La società benefit

Società Benefit: Guida completa

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Riassunto

I.La Società Benefit Italiana Un Confronto con Modelli Americani e le Sfide della Corporate Social Responsibility CSR

Il documento analizza la normativa italiana sulla società benefit, confrontandola con i modelli americani di benefit corporation (MBCL di BLab) e Public Benefit Corporation (PBC del Delaware). L'obiettivo è comprendere come la legislazione italiana bilancia scopo di lucro e finalità di beneficio comune (general public benefit e specific public benefit), integrando principi di Corporate Social Responsibility (CSR). Un elemento chiave è il ruolo del benefit director o benefit officer, responsabile del benefit report annuale, redatto secondo uno standard di valutazione esterno e soggetto a monitoraggio da parte dell'AGCM. Il documento discute anche le implicazioni della governance multistakeholder, l'aumento della discrezionalità degli amministratori e i potenziali rischi di greenwashing. Infine, vengono analizzate le prospettive di ibridazione tra società benefit, imprese sociali, ed enti non-profit, alla luce delle riforme del Terzo settore. Il dibattito sulla responsabilità sociale d'impresa (RSI) e la sua compatibilità con il diritto societario italiano, con riferimenti a Friedman e Reich, viene affrontato in relazione alla shareholder primacy e alla massimizzazione del profitto.

1. Il Modello della Società Benefit Italiana Un Confronto con le Benefit Corporation e le Public Benefit Corporations

Questa sezione introduce il concetto di società benefit italiana, confrontandola con due modelli americani: le benefit corporation, regolate dalla Model Benefit Corporation Legislation (MBCL) di BLab, e le Public Benefit Corporations (PBC) del Delaware. L'analisi si concentra sulle similitudini e differenze nell'articolazione degli obiettivi sociali e del loro rapporto con lo scopo di lucro. Si evidenzia come il legislatore italiano abbia preso spunto da entrambi i modelli americani, integrando elementi di entrambi. Ad esempio, la società benefit italiana, come le PBC del Delaware, è tenuta a perseguire almeno uno specific public benefit, ma, come le benefit corporation della MBCL di BLab, deve anche perseguire il general public benefit. Si sottolinea la presenza di un benefit director o benefit officer, figura chiave per la rendicontazione sociale e il monitoraggio dell'adempimento degli obblighi di beneficio comune. Viene inoltre introdotta la questione della rendicontazione non finanziaria e dell'importanza di uno standard di valutazione esterno, credibile e trasparente per il beneficio report. Le differenze tra i modelli, in termini di responsabilità degli amministratori e di flessibilità nell'utilizzo di standard esterni, sono analizzate per evidenziare le peculiarità del sistema italiano, come ad esempio il monitoraggio esterno affidato all'AGCM, assente nei modelli americani. In sintesi, questa parte del documento fornisce una panoramica comparativa dei diversi modelli di società orientate al beneficio comune, evidenziando punti di forza e debolezze di ciascuno.

2. Il Ruolo del Benefit Director e la Rendicontazione del Benefit Report

La sezione approfondisce il ruolo del benefit director (o benefit officer) all'interno delle società benefit italiane. La normativa prevede che il benefit director prepari, e che la società includa nel rapporto annuale agli azionisti (benefit report), una sua opinione su diversi aspetti cruciali. In particolare, il benefit director deve esprimere un parere sulla conformità dell'azione della società al general public benefit purpose e ad ogni specific public benefit purpose, durante il periodo coperto dal rapporto. Dovrà anche valutare se amministratori e dirigenti abbiano rispettato le sezioni 301(a) e 303(a). Infine, in caso di mancato rispetto di questi obblighi, il benefit director dovrà descrivere le inadempienze. Questo aspetto sottolinea l'importanza del beneficio report come strumento di trasparenza e accountability. L'analisi prosegue evidenziando come la legge italiana non definisca puntualmente i compiti e le responsabilità di questa figura, a differenza di quanto avviene in alcuni ordinamenti stranieri, come negli Stati Uniti. Si specifica che l'influenza della MBCL di BLab è evidente, ma il quadro normativo italiano necessita di maggiore chiarezza in merito ai ruoli e alle responsabilità connesse. L'obbligo per gli amministratori di individuare soggetti responsabili per il perseguimento del beneficio comune, seppur non dettagliato nella definizione dei ruoli e delle relative responsabilità, è un elemento fondamentale per la corretta operatività della società benefit.

