
Cyberbullismo: Tutela e Regole
Informazioni sul documento
Autore | 1 |
instructor | Pietro Santo Leopoldo Falletta |
Scuola | Dipartimento di Scienze Politiche |
Specialità | Diritto dell’informazione e della comunicazione |
Anno di pubblicazione | 2013/2014 |
Tipo di documento | Tesi di Laurea |
Lingua | Italian |
Formato | |
Dimensione | 1.39 MB |
Riassunto
I.Il Cyberbullismo Definizione e Caratteristiche
Il documento definisce il cyberbullismo (o bullismo elettronico) come una forma di hate speech, caratterizzata da attacchi diretti alla vittima tramite materiali diffamanti e umilianti, spesso veicolati attraverso siti web, blog o sondaggi offensivi. Le molestie possono riguardare l'aspetto fisico, ma anche caratteristiche personali come età, sesso, razza, religione, orientamento sessuale o handicap. Esempi citati includono un video su YouTube di un'aggressione a Grosseto a una ragazza di colore e la causa Vividown contro Google (vedi pag. 155 e 159). La natura pervasiva del web rende la casa non più un rifugio sicuro dalle prepotenze.
1. Definizione di Cyberbullismo e Hate Speech
Il documento inizia definendo il cyberbullismo, o bullismo elettronico, come un tipo di hate speech. Si caratterizza non solo per la diffusione di pettegolezzi e bugie, ma soprattutto per attacchi diretti e mirati alla vittima, utilizzando materiali diffamatori e umilianti. Questi attacchi possono assumere diverse forme, dalla creazione di siti web o blog con informazioni imbarazzanti sulla vittima, alla realizzazione di sondaggi offensivi. L'obiettivo principale del cyberbullo è quello di ridicolizzare, screditare e istigare l'odio nei confronti della vittima, spesso inducendo altri a partecipare agli insulti. La diffammazione non si limita all'aspetto fisico della vittima, ma si estende alle sue qualità personali, toccando aspetti come età, sesso, razza, religione, orientamento sessuale e handicap. Il testo cita un esempio concreto: un video su YouTube che ritrae l'aggressione di un gruppo di coetanei a una ragazza di colore a Grosseto (pagina 155). Un altro esempio significativo è rappresentato dalla causa legale intentata dall'associazione Vividown contro Google (pagina 159), relativa a discriminazioni basate su handicap. Questi casi evidenziano la gravità del fenomeno e la necessità di un intervento efficace.
2. Il Web come Strumento del Cyberbullo e la Mancanza di Rifugio
Un aspetto cruciale del cyberbullismo è la facilità con cui il bullo può raggiungere la sua vittima, ovunque e in qualsiasi momento, anche in modo anonimo. Internet, quindi, si configura come lo strumento ideale per perpetrare atti di bullismo elettronico, rendendo la casa, tradizionalmente considerata un luogo sicuro, un ambiente vulnerabile per i ragazzi vittime di prepotenze a scuola. La possibilità di agire in anonimato e la continua connettività amplificano l'impatto del bullismo, rendendo indispensabile un intervento su più livelli. Oltre alla legislazione nazionale e sovranazionale e all'azione dei provider, il documento sottolinea il ruolo fondamentale della famiglia, nell'educare i figli ad un uso responsabile della rete, e della scuola, nel fornire strumenti di prevenzione e sostegno, dotando i ragazzi delle competenze necessarie per contrastare il fenomeno e difendersi legalmente, senza a loro volta diventare carnefici.
II.Aspetti Legali e Responsabilità USA e Europa
Negli Stati Uniti, molti stati includono il cyberbullismo nelle leggi sul bullismo tradizionale, ma le conseguenze penali non sono sempre definite (es. Washington State, Revised Code of Washington, 28A.300.285). In Europa, manca una legislazione sovranazionale specifica. La direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico esclude un obbligo generale di sorveglianza per gli ISPs (Internet Service Providers), ma consente interventi giudiziari per rimuovere contenuti illeciti (art. 14 e 15). Negli USA, si discute sulla necessità di modificare il Communications Decency Act (CDA) per attribuire maggiore responsabilità agli ISPs nella rimozione di contenuti diffamatori, in modo simile alla sezione 512 del Digital Millennium Copyright Act (DMCA).
