L'immigrazione ebraica nelle pagine del giornale Filastin

Immigrazione ebraica in Palestina

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Riassunto

I.Il Giornale Filasṭīn e l Immigrazione Ebraica in Palestina Ottomana 1911 1912

Questo documento analizza gli articoli pubblicati nel giornale Filasṭīn tra il 1911 e il 1912, focalizzandosi sul dibattito sull'immigrazione ebraica in Palestina durante il periodo ottomano. Il giornale, fondato dai fratelli 'Isa e Yusuf al-'Isa, offre un prezioso spaccato delle tensioni sociali ed economiche causate dall'arrivo di numerosi immigrati, in particolare a seguito delle aliyot (ondate di immigrazione) provenienti dalla Russia. L'analisi si concentra sulle reazioni arabe, evidenziando le preoccupazioni riguardo alle conseguenze economiche, all'influenza delle potenze europee, e al potenziale pericolo per la sovranità ottomana. Vengono esaminati gli articoli che denunciano l'aumento dei prezzi, l'occupazione dei mercati e l'acquisizione di terreni da parte degli ebrei, contestando le affermazioni antisemite e difendendo il contributo economico degli insediamenti ebraici. Si esaminano anche le politiche ottomane volte a limitare l'immigrazione, tra cui le restrizioni agli sbarchi nei porti e il ritiro dei passaporti, e come queste siano state spesso aggirate a causa della corruzione e dell'influenza dei consolati stranieri. Il ruolo dei trattati delle Capitolazioni e il sistema dei millet sono elementi cruciali nella comprensione del contesto. Figure chiave includono i fratelli al-'Isa (fondatori del Filasṭīn), Avraham Ludivpol (giornalista ebreo), Mustafa Effendi Tamr (professore di matematica), e Israel Dov Frumkin (giornalista ebreo ottomano).

1. Il contesto storico e la nascita del Filasṭīn

Il giornale Filasṭīn, fondato nel 1911 dai fratelli 'Isa e Yusuf al-'Isa, nasce in un periodo di grande fermento culturale nell'Impero Ottomano, in particolare nei Bilad as-Sham e in Egitto, sulla scia della nahda (rinascita culturale). La Rivoluzione dei Giovani Turchi del 1908, con il conseguente ripristino della costituzione ottomana e della libertà di stampa, crea un ambiente favorevole alla proliferazione di giornali e pubblicazioni. Prima del 1908, in Palestina esisteva solo la Gazzetta Ufficiale. Il periodo compreso tra il 1908 e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale è caratterizzato da un vivace dibattito intellettuale. La politica ottomana sull'immigrazione, sia sotto Abdülhamid II che sotto i Giovani Turchi, è considerata troppo debole a causa delle pressioni delle potenze europee, che sfruttavano i trattati delle Capitolazioni per interferire negli affari interni dell'Impero. Questo contesto di instabilità politica ed economica rappresenta lo sfondo per l'analisi del dibattito sull'immigrazione ebraica nelle pagine del Filasṭīn.

2. L immigrazione ebraica e le reazioni arabe

Il Filasṭīn dedica ampio spazio alle conseguenze dell'immigrazione ebraica in Palestina, in particolare all'aumento dei prezzi, all'occupazione dei mercati e all'acquisizione di terre. Articoli pubblicati sul giornale riportano la preoccupazione della popolazione araba per la crescita del costo della vita, attribuendola all'arrivo degli immigrati. Si evidenzia come l'aumento demografico non abbia portato benefici economici alla popolazione locale, che si sente solo gravata dall'aumento dei prezzi. Alcuni articoli, come quello di Avraham Ludivpol, un ebreo russo, contestano le accuse antisemite, sottolineando che l'aumento dei prezzi è dovuto anche alla guerra italo-turca e alla chiusura dello Stretto dei Dardanelli, e che le colonie ebraiche impiegano migliaia di contadini arabi, smentendo la tesi di una comunità economicamente separata. Altri articoli, come quello di Mustafa Effendi Tamr, professore di matematica di Gerusalemme, esprimono una visione più critica, collegando l'immigrazione ebraica alla penetrazione delle potenze europee in Palestina e individuando nel sionismo un pericolo per la sovranità ottomana.