3. L Equilibrio tra Scopo di Lucro e Finalità di Beneficio Comune Sfide e Ambiguità

Questa parte del documento si concentra sulle ambiguità legislative riguardo al bilanciamento tra lo scopo di lucro e le finalità di beneficio comune nelle società benefit. Da un lato, la legge prevede che il beneficio comune sia perseguito nell'esercizio dell'attività economica, suggerendo un'integrazione tra finalità benefit e attività produttiva. Dall'altro, le relazioni illustrative dei disegni di legge ammettono la destinazione di risorse a fini filantropici, suggerendo un approccio più separato tra attività economica e impegno sociale. Un esempio ipotetico viene utilizzato per chiarire la potenziale tensione tra massimizzazione del profitto e perseguimento di finalità sociali: una società che produce articoli di cancelleria e si impegna a donare materiale scolastico a scuole di quartieri disagiati o a utilizzare materiali ecologici più costosi, potrebbe avere risultati economici inferiori rispetto ai concorrenti, nonostante una performance sociale migliore. Questo evidenzia i potenziali inconvenienti che potrebbero ostacolare la diffusione delle società benefit, contrastando lo scopo dichiarato dal legislatore di promuoverne la costituzione e diffusione. L'analisi prosegue sottolineando l'importanza di una chiara definizione degli obblighi per evitare incertezze e potenziali conflitti.

4. Discrezionalità degli Amministratori e Rischi di Abuso La Governance Multistakeholder

La sezione analizza l'aumento della discrezionalità degli amministratori nelle società benefit, derivante dal modello di governance multistakeholder che richiede il bilanciamento tra l'interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle altre categorie di stakeholder, conformemente a quanto previsto dallo statuto. Questo incremento di potere discrezionale, se non adeguatamente vincolato, può portare ad arbitrio e abusi. Il documento suggerisce una soluzione per mitigare tali rischi: prevedere nello statuto o nell'atto costitutivo il criterio di bilanciamento degli interessi in gioco. Questo consentirebbe ai soci di vincolare ex ante la discrezionalità degli amministratori, riducendo i conflitti tra management e proprietari, così come tra soci di maggioranza e soci di minoranza. L'incertezza dei confini dell'obbligo di bilanciamento degli interessi è evidenziata come un punto critico: in assenza di indicazioni precise nello statuto o nella legge, si rende necessario il ricorso a principi desumibili dal sistema, ma con conseguenti incertezze interpretative. La possibilità di abuso e la difficoltà di accertare la responsabilità in sede giudiziaria sono, quindi, strettamente legate alla mancanza di chiarezza normativa in questo ambito.

5. Corporate Social Responsibility CSR Dibattito e Prospettive

Questa sezione approfondisce il dibattito sulla Corporate Social Responsibility (CSR), presentando le diverse posizioni a confronto. Si inizia con la nota teoria di Milton Friedman, secondo cui la responsabilità sociale di un'impresa è quella di accrescere i propri profitti, agendo come agente dei soci-proprietari. L'autore del documento si allinea alla posizione che distingue nettamente il ruolo dello Stato e del mercato, sottolineando il compito dello Stato nel tutelare l'interesse generale e nel regolamentare i fenomeni economici. Si critica la CSR come possibile erosione del confine tra Stato e mercato, evidenziando il rischio che le imprese, professando un impegno per l'interesse generale, possano evitare regolamentazioni più stringenti. Viene inoltre menzionato il contributo di Robert Reich, che evidenzia come la CSR possa mascherare l'incapacità o la mancanza di interesse da parte dei decisori pubblici nell'intervenire direttamente. La sezione si conclude con una riflessione sulla CSR come strumento di societal marketing, ma anche con il rischio di greenwashing legalizzato. In sintesi, questa sezione analizza il dibattito sulla CSR, evidenziando i pro e i contro di tale approccio, ponendo l'accento sulla necessità di una chiara distinzione tra responsabilità pubblica e responsabilità privata, e sottolineando il potenziale rischio di un uso strumentale della CSR.

II.Obblighi e Responsabilità degli Amministratori nelle Società Benefit

Il documento evidenzia gli obblighi degli amministratori di società benefit nell'equilibrio tra interessi degli azionisti, perseguimento del public benefit e interessi degli stakeholder. Viene analizzato il ruolo del benefit director nella redazione del benefit report, che deve attestare la conformità dell'operato societario agli scopi di beneficio comune e alle norme di legge. Si discute inoltre la responsabilità degli amministratori in caso di inadempimento, evidenziando le incertezze sulla quantificazione del danno e la mancanza di una specifica disciplina italiana analoga alla business judgment rule americana. La revoca degli amministratori viene menzionata, richiamando la normativa del codice civile per diverse tipologie societarie.