1. La Situazione negli Stati Uniti Incorporazione del Cyberbullismo nelle Leggi Esistenti
Negli Stati Uniti, molti stati hanno incluso il cyberbullismo nelle leggi sul bullismo tradizionale già esistenti. Tuttavia, una lacuna significativa risiede nell'assenza di una chiara definizione delle conseguenze penali specifiche per il cyberbullismo. L'esempio dello stato di Washington, citato nel documento, illustra questa situazione. Il Revised Code of Washington, al titolo 28A, capitolo 28A.300, sezione 285, menziona il divieto di atti di molestie, intimidazioni o bullismo tramite mezzi elettronici da parte di studenti durante la giornata scolastica. Questa normativa prevede l'educazione di genitori e studenti sulla gravità del cyberbullismo e indica le possibili azioni da intraprendere in caso di vittimizzazione, come la denuncia alla polizia, il coinvolgimento della scuola o la segnalazione al provider. Tuttavia, nonostante questa integrazione legislativa, la mancanza di una specifica definizione delle conseguenze penali lascia un vuoto normativo importante, sottolineando la necessità di un aggiornamento legislativo più incisivo negli Stati Uniti per affrontare in modo completo il problema del cyberbullismo.
2. La Situazione nell Unione Europea Assenza di una Legislazione Sovranazionale e la Direttiva sul Commercio Elettronico
A differenza degli Stati Uniti, l'Unione Europea non ha ancora una legislazione sovranazionale specifica per contrastare il cyberbullismo. Il documento sottolinea questa mancanza di un intervento normativo concreto a livello sovranazionale. Si fa riferimento alla direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico, che esclude la possibilità di imporre agli ISPs un obbligo generale di sorveglianza o di ricerca attiva di attività illecite (articolo 15). Gli Stati membri non possono imporre agli ISPs un obbligo generale di monitoraggio delle informazioni trasmesse o memorizzate né di ricercare attivamente attività illecite. Tuttavia, l'articolo 14 della stessa direttiva lascia aperta la possibilità per gli organi giurisdizionali o le autorità amministrative di richiedere agli ISPs di porre fine a una violazione o di impedirla, e agli Stati membri di definire procedure per la rimozione di informazioni o la disabilitazione dell'accesso ad esse. Questa situazione evidenzia la necessità di una legislazione più specifica e coordinata a livello europeo per affrontare efficacemente il cyberbullismo, garantendo al contempo il rispetto della libertà di espressione online.
3. Dibattito sulla Responsabilità degli ISPs e Proposte di Modifica Legislativa
Il documento evidenzia un dibattito acceso riguardo alla responsabilità degli ISPs nel contesto del cyberbullismo, soprattutto negli Stati Uniti. Alcuni sostengono che i provider dovrebbero assumersi una maggiore responsabilità per i danni causati dal cyberbullismo, proponendo modifiche al Communications Decency Act (CDA). Si propone l'introduzione di un sistema di 'notice and take-down', simile a quello previsto dalla sezione 512 del Digital Millennium Copyright Act (DMCA), per obbligare gli ISPs a rimuovere contenuti diffamatori a seguito di notifica da parte degli utenti. Questa modifica al CDA fornirebbe alle vittime di cyberbullismo strumenti legali più efficaci contro gli ISP che ignorano le richieste di rimozione di contenuti illeciti. L'avvocato penalista Paolo Alma, in un'intervista a Repubblica, ha sottolineato la necessità di affiancare alla deresponsabilizzazione degli ISPs previsioni legislative che consentano una soluzione rapida dei casi di cyberbullismo, evidenziando la difficoltà di preservare le prove nel mondo digitale. La discussione evidenzia la complessità di bilanciare la libertà di espressione online con la necessità di proteggere le vittime di cyberbullismo.
III.fm
Il documento analizza le politiche di diversi social network riguardo al cyberbullismo. Facebook, aderendo al progetto Safe Harbor, si impegna a proteggere i dati degli utenti europei, ma si riserva il diritto di rimuovere contenuti offensivi. Twitter, pur offrendo meno strumenti di interazione, permette ai cyberbulli di contattare vittime e follower tramite mention, anche senza essere seguiti. Ask.fm, a causa dell'anonimato consentito, è stato teatro di gravi episodi di cyberbullismo, come nel caso di Hannah Smith (Lutterworth, Regno Unito), che si è suicidata a seguito di molestie ricevute sulla piattaforma. Ask.fm dichiara di non monitorare tutti i contenuti, ma di intervenire su segnalazioni, pur con limiti nella gestione degli utenti anonimi. La piattaforma è stata oggetto di una petizione online di oltre 15.000 firme.