3. Le politiche ottomane di restrizione dell immigrazione

Il governo ottomano, preoccupato per l'influenza delle potenze straniere e per il potenziale impatto dell'immigrazione ebraica sulla sovranità nazionale, adotta misure restrittive. Nel giugno 1882, vengono imposte limitazioni all'ingresso degli ebrei provenienti da Russia, Romania e Bulgaria nei porti di Jaffa e Haifa, violando in parte i trattati delle Capitolazioni con la Russia. Successivamente, si opta per il ritiro dei passaporti all'ingresso, per impedire l'insediamento degli immigrati e sottrarli alla protezione consolare. Tuttavia, come denunciato da un editoriale del Filasṭīn nel settembre 1911, queste misure si rivelano inefficaci a causa della corruzione delle autorità portuali e dell'influenza dei consolati stranieri. Gli ebrei trovano spesso modi per aggirare le restrizioni, ottenendo il ripristino dei passaporti e rimanendo nel paese oltre i tre mesi consentiti. L'inefficacia delle misure ottomane è attribuita sia alla corruzione che alla forte pressione esercitata dai consolati stranieri, evidenziando il complesso intreccio tra politica interna ottomana e relazioni internazionali.

4. Il dibattito sul sionismo nel Filasṭīn

Le pagine del Filasṭīn diventano terreno di dibattito sul sionismo. L'articolo "Un esempio per i nostri cittadini", con la sua critica velata alla comunità ebraica e la successiva replica di Israel Dov Frumkin, ebreo ottomano di origini russe, dimostrano la complessità del dibattito. Il giornale pubblica articoli sia critici che difensivi riguardo all'influenza ebraica, dimostrando una certa apertura al dialogo. Le preoccupazioni principali riguardano il timore che gli ebrei siano uno strumento nelle mani delle potenze europee e che il movimento nazionalista ebraico possa ispirare altri popoli all'interno dell'Impero Ottomano. La questione della terra e della sua acquisizione da parte degli ebrei è un punto centrale del dibattito, evidenziando le tensioni tra la popolazione araba e gli immigrati ebrei, con la conseguente analisi delle dinamiche economiche e sociali che ne derivano. Il ruolo della corruzione nell'amministrazione ottomana e l'efficacia (o l'inefficacia) delle misure governative contro la colonizzazione sono analizzati approfonditamente attraverso le diverse opinioni espresse nel giornale.

II.La Comunità Ebraica e il Vecchio Yishuv

Il documento descrive il Vecchio Yishuv, la comunità ebraica preesistente alle grandi aliyot, divisa tra Sefarditi e Ashkenaziti. I Sefarditi, maggioritari, erano sudditi ottomani, parlanti arabo e concentrati nelle quattro città sante (Gerusalemme, Hebron, Tiberiade e Safed). Gli Ashkenaziti, invece, dipendevano dalla halukkah (carità europea). La crescita significativa della popolazione ebraica nel XIX secolo (da 6.000 nel 1800 a 32.000 nel 1882) è spiegata in parte da motivi religiosi, come la paura del gilgul (ritorno sulla terra promessa dopo la morte). Nonostante la crescita demografica, gli ebrei, come i cristiani, erano considerati dhimmi, soggetti a restrizioni e discriminazioni sotto la legge ottomana, che si basava sulla superiorità musulmana.