1. Il Dovere di Bilanciamento degli Interessi e la Discrezionalità degli Amministratori

Questa sezione analizza il delicato equilibrio che gli amministratori di una società benefit devono mantenere tra l'interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune (general e specific public benefit) e gli interessi delle diverse categorie di stakeholder. La legge italiana prevede che la società benefit sia amministrata bilanciando questi interessi, conformemente a quanto previsto dallo statuto. Questo aspetto introduce un elemento di discrezionalità per gli amministratori, trasformandoli in agenti di molteplici principal con interessi potenzialmente conflittuali. Il testo evidenzia i rischi connessi a tale discrezionalità, sottolineando la possibilità di abusi. Per mitigare questo rischio, il documento propone una soluzione interpretativa: l'obbligo di definire nel contratto sociale o nello statuto il criterio di bilanciamento degli interessi. In questo modo, la discrezionalità degli amministratori sarebbe vincolata ex ante da scelte condivise dai soci, rendendo più oggettivo il processo decisionale e riducendo potenziali conflitti interni alla società. La mancanza di una chiara definizione normativa di questo processo di bilanciamento rende però il tutto incerto e complesso, con conseguenti difficoltà di accertamento giudiziale della responsabilità in caso di inadempienza.

2. Responsabilità degli Amministratori e Definizione dei Doveri

Il documento approfondisce il tema della responsabilità degli amministratori di società benefit, focalizzandosi sulla necessità di individuare puntualmente i doveri in relazione ai quali potrebbe verificarsi un inadempimento. Mentre la designazione del responsabile per il perseguimento delle finalità di beneficio comune non presenta particolari difficoltà, il bilanciamento tra i vari interessi in gioco rappresenta un vincolo dai confini incerti. L'assenza di indicazioni precise nella legge o nello statuto lascia spazio a interpretazioni diverse. Si sottolinea l'importanza di prevedere nello statuto il criterio di bilanciamento degli interessi per ridurre l'incertezza e la difficoltà di quantificare eventuali danni risarcibili. In mancanza di tale specificazione, si dovrebbe ricorrere a principi generali desumibili dal sistema, ma la loro applicabilità e portata sono tutt'altro che certe. Il testo evidenzia le diverse modalità di accertamento della responsabilità giudiziale a seconda della tipologia societaria e conclude ribadendo la necessità di una maggiore chiarezza normativa per definire con precisione gli obblighi degli amministratori e le conseguenti responsabilità in caso di inadempienza.

3. Revoca degli Amministratori Un Analisi Comparativa tra Diverse Tipologie Societarie

Questa sezione del documento affronta la questione della revoca degli amministratori, confrontando le diverse normative applicabili a seconda della tipologia societaria. Per le società di persone, la revoca di un amministratore nominato con il contratto sociale richiede una giusta causa; diversamente, per gli amministratori nominati con atto separato, la revoca è più libera, salvo il risarcimento del danno in mancanza di giusta causa. Nel caso delle società per azioni, gli amministratori sono revocabili dall'assemblea in qualunque momento, anche se nominati nell'atto costitutivo, salvo il diritto al risarcimento dei danni in caso di revoca ingiustificata. La legge non prevede espressamente il potere di revoca nelle società a responsabilità limitata, ma si ritiene che tale potere debba riconoscersi analogamente a quanto previsto per le società per azioni o, per gli amministratori nominati con il contratto sociale, secondo la disciplina delle società di persone. Questa parte del documento evidenzia le lacune normative in materia di revoca degli amministratori nelle società a responsabilità limitata e sottolinea la complessità del quadro normativo in materia, che necessita di una maggiore armonizzazione e chiarezza per garantire uniformità di trattamento tra le diverse tipologie societarie.

III.La Rendicontazione Non Finanziaria e il Benefit Report

La sezione approfondisce la rendicontazione non finanziaria nelle società benefit, focalizzandosi sul benefit report come strumento di accountability verso gli stakeholder. Si mettono in luce i dubbi sull'effettiva efficacia di tale strumento, specie per le grandi imprese, e il rischio di greenwashing, ovvero di una comunicazione ingannevole sull'impegno sociale. Il documento analizza la necessità di standard di valutazione esterni, credibili e trasparenti, sottolineando le differenze tra il modello italiano e quello del Delaware (PBC), dove è permessa una maggiore flessibilità nella rendicontazione.