1. Facebook Safe Harbor e Responsabilità nella Rimozione di Contenuti
Il documento analizza il ruolo di Facebook nella lotta al cyberbullismo, evidenziando l'adesione al progetto Safe Harbor per garantire la conformità al regolamento sulla privacy degli utenti europei. Nonostante l'esistenza di una Informativa sulla Privacy, Facebook si riserva il diritto di conservare e divulgare le informazioni personali degli utenti se necessario per ottemperare a leggi, regolamenti, o ordini delle autorità, per proteggere la sicurezza di una persona, contrastare frodi o tutelare i diritti o la proprietà di Twitter. I termini di servizio di Facebook prevedono la possibilità (ma non l'obbligo) di rimuovere contenuti, sospendere o chiudere account, senza responsabilità nei confronti dell'utente. La piattaforma offre anche una sezione dedicata agli insegnanti, consigliando la creazione di un ambiente scolastico in cui il bullismo non sia percepito come sinonimo di popolarità, suggerendo un decalogo di buona condotta e incoraggiando gli studenti a chiedere aiuto. Facebook consiglia agli insegnanti di consultare un legale della scuola prima del verificarsi di episodi di bullismo per definire le misure da adottare e le responsabilità del docente, sottolineando la necessità di un intervento coordinato tra scuola, famiglia e legge.
2. Twitter Mention Following e Guidelines per le Forze dell Ordine
Il documento esamina le caratteristiche di Twitter nel contesto del cyberbullismo, evidenziando la funzione 'mention' che permette ai cyberbulli di citare la vittima e i suoi follower nei propri post offensivi, anche senza essere seguiti. La piattaforma aderisce al progetto Safe Harbor e, pur avendo un'informativa sulla privacy, si riserva il diritto di conservare e divulgare informazioni se necessario. I termini di servizio permettono a Twitter di rimuovere o rifiutare contenuti, sospendere o chiudere account, senza assumersi responsabilità. Le best practices suggeriscono di evitare comportamenti aggressivi nel 'following', pena la sospensione del profilo. Twitter offre la possibilità di scegliere se ricevere o meno gli aggiornamenti da un utente. Un aspetto interessante riguarda le 'richieste di informativa di emergenza': Twitter rilascia informazioni agli organi di polizia in caso di pericolo di morte o gravi lesioni fisiche, tramite fax o un modulo online dedicato. La piattaforma applica anche una censura selettiva e geografica dei tweet, rimuovendo i post che violano le leggi di uno specifico paese, ma mantenendoli visibili nel resto del mondo.
3. Ask.fm Anonimato Responsabilità e Casi di Suicidio
L'analisi si concentra su Ask.fm, evidenziando come la possibilità di porre domande in forma anonima lo renda uno strumento preferito dai cyberbulli. Il documento cita il caso di Hannah Smith, una ragazza di 14 anni di Lutterworth che si è suicidata dopo aver ricevuto messaggi offensivi su Ask.fm, che l'incitavano all'autolesionismo. Questo tragico evento, seguito da altri casi di suicidio, ha portato a una petizione online con oltre 15.000 firme, che chiede al governo britannico di intervenire per proteggere i giovani dai social network come Ask.fm. Ask.fm dichiara che l'utente è responsabile di ciò che pubblica, che non monitora tutti i contenuti e che interviene solo su segnalazioni di violazioni dei termini di servizio. La piattaforma afferma la possibilità di bloccare utenti, ma la difficoltà di identificare gli utenti anonimi limita l'efficacia di tale strumento. I termini di servizio di Ask.fm, soggetti alla legge lettone, evidenziano la complessità di regolamentare controversie che coinvolgono utenti di diverse nazioni. La piattaforma collabora con le autorità competenti, ma l'anonimato rende difficile l'identificazione e la punizione dei cyberbulli.
IV.YouTube e la Responsabilità dei Provider
Il caso Vividown Onlus contro Google Italia (in relazione ad un video ritenuto diffamatorio) evidenzia la complessa questione della responsabilità dei provider. La Corte d'Appello ha escluso la responsabilità preventiva di Google Italia, definito content provider, nel controllo dei contenuti caricati dagli utenti, sottolineando il rischio di censura e la necessità di bilanciare la libertà di espressione con la tutela della reputazione. La sentenza sottolinea l'assenza di obbligo generale di sorveglianza per gli ISPs secondo il D. Lgs. 70/2003. L'analisi evidenzia la distinzione tra host provider e content provider.