1. Il Vecchio Yishuv composizione e caratteristiche

Il documento descrive il Vecchio Yishuv, la comunità ebraica presente in Palestina prima delle grandi ondate di immigrazione (aliyot). Questa comunità era divisa in due gruppi principali: i Sefarditi, discendenti dalla comunità spagnola e da antiche famiglie locali, e gli Ashkenaziti, che iniziarono ad immigrare dall'Europa nell'Ottocento. I Sefarditi, numericamente dominanti, erano generalmente sudditi ottomani, parlavano arabo e vivevano principalmente nelle quattro città sante: Gerusalemme, Hebron, Tiberiade e Safed. Mantenendo stretti legami con le autorità ottomane, svolgevano diverse attività economiche. Gli Ashkenaziti, invece, dipendevano in gran parte dalla halukkah, un sistema di beneficenza proveniente dall'Europa, godendo di minore considerazione sociale rispetto ai Sefarditi. La crescita demografica del Vecchio Yishuv nel XIX secolo, passando da circa 6.000 ebrei nel 1800 a 32.000 nel 1882, è analizzata, evidenziando sia fattori religiosi (la paura del gilgul) che altri fattori sociali ed economici.

2. Lo status dei cittadini ebrei sotto il dominio ottomano

Nonostante la loro presenza consolidata, gli ebrei, come i cristiani, erano considerati cittadini di serie B sotto il dominio ottomano, basato sul principio della superiorità musulmana. Questo status di inferiorità si manifestava attraverso il pagamento di una tassa (jizya o, successivamente, bedel), la mancata accettazione della loro testimonianza nelle corti di giustizia e l'esclusione dalle alte cariche amministrative. Era loro proibito portare armi, servire nell'esercito, andare a cavallo nelle città o indossare abiti musulmani. Inoltre, spesso subivano estorsioni, oppressioni e violenze da parte delle autorità locali e della popolazione. La condizione di dhimmi, che implicava una forma di protezione ma anche di sottomissione, è analizzata nel testo, evidenziando le limitazioni e le discriminazioni che la comunità ebraica doveva affrontare nel suo quotidiano. La loro condizione di dhimmi è in netto contrasto con l'apparente tolleranza religiosa che le riforme ottomane del periodo volevano promuovere.

3. Motivazioni dell immigrazione ebraica nel XIX secolo

Il testo approfondisce le motivazioni dell'immigrazione ebraica in Palestina durante il XIX secolo, sottolineando che, seppur importanti, i fattori religiosi non sono gli unici. Oltre alla paura del gilgul, alcuni ebrei cercavano di sfuggire alle persecuzioni e alle restrizioni imposte dalla Russia zarista. La crescita della comunità ebraica nel periodo è legata anche alla situazione politica e sociale dei paesi europei, in particolare della Russia, dove pogrom e limitazioni legali spingevano molti ebrei a cercare rifugio altrove. La credenza nel gilgul, che condannava coloro che morivano fuori dalla Terra Santa a raggiungerla post-mortem, spingeva in particolare anziani ebrei ad emigrare per essere sepolti in Palestina. Questo aspetto, documentato dall'annotazione sulle intenzioni di visita apposta sulle loro carte d'identità dalle autorità ottomane, mostra l'importanza dei fattori religiosi nella scelta di emigrare.

III.Le Riforme Ottomane e le Tensioni

Il periodo preso in esame è caratterizzato dalle riforme ottomane, in particolare gli editti Hatt-i Sharif (1839) e Ḫ ṭṭ a Humayun (1856), che miravano a secolarizzare le istituzioni e garantire l'uguaglianza tra i sudditi. Queste riforme, pur promuovendo una certa tolleranza religiosa, non riuscirono a prevenire episodi di violenza antiebraica, come l'accusa del sangue a Damasco nel 1840. Le leggi di Maggio in Russia (1882) aumentarono l'emigrazione ebraica verso la Palestina, alimentando ulteriormente le tensioni.

