur non priva di contraddizioni apparenti, mostra una certa organicità e coerenza interna, radicata in una visione del mondo con precursori significativi nella tradizione del realismo jacksoniano. Il desiderio di un ritiro, più o meno accentuato, dall'interventismo globale è un filo conduttore nella politica estera americana post Guerra Fredda.
7.1 L Insofferenza verso il Military Welfare State
L'insofferenza verso il 'military welfare state', ovvero la percezione che gli alleati europei si avvalgano del sistema di sicurezza americano senza contribuire adeguatamente, caratterizza le relazioni transatlantiche da tempo, precedendo l'avvento dell'amministrazione Trump. Il 'Pivot to Asia' di Obama viene interpretato come un primo segnale di de-europeizzazione della strategia statunitense, un cambiamento percepito non tanto all'interno dell'establishment, quanto tra l'opinione pubblica americana. Questo sentimento di malcontento è stato ulteriormente esacerbato dalla presidenza Trump, con il tycoon che, durante la campagna elettorale, ha affermato che l'arsenale nucleare europeo sarebbe sufficiente per la sua difesa, suggerendo un possibile ritiro delle truppe americane dal Vecchio Continente. La disparità nella spesa militare tra Stati Uniti (3.5% del PIL) e la maggior parte dei membri NATO (inferiore al 2%, con la Germania all'1.2%), unita al surplus commerciale di alcuni paesi europei, spiega il risentimento americano.
7.2 Gli Stati Europei e la Strategia di Washington
Gli Stati europei non vedono gli Stati Uniti solo come un garante contro le minacce esterne (Russia e Cina), ma anche come un potenziale alleato per affrontare le dispute interne all'Unione Europea. La Grecia, ad esempio, considera gli Stati Uniti un attore chiave per contrastare le politiche economiche tedesche. Anche l'Italia, in difficoltà con l'UE riguardo alla legge di bilancio e all'emergenza migranti, vede in Trump un potenziale alleato. La Francia, con pragmatismo, cerca negli Stati Uniti un alleato per controbilanciare l'influenza tedesca e per colmare il vuoto nelle relazioni transatlantiche creato dalla Brexit. Tuttavia, gli Stati Uniti mantengono molti impegni in Europa, anche a causa del sostegno della NATO da parte di figure chiave dell'amministrazione, come il Segretario alla Difesa James Mattis. Nonostante la retorica iniziale di Trump, che ha persino rifiutato di sottoscrivere la garanzia di sicurezza dell'Articolo V, gli USA, per ragioni geostrategiche, non abbandonano l'alleanza.
7.3 L Organicità della Politica Estera di Trump e il suo Ritorno alla Realpolitik
Il testo conclude affermando che la politica estera di Trump, contrariamente a quanto temuto da alcuni, dimostra una certa organicità e coerenza, radicata nel realismo jacksoniano. La sovranità nazionale è un valore supremo per Trump, portando al rifiuto dell'interventismo umanitario e dell'esportazione della democrazia, e allo scetticismo verso le istituzioni internazionali e il multilateralismo. Il ritiro dagli Accordi di Parigi sul clima e la rinegoziazione del NAFTA sono esempi concreti di questa linea. L'analisi evidenzia che l'opinione pubblica americana, dopo la fine della Guerra Fredda, ha espresso un desiderio di ritiro dall'attivismo globale, un fattore che ha contribuito alla comparsa di questa nuova 'realpolitik' jacksoniana nel dibattito americano sulla politica estera. La politica di Trump, pertanto, non è una rottura radicale, ma una risposta a tendenze preesistenti nel dibattito pubblico americano.