1. Il Caso Vividown contro Google Italia Responsabilità del Content Provider
La sezione analizza il caso Vividown Onlus contro Google Italia, focalizzandosi sulla questione della responsabilità dei provider di contenuti online. Vividown Onlus e i rappresentanti legali di De Leon hanno sporto denuncia contro Google Italia per un video ritenuto lesivo della reputazione di un ragazzo e dell'associazione stessa. L'accusa si basava sul concorso omissivo in diffamazione a mezzo internet, dato che il video non aveva subito controlli preventivi da parte di Google Video. La denuncia evidenziava anche un illecito trattamento di dati personali, in violazione degli articoli 13 e 26 del D. Lgs. 196/2003, a causa di un'informativa sulla privacy considerata insufficiente e dell'esposizione di dati sensibili sullo stato di salute del ragazzo. Inoltre, si sosteneva la violazione dell'articolo 17 dello stesso decreto, relativa ai rischi specifici del trattamento omesso. Il caso evidenzia la distinzione tra host provider e content provider, con Google Italia classificato come content provider, soggetto a responsabilità per il controllo preventivo dei contenuti, contrariamente agli host provider. La Corte d'Appello ha escluso la responsabilità di Google Italia, sottolineando l'impossibilità di una verifica preventiva efficace di tutto il materiale immesso dagli utenti, evidenziando il rischio di una censura arbitraria. La sentenza si basa sull'assenza di un obbligo generale di sorveglianza da parte del provider, come previsto dal D. Lgs. 70/2003.
2. Responsabilità dei Provider e la Direttiva sul Commercio Elettronico
L'analisi del caso Vividown contro Google Italia approfondisce la questione della responsabilità dei provider di servizi internet, in particolare alla luce della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico. La sentenza evidenzia l'assenza di un obbligo generale di sorveglianza da parte dei provider (articolo 15 della direttiva), sottolineando che non spetta all'ISP riportare le violazioni dell'uploader. Il titolare del trattamento dei dati personali, secondo la sentenza, è colui che ha potere decisionale sui fini e modi del trattamento, quindi l'utente che ha caricato il video, non Google Italia, che funge da hosting provider. La Cassazione ribadisce che la definizione di host provider 'attivo' non ha rilevanza, in quanto il considerando n. 42 della direttiva sul commercio elettronico specifica che le deroghe alla responsabilità si applicano solo alle attività puramente tecniche e passive di trasmissione dati. L'assenza di un obbligo generale di controllo preventivo esclude la responsabilità del provider per i dati sensibili presenti nei video caricati. Il caso conclude spostando l'attenzione dalla problematica specifica del cyberbullismo alla disciplina generale degli Internet Service Providers, evidenziando come il fenomeno del cyberbullismo abbia sollevato questioni più ampie sulla governance di internet.
3. Conclusioni e Necessità di Intervento Multilivello
Il caso Vividown contro Google, pur focalizzandosi sulla responsabilità dei provider, evidenzia la necessità di un intervento coordinato per contrastare il cyberbullismo. Il documento propone una soluzione che coinvolge l'autoregolamentazione dei provider tramite policies chiare e puntuali, l'educazione dei giovani all'uso responsabile di internet, e l'adozione di una legislazione specifica che punisca i colpevoli di cyberbullismo o, quantomeno, scoraggi i comportamenti illeciti. L'obiettivo è bilanciare la repressione degli abusi con la tutela della libertà di espressione online. Il documento evidenzia la necessità di una normativa che definisca con precisione le fattispecie di reato e le relative sanzioni, comprese quelle a livello scolastico. Si auspica una collaborazione tra scuole, famiglie, provider e autorità per affrontare il problema a livello nazionale e internazionale, ispirandosi a esempi come la task force della Nuova Scozia, che unisce azioni legislative a iniziative educative per promuovere un utilizzo più responsabile di internet.
V.Soluzioni e Prospettive Necessità di un Intervento Coordinato
Il documento conclude sottolineando la necessità di un approccio multilivello per contrastare il cyberbullismo: l'autoregolamentazione dei providers tramite chiare policies, l'educazione dei giovani all'uso responsabile della rete e l'adozione di leggi specifiche che definiscano con chiarezza le fattispecie di reato e le relative sanzioni. Si evidenzia l'importanza di azioni coordinate tra scuole, famiglie, providers e autorità, sia a livello nazionale che internazionale, ispirandosi a modelli come la task force della Nuova Scozia. L'esempio del caso di Leslie Cote nello stato di Washington (Senate Bill 5288, Cyberstalking Law) evidenzia gli effetti positivi di una legislazione specifica. La responsabilità dei genitori per la mancanza di educazione e vigilanza dei figli viene anche discussa, con riferimento a sentenze della Corte di Cassazione e al Tribunale di Teramo.