1. Le riforme ottomane e la promessa di uguaglianza

Il periodo considerato vede l'attuazione di riforme ottomane volte a modernizzare l'impero e a promuovere l'uguaglianza tra i sudditi. Gli editti imperiali Hatt-i Sharif (1839) e Hatt-ı Hümayun (1856) sono centrali in questo processo di cambiamento. Questi decreti garantivano la tutela della vita, dell'onore e della proprietà di tutti i sudditi, indipendentemente dalla religione, riconoscendo i diritti individuali e l'uguaglianza di fronte agli obblighi fiscali e militari (con l'introduzione del bedel come tassa sostitutiva della jizya). I millet, pur mantenendo la libertà religiosa, persero il privilegio di amministrare la giustizia separatamente, con la creazione di tribunali misti. In sostanza, le riforme miravano a sostituire la sudditanza basata sulla religione con il principio di cittadinanza civile, fondato sulla residenza in un territorio comune, la sottomissione alle leggi comuni e la lealtà all'Impero Ottomano. Queste riforme, pur ispirate da un ideale di tolleranza e uguaglianza, non riuscirono a impedire completamente gli atti di aggressione contro le minoranze, come dimostrano gli eventi successivi.

2. L Accusa del Sangue e la persistenza dell antisemitismo

Nonostante le riforme ottomane che promuovevano la tolleranza e l'uguaglianza tra i sudditi, il documento evidenzia come la realtà fosse ben diversa, specie per le comunità non musulmane. Durante il breve periodo del governo egiziano, si verificarono violenti attacchi antiebraici, culminati nell'orribile episodio dell'Accusa del Sangue a Damasco nel 1840. Questa antica accusa antisemita, secondo cui gli ebrei utilizzavano sangue umano per riti religiosi, portò all'arresto e alla tortura di otto ebrei locali, alcuni dei quali morirono. Le comunità ebraiche di Damasco e di altre città palestinesi subirono feroci persecuzioni sia da parte di cristiani che di musulmani. Questo evento dimostra la fragilità della tolleranza proclamata dalle riforme e la persistenza di profonde radici di antisemitismo nella società ottomana. Un successivo ordine imperiale del 1841 nominò il primo Hakham Bashi di Gerusalemme, confermando una certa autorità religiosa sulla comunità ebraica, ma non risolvendo i problemi di fondo.

3. Le leggi di Maggio e le nuove ondate di immigrazione

Il documento evidenzia come le riforme ottomane, pur promuovendo l'uguaglianza formale, non riuscirono a prevenire la violenza antiebraica. Le leggi di Maggio promulgate in Russia nel 1882, dopo l'assassinio dello zar Alessandro II e a causa del crescente antisemitismo sotto Alessandro III, aggravarono la situazione. Queste leggi imposero terribili condizioni di segregazione per la comunità ebraica russa, restringendo ulteriormente la possibilità di spostamento e di accesso a beni e servizi. Queste severe restrizioni contribuirono a scatenare una prima ondata di violenze antiebraiche (pogrom) e aumentarono in modo considerevole il flusso migratorio verso la Palestina. L'aumento della immigrazione ebraica in Palestina è analizzato come diretta conseguenza delle politiche repressive in atto in Russia, mettendo in luce la connessione tra le politiche interne degli stati europei e la situazione in Palestina.

IV.Il Sionismo e l Acquisizione delle Terre

L'ascesa del sionismo, con la creazione dell'Organizzazione Mondiale Sionista (1899) e del Fondo Nazionale Ebraico (1901), è centrale. L'obiettivo era l'acquisizione di terreni per insediamenti ebraici in Palestina, generando conflitti con la popolazione araba. L'ideologia sionista, in particolare durante la seconda aliyah (1904-1914), enfatizzava il kibush ha-avodah (conquista del lavoro), promuovendo una società ebraica autonoma e indipendente, spesso a scapito della manodopera araba. Il documento cita gli scritti di Menahem Ussishkin ( Il Nostro Programma, 1904) che sottolineano l'importanza dell'acquisizione della terra come fondamento per uno stato ebraico. Le strategie per l'acquisizione delle terre, spesso aggirando le restrizioni ottomane, e la conseguente trasformazione della proprietà terriera, vengono analizzate. La creazione di colonie ebraiche, come quelle della Compagnia Menulah ve-Nahalah (Rehovot e Hadera), e il ruolo dell'Associazione per la Colonizzazione Ebraica (JCA) vengono menzionati.