IV.Società Benefit e Imprese Sociali Confronti e Differenze

Il documento confronta le società benefit con le imprese sociali, evidenziando sia le similitudini (attività d'impresa per scopi sociali) sia le differenze fondamentali. Il non-distribution constraint nelle imprese sociali, che impedisce la distribuzione di utili ai soci, costituisce una differenza chiave. Le prospettive di riforma del Terzo settore, che potrebbero prevedere una limitata remunerazione del capitale sociale nelle imprese sociali, rendono il confine tra i due modelli ancora più incerto. Viene discussa la compatibilità delle finalità sociali con il diritto societario italiano, con particolare riferimento alla possibilità di inserire elementi ideali o finalità altruistiche negli statuti delle società tradizionali.

1. Società Benefit e Imprese Sociali Un Confronto a Primo Acchito

Questa sezione inizia confrontando le società benefit con le imprese sociali, evidenziando sia le analogie che le differenze. Entrambe le forme giuridiche perseguono finalità sociali, utilizzando l'attività d'impresa come mezzo per raggiungere tali obiettivi. Si nota una similarità nello scopo-mezzo (l'attività d'impresa) e nelle forme organizzative (società di persone o di capitali). Tuttavia, la principale differenza risiede nello scopo-fine: mentre le imprese sociali sono caratterizzate dall'assenza dello scopo di lucro (non-distribution constraint), le società benefit operano in un contesto for profit, pur integrando finalità di beneficio comune. Questo aspetto distingue nettamente i due modelli, collocando le società benefit nel settore degli enti for profit e le imprese sociali nel settore non profit. La presenza del non-distribution constraint nelle imprese sociali rappresenta un elemento distintivo costante, anche quando le forme organizzative siano simili. Il documento anticipa che le prospettive di riforma del Terzo settore potrebbero rendere più sfumato il confine tra i due modelli, in quanto potrebbero ammettere forme limitate di remunerazione del capitale sociale anche per le imprese sociali.

2. L Impresa Sociale e il Non Distribution Constraint

Questo paragrafo approfondisce le caratteristiche dell'impresa sociale, mettendo in luce il ruolo del non-distribution constraint. Questo vincolo impedisce ai partecipanti di appropriarsi, direttamente o indirettamente, degli utili derivanti dall'attività d'impresa. Il documento distingue tra lo scopo perseguito dall'ente e l'attività svolta per conseguirlo. Mentre lo scopo non può avere una matrice economica, l'attività sì, potendo essere esercitata anche in via principale o esclusiva, a condizione che mantenga un nesso di strumentalità con lo scopo ideale o altruistico statutariamente perseguito. Nel caso di attività secondaria o accessoria, il nesso di strumentalità si realizza tramite la destinazione degli utili al perseguimento dello scopo istituzionale (es. fondazione che commercializza gadget). In caso di attività principale o esclusiva, il nesso sussiste se l'attività imprenditoriale realizza direttamente i fini istituzionali (es. associazione teatrale che organizza corsi a pagamento). Questo paragrafo evidenzia il carattere fondamentale del non-distribution constraint nella definizione dell'impresa sociale e la sua differenza rispetto alla società benefit, dove la finalità lucrativa, seppur temperata da scopi sociali, rimane presente.

3. Le Prospettive della Riforma del Terzo Settore e l Ibridazione tra Enti Non Profit e Lucrativi

Questa sezione considera le prospettive della riforma del Terzo settore e il loro impatto sul confine tra società benefit e imprese sociali. Si evidenzia la tendenza alla convergenza tra enti non profit e enti lucrativi, con forme intermedie in cui il profitto può essere impiegato a supporto di finalità sociali. Il non-distribution constraint, precedentemente identificato come criterio distintivo tra impresa sociale e società benefit, potrebbe perdere parte della sua importanza a causa delle possibili riforme. Si sottolinea come, anche dopo le riforme, l'impresa sociale manterrà probabilmente limiti settoriali, mentre la società benefit non avrà tali restrizioni. Si evidenzia anche che, mentre nelle imprese sociali le finalità ideali e solidaristica dovrebbero rimanere preminenti, nelle società benefit prevale teoricamente lo scopo economico. Tuttavia, il documento suggerisce che ai soci di una società benefit potrebbe essere consentito un'attenuazione rilevante dello scopo di lucro a favore delle finalità benefit, rendendo più incerta la distinzione tra i due modelli. Infine, il documento cita diverse posizioni dottrinali, mostrando l'assenza di un'opinione univoca sulla compatibilità tra scopi ideali e attività lucrativa all'interno della tradizionale struttura societaria.