1. Il Ruolo di YouTube nella Gestione degli Illeciti e la Responsabilità del Provider
La sezione dedicata a YouTube analizza la responsabilità della piattaforma nella gestione di contenuti illeciti correlati al cyberbullismo. YouTube dichiara di non essere responsabile dei contenuti caricati dagli utenti, ma si riserva il diritto di rimuovere contenuti che violano i termini di servizio o le linee guida della community. La rimozione non è automatica, ma avviene dopo una valutazione. La piattaforma può sospendere la fornitura di servizi o rimuovere video in caso di violazione dei termini o per ordine giudiziario. Nonostante la dichiarazione di non responsabilità, YouTube si assume una responsabilità legale in caso di dolo o colpa grave, diventando responsabile per i reati previsti dalle norme vigenti. Il documento evidenzia la presenza di un 'Centro Norme e Sicurezza' su YouTube con diverse sezioni, tra cui una dedicata alla sicurezza e alle molestie, incluso il cyberbullismo, assimilando la violazione della privacy ad un 'attacco dannoso'. La piattaforma offre la possibilità di segnalare contenuti denigratori tramite un modulo online, diverso da quello per la violazione della privacy, utilizzabile dal diretto interessato o dal suo legale. YouTube può inviare reclami legali a 'Chilling Effects Clearinghouse', un'organizzazione statunitense che aiuta gli utenti a conoscere i propri diritti. Questa organizzazione si occupa anche del bilanciamento tra la libertà di parola e la protezione da attacchi non veritieri alla reputazione.
2. Il Caso Vividown e le Implicazioni sulla Responsabilità del Provider
Il documento presenta il caso Vividown Onlus contro Google Italia, focalizzandosi sulla questione della responsabilità dei provider nel contesto del cyberbullismo. Vividown e i legali di De Leon hanno denunciato Google Italia per un video ritenuto diffamatorio, che mostrava un ragazzo con disabilità. L'accusa si basava sul concorso omissivo in diffamazione a mezzo internet, sul trattamento illecito di dati personali (artt. 13, 26, e 17 del D. Lgs. 196/2003), e sulla violazione dell'art. 167 per omissione del corretto trattamento di dati personali e sensibili. La sentenza ha escluso la responsabilità di Google Italia, sottolineando l'impossibilità di una verifica preventiva efficace di tutto il materiale caricato dagli utenti, e l'assenza di un obbligo generale di sorveglianza da parte del provider (D. Lgs. 70/2003). La Corte d'Appello ha evidenziato che richiedere un controllo preventivo al provider minaccerebbe l'apertura del web e costituirebbe una censura arbitraria. Il caso è stato chiuso dopo sette anni, ponendo l'accento sulla disciplina degli ISPs più che sul cyberbullismo stesso, ma sollevando comunque importanti questioni sulla governance di internet, tra cui privacy, responsabilità del provider, libertà di espressione e diffamazione.
3. Prospettive Future e Necessità di un Approccio Integrato
L'analisi del caso Vividown e delle politiche di YouTube evidenzia la complessità della lotta al cyberbullismo e la necessità di un approccio integrato. Il documento sottolinea la necessità di una maggiore autoregolamentazione dei provider tramite policies chiare e puntuali, combinata con un'azione educativa per i giovani e una legislazione specifica per punire i colpevoli di cyberbullismo. L'obiettivo non è limitare la libertà di espressione, ma individuare e sanzionare i comportamenti illeciti. Si sottolinea la necessità di un intervento coordinato a livello nazionale e internazionale, considerando la natura a-territoriale della rete. L'esempio della Convenzione di Lanzarote del 2007, che ha definito con chiarezza la pedofilia e la pedopornografia, è citato come modello per una legislazione internazionale sul cyberbullismo. Le sanzioni potrebbero includere la sospensione scolastica, la cessazione temporanea dei servizi online e, nei casi più gravi, l'incarcerazione. Il documento enfatizza il ruolo delle scuole nell'adozione di codici di comportamento che regolino i casi di bullismo elettronico, coinvolgendo consulenti legali, genitori e insegnanti.
Riferimento del documento
- www.bullying.org (Bill Belsey)