1. L ascesa del Sionismo e la questione della terra

Il documento evidenzia il ruolo centrale del movimento sionista nello sviluppo degli eventi in Palestina. La creazione dell'Organizzazione Mondiale Sionista nel 1899 e del Fondo Nazionale Ebraico (JNF) nel 1901, con l'obiettivo esplicito di acquistare terre per gli insediamenti ebraici, segna una svolta. L'ideologia sionista, particolarmente forte durante la seconda aliyah (1904-1914), enfatizza la conquista della terra come elemento fondamentale per la creazione di una società ebraica autonoma e indipendente. Questo obiettivo, definito come Geulath ha-Arez ("redenzione della terra") da Menahem Ussishkin nel suo scritto Il Nostro Programma (1904), è presentato come essenziale per la realizzazione di un'autonomia, se non di uno stato, ebraico in Palestina. L'acquisizione di terreni diventa dunque un pilastro fondamentale dell'ideologia sionista, generando inevitabili tensioni con la popolazione locale e con il governo ottomano.

2. Strategie di acquisizione e modelli di insediamento

Il processo di acquisizione di terre da parte dei sionisti è analizzato nel documento, evidenziando le diverse strategie adottate per aggirare le restrizioni ottomane. Prima del 1882, gli insediamenti ebraici erano concentrati nelle quattro città sante. I primi acquisti di terreni agricoli, spesso in aree marginali sotto il controllo di tribù beduine, riflettono la volontà di creare insediamenti rurali. La scelta delle aree privilegiava terreni pianeggianti, con buone risorse idriche e vicini a centri urbani con comunità ebraiche consolidate. Vengono menzionate diverse tipologie di insediamento, tra cui le colonie fondate dalla Compagnia Menulah ve-Nahalah (Rehovot e Hadera nel 1890-1891) e il ruolo dell'Associazione per la Colonizzazione Ebraica (JCA), fondata nel 1891 dal Barone Maurice de Hirsch, che si focalizzò inizialmente in Argentina, ma in seguito si interessò all'acquisto di terre in Palestina, principalmente al nord. Il ruolo del JNF nell'acquisizione dei terreni, nonostante gli ostacoli posti dal governo ottomano, e le difficoltà finanziarie e organizzative incontrate sono anch'esse analizzate.

3. Kibush ha avodah e l impatto economico

Un elemento chiave dell'ideologia sionista era il kibush ha-avodah ("conquista del lavoro"), che mirava a creare una società ebraica basata sul lavoro ebraico, in contrapposizione all'utilizzo di manodopera araba. Questa ideologia, però, si scontrava con la realtà delle prime colonie ebraiche, che spesso impiegavano manodopera araba in modo significativo, in particolare nelle colonie di Rothschild, dove la viticoltura richiedeva una grande quantità di manodopera. Nonostante ciò, l'arrivo massiccio di capitale straniero connesso all'acquisto di terreni ha avuto un impatto positivo sull'economia locale, favorendo un accumulo di capitali nelle mani della popolazione araba. Il cambiamento nella natura della proprietà terriera (grandi appezzamenti trasformati in piccoli possedimenti) e la conseguente intensificazione della coltivazione hanno portato a una crescita della produzione e dell'occupazione. L'analisi dell'impatto economico della colonizzazione ebraica mette in luce sia gli aspetti positivi che quelli negativi.