V.Il Dibattito sulla Responsabilità Sociale d Impresa CSR

Il documento ripercorre il dibattito accademico sulla Corporate Social Responsibility (CSR), citando le posizioni contrapposte di Milton Friedman (responsabilità di massimizzare il profitto) e di altri studiosi che invece sostengono l'importanza dell'impegno sociale delle imprese. Si analizzano le prospettive istituzionaliste e contrattualiste, discutendo l'opportunità di una maggiore regolamentazione pubblica in un contesto di globalizzazione e supercapitalismo. Si sottolinea la necessità di un equilibrio tra etica e mercato, evitando la cessione di funzioni pubbliche agli operatori privati, e il potenziale rischio di erosione del confine tra Stato e mercato.

1. La Posizione di Milton Friedman e la Critica alla CSR

Questa sezione introduce il dibattito sulla Corporate Social Responsibility (CSR), presentando la posizione critica di Milton Friedman. Friedman, in un articolo considerato un classico in materia, afferma che la responsabilità sociale dell'impresa è quella di accrescere i propri profitti. Secondo Friedman, gli amministratori di società agiscono come agenti dei soci-proprietari e non dovrebbero, né potrebbero, autonomamente farsi carico di problematiche e interessi diversi da quelli dei soci. La critica di Friedman si concentra su una fallacia politica ed economica: un manager che impiega risorse aziendali per finalità di interesse generale sta spendendo soldi che non sono suoi, ma dei soci (minore remunerazione dell'investimento), dei lavoratori (salari ridotti) o dei clienti (prezzi maggiori). Friedman ritiene che la CSR attribuisca agli amministratori un ruolo che trascende le loro prerogative, elevandoli a pubblici decisori incaricati di perseguire l'interesse generale senza l'investitura politica e democratica necessaria. L'autore del testo condivide la necessità di mantenere distinti i ruoli dello Stato e del mercato, affermando che spetta al primo tutelare l'interesse generale, regolando l'economia e intervenendo quando necessario per garantire giustizia ed equità.

2. La Visione di Robert Reich e l Erosione del Confine tra Stato e Mercato

Questa parte del documento prosegue l'analisi del dibattito sulla CSR, presentando la prospettiva di Robert Reich. Reich evidenzia che la CSR rappresenta una rischiosa erosione del confine tra Stato e mercato, frutto dell'intrusione del capitalismo nella vita politica e democratica. Di fronte a imprese multinazionali con ampie possibilità di arbitraggio normativo e potenti capacità di lobbying, il sistema democratico rischia di perdere la sua capacità di regolare i fenomeni economici e correggerne le degenerazioni. Secondo Reich, la CSR giova sia alle imprese (evitare norme precettive) sia ai decisori pubblici (mascherare incapacità o mancanza di interesse ad intervenire direttamente). La CSR, secondo Reich, offre ai consumatori, lavoratori e investitori un'illusione di riconciliazione tra coscienza e portafoglio. Il documento conclude questa sezione ribadendo l'importanza della distinzione tra Stato e mercato e la necessità che il processo democratico e la funzione politica stabiliscano regole del gioco che valgano per tutti, in armonia con i valori preminenti del tempo. Si evidenzia che lo Stato non può abdicare alla regolamentazione dell'economia, soprattutto in presenza di forti pressioni competitive.

3. CSR come Strumento Economico e Manageriale e la Figura del Corporate Statesmen

Questa sezione descrive la CSR come fenomeno economico e manageriale, nato e sviluppato nelle scuole di business administration. Gli strumenti della CSR sono per lo più di soft regulation, come l'autoregolazione, il monitoraggio esterno e l'attivismo dei consumatori. Nell'ottica della responsabilità sociale d'impresa, gli amministratori dovrebbero gestire l'impresa in armonia con i principi di sostenibilità sociale e ambientale, anche indipendentemente dalla volontà dei soci-proprietari (visione neo-istituzionalista). La CSR, quindi, si ispira alla figura del corporate statesman del secondo dopoguerra, elevandola a modello ideale. Il documento conclude questa sezione sottolineando la necessità di distinguere tra l’ambito pubblico e quello privato, ribadendo che spetta allo stato la regolamentazione e il controllo, e che una maggiore etica nel mondo degli affari, se auspicabile, non deve portare a una confusione dei ruoli e delle responsabilità tra i due settori. Si conclude che solo il tempo potrà dimostrare se la CSR porterà a un reale cambiamento di paradigma o resterà una moda passeggera.