V.Le Reazioni Ottomane alla Colonizzazione Sionista

Il governo ottomano cercò di contrastare la colonizzazione sionista attraverso diverse misure, come restrizioni all'immigrazione e al possesso di terreni. Queste misure, tuttavia, spesso si scontravano con la pressione delle potenze europee e con la corruzione all'interno dell'amministrazione ottomana. Il documento analizza i decreti ottomani volti a limitare la vendita di terreni mīrī agli ebrei e le difficoltà nell'applicazione di queste restrizioni. L'influenza dei consolati europei e il ricorso alla corruzione da parte degli ebrei vengono evidenziati come fattori che hanno ostacolato l'efficacia delle politiche ottomane.

1. Le prime risposte ottomane all immigrazione ebraica

Il governo ottomano, a partire dagli anni '80 dell'Ottocento, con l'inizio dei grandi flussi migratori dalla Russia, tentò di bloccare l'immigrazione ebraica in Palestina. Inizialmente, le misure si concentrarono sull'impedire lo sbarco degli immigrati nei porti palestinesi. Tuttavia, queste misure furono in parte vanificate dalle proteste dei consolati europei, che invocavano i trattati delle Capitolazioni. Di fronte a questa resistenza, il governo ottomano spostò la sua attenzione sulla questione della terra, cercando di limitare l'acquisizione di terreni da parte degli ebrei. La difficoltà di controllare l'afflusso di immigrati e la pressione delle potenze europee rappresentano i principali ostacoli per l'efficacia delle prime misure ottomane. L'obiettivo era di limitare la presenza ebraica in Palestina, ma la complessità del contesto internazionale e le fragilità interne dell'Impero rendevano difficile l'attuazione di politiche efficaci.

2. Restrizioni sulla vendita di terreni e la loro elusione

Nel 1892, il Mutasarrif di Gerusalemme ricevette l'ordine di bloccare la vendita di terreni mīrī (terreni di proprietà statale, che costituivano la maggior parte del territorio palestinese) agli ebrei, compresi quelli che erano sudditi ottomani. Questa misura provocò proteste da parte degli stranieri che avevano investito nella terra e dalle ambasciate a Istanbul, che denunciarono la violazione dei trattati delle Capitolazioni. Meno di un anno dopo, il governo ottomano revocò la misura, permettendo agli ebrei stranieri legalmente residenti di acquistare terreni, a condizione che non favorissero l'insediamento di ebrei in situazione irregolare. Nonostante le restrizioni ufficiali, gli ebrei trovarono modi per aggirarle: registrando le proprietà sotto nomi di cittadini europei influenti, ebrei ottomani o arabi locali, o ricorrendo alla corruzione degli ufficiali ottomani. La corruzione, infatti, era un fenomeno diffuso nell'amministrazione ottomana, che gli ebrei sfruttavano per ottenere permessi di acquisto e registrazione delle terre, nonché permessi di costruzione.

3. La preoccupazione per la colonizzazione sionista e le sue motivazioni

Il principale motivo di critica alla presenza ebraica in Palestina, secondo i documenti analizzati, era la colonizzazione del territorio. La preoccupazione principale del governo ottomano non era tanto l'immigrazione in sé, quanto il tipo di colonizzazione portata avanti dai sionisti. L'ideologia sionista, basata sulla conquista del lavoro (kibush ha-avodah) e sulla conquista della terra, era vista come una minaccia alla sovranità ottomana. La consapevolezza di questo obiettivo era diffusa tra i contadini arabi, che si scontravano direttamente con la politica di acquisto delle terre e di sostituzione della manodopera araba con quella ebraica. La preoccupazione, inizialmente di carattere economico e sociale, si trasformò presto in una preoccupazione politica, con gli arabi che vedevano nel sionismo una forza politica organizzata. La consapevolezza di questo aspetto è fondamentale per comprendere le ragioni delle politiche ottomane, che andavano ben oltre semplici questioni di ordine pubblico.